27 agosto 2015

Siria: i migranti ultimo anello di una catena di errori

di Alberto Negri.
da Il Sole 24 Ore.


Campo profughi - © Mohamed Salman, da syrianrefugees.eu


Il problema sono le guerre che assediano l’Europa non i profughi. Se non si fermano le guerre non si fermano neppure i rifugiati. Le migrazioni da fenomeno di natura essenzialmente economica e sociale sono diventate qualche cosa d’altro, il risvolto inevitabile di questioni irrisolte e che si sono aggravate: dalla Siria all’Iraq e alla Libia, dallo Yemen all’Afghanistan, dal fallimento di Stati come la Somalia a dittature africane come quella in Eritrea. 
La rotta balcanica è balzata in prima pagina solo di recente ma è da oltre un anno che questa tratta, come quella africana con il suo terminale in Libia, viene battuta in maniera importante. 
Ma se è complicato risolvere le guerre in corso, l’aspetto più inquietante è l’assenza di un governo europeo. L’Europa non ha imparato dal passato recente – basti pensare alle guerre balcaniche – e neppure da quello remoto: alla fine della seconda guerra mondiale in Europa si aggiravano circa 40 milioni di profughi, molti dei quali non tornarono mai più alle loro case. Soltanto la Germania ne aveva 17 milioni. 
Forse non è casuale che Berlino, con un gesto senza precedenti, abbia aperto automaticamente le porte ai siriani.


La Siria è un caso emblematico. Il conflitto cominciato nel 2011 si è trasformato quasi subito in una guerra per procura tra gli Stati della regione. L’Occidente ha incoraggiato l’afflusso dei combattenti stranieri dalla frontiera turca condividendo l’obiettivo degli alleati arabi sunniti – Turchia, Arabia Saudita, Qatar – di abbattere Bashar Assad, per poi pentirsi tardivamente di fronte all’ascesa barbarica del Califfato. 

Quindi c’è poco da fare gli ipocriti se i jihadisti tornano a seminare il terrore in Europa: la destabilizzazione anti-Assad si è risolta in un boomerang, come già accadde con i mujaheddin lanciati contro l’Armata Rossa in Afghanistan. 
Aggiungiamo che in Iraq l’avanzata dell’ISIS ha generato oltre 200mila profughi, cristiani e yezidi, soltanto nel Kurdistan iracheno. Non lamentiamoci se i cristiani spariscono dal Medio Oriente: dove mai dovrebbero tornare? 
Ora ci sono 2 milioni di rifugiati siriani in Turchia, un milione in Libano – che ha già i suoi problemi di stabilità – oltre 900 mila in Giordania. Anche la generosa accoglienza di Ankara – così generosa che la stessa UNHCR se ne chiedeva da tempo le ragioni – è stata funzionale all’abbattimento di Assad e dei suoi alleati. Ma con lo sdoganamento dell’Iran lo scenario è cambiato e la Turchia, soddisfatta l’esigenza di colpire i curdi del PKK, si sta adattando a un possibile negoziato con USA, Europa, Russia, Iran, Arabia Saudita, per la spartizione del Levante in sfere di influenza. 
I rifugiati non servono più, anzi sono diventati ingombranti e infatti è cominciato l’esodo siriano verso le coste greche e i Balcani. 
E dopo tante manovre per sbalzare di sella Assad, costate 260mila morti e milioni di profughi, sembra che gli americani siano giunti alla conclusione che la via per stabilizzare la Siria, mettendo un freno all’espansione dei jihadisti, sarebbe lasciare il regime che ha governato il Paese per decenni: sconcertante. Tra errori di valutazione, ambiguità, contraddizioni, cambiamenti repentini di linea, i governanti europei devono spiegare che affrontano un’emergenza di cui i migranti sono l’ultimo anello di una catena di clamorosi errori politici.







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