di Pino Cabras – da Megachip.
Era possibile anche rifiutarlo quel Nobel? Certo che sì. Obama però non è Sartre, e questo non era il Nobel della Letteratura, e ha quindi scelto di accettarlo, sapendo che non era facile pronunciare un discorso come quello richiesto dall'occasione di Oslo. Uno strano esperimento davvero.
Il capo di un Impero che aumenta ancora le spese militari rispetto ai tempi dell'Imperatore guerrafondaio che lo precedeva, il leader di un paese che spende in armamenti più degli altri paesi tutti insieme, non poteva fare finta di essere altro e infatti non ha fatto finta. Allo stesso tempo il leader rivestito di un'inedita immagine irenica, il catalizzatore del potere dialogante che spinge il tasto 'reset' nelle relazioni internazionali, non poteva nascondere di aver fatto scrivere la parola “speranza” nei suoi manifesti elettorali.
Perciò quelli che gli scrivono i discorsi hanno dovuto sudare più del solito. I cerchiobottisti del «Corriere della Sera» sono dilettanti, a confronto.
Il fine dicitore che passa per grande oratore era chiamato a una prestazione estrema: leggere il discorso come sempre dal gobbo dei teleprompter con la faccia del predicatore che sa parlare a braccio, mantenere un tono aulico, ma moderno, rassicurare le pulsioni militari nel suo paese, e promettere però aperture nel mondo, senza allontanarsi dalle verità ufficiali dell'era Bush-Cheney (con tutto il corredo di al-Qa'ida e altre iperboli di Stato) e lì a concedersi tuttavia alla paziente opera delle diplomazie.
Se leggete il discorso, vedete che è stato limato e cesellato con una perizia che non ha lasciato nulla al caso. Ogni frenata sul lato pace è impressa negli stessi istanti in cui si dà più gas sul lato della guerra centroasiatica. Ogni retrospettiva patriottica sul provvidenziale ruolo dell'America per le “magnifiche sorti e progressive” della pace mondiale attinge a decine di discorsi dei suoi predecessori, badando bene a non far cenni al Vietnam. Menziona vari conflitti in corso, ma in modo totalmente piegato alle esigenze della Israel Lobby. In queste settimane, per dirne una, Israele ha indurito l'assedio del più grande campo di prigionia del mondo, Gaza, tagliando perfino la fornitura del gas, essenziale per i bisogni più basilari della martoriata popolazione civile palestinese. Obama è riuscito solo ad accennare che lo preoccupa «il conflitto fra arabi ed ebrei che sembra inasprirsi.» Una formulazione estremamente generica.
Per il resto ha implicitamente formulato una sorta di dottrina della “guerra giusta” che a molte anime belle basterà per dire che secondo Obama la guerra è brutta, anche se la fa, e magari la fa perfino più grande e più costosa. È una dottrina Bush priva dell'aberrazione di voler teorizzare la legittimità della guerra preventiva e di Guantanamo. Obama ribadisce di voler chiudere il gulag caraibico, ma non sembra riuscirci. E quanto alla 'guerra preventiva', certo ora non è teorizzata, ma come dovremmo chiamare l'escalation in Pakistan?
In definitiva l'esercizio stilistico di Oslo era tecnicamente interessante, ma non poteva coprire l'inadeguatezza di fondo del personaggio a soddisfare il requisito del Nobel per la pace: essere «la persona che [nel corso dell'anno precedente] abbia più o meglio lavorato per la fraternità fra le nazioni, l'abolizione o la riduzione degli eserciti permanenti, nonché per l'incontro e la diffusione del progresso per la pace».
Il risultato stilistico del discorso di Obama a me ha ricordato – a causa delle sue forzature, i silenzi autoimposti, conciliati però con una forma impeccabile – quel gioco linguistico chiamato “lipogramma”, nel quale dovete riscrivere un testo imponendovi di rinunciare a una lettera. Tutti conoscete il “Passero Solitario” di Giacomo Leopardi. Umberto Eco si era divertito a scriverne una versione lipogrammatica che ignorava la lettera “a”, mantenendo tuttavia un lessico leopardiano:
Uccellino Solingo
Sul tetto del torrione oggi vetusto
Uccellino solingo verso il rure
Sempre gorgheggi sin che muore il giorno
E per costoni scendono i tuoi suoni.
Poi i versi continuano, altrettanto perfetti.
Tecnicamente da applauso, no? Eppure non potranno sollevarsi al tono poetico di Leopardi, né sostituirvisi. Né Eco lo pretenderebbe.
Gli entusiasti di Obama vorrebbero invece che scambiassimo un discorso ben “limato” con una effettiva verità politica.
Ma quel discorso resta “Solingo Uccellino”, non “Passero Solitario”.
Le lettere che mancano sono importanti, nella fragile economia delle parole che raccontano la guerra. Cominciano a mancarne troppe, intanto che sopravvivono le leggi d'eccezione, la costituzione materiale, tutto il corpus giuridico proveniente dalla precedente amministrazione, senza che si sia manifestata una classe dirigente capace di una svolta all'altezza della Grande Crisi.
12 dicembre 2009
Obama: Uccellino Solingo a Oslo
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