Pino Cabras
In un drammatico discorso, Nasrallah
fa appello a combattere con ogni mezzo un pericolo di portata
globale. La polveriera Libano sull'orlo tra pace e guerra.
NABATIYE
(Sud Libano) - Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah, il movimento
sciita che esattamente 15 anni fa ha sconfitto l'occupante israeliano
in Libano, oggi dichiara guerra all'ISIS, considerato il nemico
principale e più insidioso. Ascolto il suo drammatico discorso -
teletrasmesso su un maxischermo davanti a un grande spiazzo al centro
di Nabatiye, in quel Libano del Sud dove il Partito di Dio è una
sorta di Stato nello Stato – e osservo le reazioni delle migliaia
di militanti presenti al comizio della Festa della Liberazione: le
parole del loro segretario generale e leader carismatico fanno
breccia, sono tutti pronti alla nuova fase della guerra. Come
vedremo, il discorso di Nasrallah avrà importanti implicazioni
internazionali, e annuncia di fatto un impegno delle sue
addestratissime forze militari in un raggio molto più vasto rispetto
ad oggi. Si allarga cioè la sfera territoriale entro cui Hezbollah
giocherà la partita della sicurezza del Libano, e la sua presenza
nella guerra siriana non si limiterà al confine libanese, perché
tutta la Siria sarà considerata decisiva per il futuro del Paese dei
Cedri. Nasrallah fa appello a sostenere in modo nuovo e più intenso
il presidente siriano Assad.
Prima
di raggiungere Nabatye, faccio un lungo giro nel Libano meridionale
accompagnato dal giornalista libanese Talal Khrais, attivo esponente
dell'Associazione Assadakah. Il paesaggio che osservo – essendo
modellato dall'Uomo – riesce a “parlare” e manda un messaggio
chiarissimo: questa terra è in pieno boom economico. Oltrepasso i
borghi e i paesi, uno dopo l'altro, punteggiati ciascuno da piccole
imprese edili, cantieri, piazzali che ospitano un'infinità di
macchine movimento terra. Ovunque un'impressionante espansione
edilizia, con ville, palazzine, case di ogni tipo, molte ben
rifinite, altre nello stile del “Non-Finito mediterraneo”, con
blocchetti a vista, piani inconclusi e pilastri nudi pronti per
futuri innalzamenti. Dal 1982 al 2000, tutti questi centri abitati
erano continuamente martoriati dai tiri d'artiglieria della forza
occupante. In cima alle colline e montagne che si aprono su valli e
panorami a perdita d'occhio, si trovavano infatti le numerose
postazioni israeliane, che apparivano una forza soverchiante. Quando
la Resistenza sloggiò gli israeliani, le troppe macerie rendevano
difficile immaginare ricostruzione e rinascita. Invece la rinascita
c'è stata, ha attirato capitali, ha ricostruito ogni ponte, anche
quelli distrutti per 34 giorni dall'aeronautica di Tel Aviv nel 2006,
prima di una nuova sconfitta strategica di Israele.
Solo
una comunità che ha una fede sicura nel proprio futuro può
rifabbricarsi il paesaggio con tanta convinzione, a pochi passi da
uno degli eserciti più forti del pianeta. Impossibile non notarlo.
Hezbollah e il suo popolo hanno accresciuto la fiducia nei propri
mezzi. Celebrano la vittoria non solo nei giorni dedicati, ma tutto
l'anno.
Visito
il Museo della Resistenza a Mleeta, e trovo lo scatto: faccio una
foto a tre bimbi sorridenti che occupano la torretta di quello che un
tempo fu un temibile carro armato israeliano (a sua volta sottratto agli egiziani), prima di diventare il
trofeo di un parco a tema che attira 15mila visitatori al mese.
Il
responsabile media del museo annuncia che quel luogo, dove si trovano
gli ingegnosi e lunghi tunnel presso cui si organizzava la
Resistenza, sarà un polo turistico con alberghi e funivia. Un altro
segnale che il mondo di Hezbollah ha ambizioni di egemonia culturale
che allungano il raggio d'influenza ben oltre il Libano. Avvicino
alcuni giovani che armeggiano con un drone nel piazzale del museo. Mi
raccontano che sono studenti di ingegneria. Forse vogliono unirsi
agli altri mille ingegneri che in pochi anni hanno fatto fare a
Hezbollah un balzo tecnologico impressionante: in materia di droni
non hanno ormai nessun timore reverenziale nei confronti di nessuno.
I ragazzi mi spiegano che quel drone può portare un salvagente a un
bagnante che rischia di annegare. Ottimo uso civile. Ma i loro
fratelli maggiori hanno forgiato una varietà di droni con una gamma
di usi sofisticati in campo militare.
Proprio
un drone con una telecamera vola sopra la mia testa durante il
comizio di Nasrallah, mentre riprende le migliaia di bandiere gialle
che si agitano festanti. C'è allegria in giro, ma contrasta con la
sostanza di uno dei discorsi più inquieti che una personalità
politica abbia pronunciato negli ultimi anni.
Nasrallah
fa una cronistoria, per spiegare come si è giunti alla liberazione.
Per lui la sostanza partiva da questo: occorreva credere, aver fede
nella vittoria.
«Eppure all'inizio tutti i media ci erano contro» - spiega
Nasrallah - «tanto che molti parlavano di Israele come di un
possibile alleato, oppure, anche nei casi migliori, come un'entità
da non combattere per evitare rappresaglie più gravi, ritenendoci
responsabili delle conseguenze decise dal Nemico», per non parlare
dei casi di chi era favorevole all'occupazione. Nella lista dei
comportamenti libanesi, Nasrallah non si dimentica dei partiti laici
che invece furono subito schierati nell'iniziare la resistenza. «Una
resistenza difficilissima» – ricorda il leader di Hezbollah -
«contro un esercito di centomila soldati (oltre ai loro complici).
Ora tutti i libanesi sanno che la pace di oggi è frutto della
resistenza. E conta la sua qualità. L'alleanza fra popolo,
resistenza ed esercito ha fatto capire a Israele che davanti a sé ha
solo porte chiuse, in Libano. L'eco di questa vittoria è arrivato
ovunque anche fuori dal Libano».
Nasrallah
prosegue affinando i toni sugli aspetti politici più delicati del
suo Paese, rivendicando per il suo movimento il merito di essere
stato clemente con chi aveva ostacolato la resistenza, in modo da
saldarsi politicamente a gran parte dei libanesi. «Oggi siamo
liberi e vedo che anche gli sguardi di coloro che vivono più vicino
al confine sono fieri». Non dimentica chi ha aiutato il movimento,
Iran e Siria.
Pericolo
scampato, dunque? Niente affatto. Nasrallah passa a un tono più
grave.
«Oggi
la storia si ripete, ma con un nuovo piano in grado di destabilizzare
l'intera Regione. È quello che stiamo vedendo ogni giorno con le
orribili azioni dei salafiti takfiristi». È la definizione con cui
Nasrallah accomuna Daesh (ossia l'ISIS), al-Nusra e al-Qa'ida. Si
riferisce anche ai 400 civili uccisi ieri dall'ISIS a Palmira,
dipendenti pubblici e loro familiari, bambini compresi, tutti
allineati nelle strade, molti decapitati. Nelle parole del leader
traspare una dolorosa ironia: «Noi avevamo già visto per tempo,
qual era il piano di questi elementi, Non certo il piano che elabora
un istituto di ricerca, ma un programma che uccide, un'organizzazione
che agisce in Siria, Iraq, Afghanistan, Pakistan, Libia, Nigeria, e
ora in Arabia Saudita, ovunque. E ora, che fare? In Libano in troppi
mettono la testa sotto la sabbia, così come facevano con Israele.
Questo è un nuovo e più grande pericolo».
Le
parole contro ISIS e simili diventano roventi. Hassan Nasrallah alza
la voce: «Questa è un'entità che elimina fisicamente ciò che è
proprio dell'Uomo, persino più del colonialismo. Guardate a quel che
succede in Iraq: chi non si sottomette viene trucidato, chi è
diverso, perché cristiano, yazida, sciita o perché ha un'idea
diversa, viene ucciso. Uccidono i diversi, a migliaia come se fosse
una cosa da nulla, anche mentre io vi sto parlando. Arrivano a
combattersi persino fra di loro, quando si scontrano con una visione
diversa delle cose. È un pericolo globale. Basta nascondere la testa
sotto la sabbia!»
A
questo punto si comprende meglio l'insistenza sulla premessa storica,
sulle prime reazioni all'occupazione israeliana: «Ci sono quelli che
non si schierano, e sperano così di salvarsi con il silenzio. Ma non
saranno risparmiati! Non hanno capito nulla. Leggete i comunicati di
queste organizzazioni salafite. Hanno giudici che comminano condanne
a morte senza aver letto mai un rigo di un codice. Eppure la
coalizione Movimento Futuro (il partito a base sunnita di
Saad Hariri, ndr)
non vuole contestarli. Allora chiedo a loro e ai cristiani. Chi può
salvare le vostre chiese, le vostre moschee, i vostri simboli, le
vostre stesse genti? Forse i vostri leader?»
Nasrallah
rivolge un appello accorato a tutte le 18 comunità che compongono il
fragile mosaico libanese. Anche qui i toni politici si adattano a una
materia delicata: «noi non siamo laici, certo, ma dal profondo del
cuore vi dico: siamo realisti. Affrontiamo la situazione». Contando
in primo luogo sui libanesi.
Fidarsi
degli USA? Il no del leader di Hezbollah è netto: «gli Stati Uniti
prendono in giro tutti. Ci distruggono e ci logorano. Pensate
all'Iraq. Ormai Daesh minaccia Baghdad. Cos'ha fatto la coalizione a
guida statunitense? Se contiamo le loro incursioni ad oggi, Israele
ne fecce il doppio in un solo mese, nel 2006. Gli USA hanno la
possibilità di vedere ogni singolo movimento dei pickup che vanno
avanti e indietro in vasti territori, e non fanno nulla. Chi aspetta
gli Stati Uniti non va da nessuna parte.»
Rimane
da capire chi sostiene l'ISIS. L'elenco di Nasrallah comprende chi li
esalta in TV e chi compra da loro il petrolio di contrabbando. Non fa
nomi, ma saranno i soliti noti. Di chi fidarsi, allora? «Dobbiamo
contare su di noi e cercare i veri amici, accettare l'aiuto dalla
Repubblica islamica dell'Iran e dai movimenti popolari».
Ma
perché questa battaglia è così importante? «È una battaglia
esistenziale. È una battaglia per sopravvivere. Di fronte a
pericoli gravi, ovunque nel mondo, maggioranze e minoranze, governo e
opposizione, forze diverse fra loro fanno i governi di unità
nazionale. Occorre uscire dal dubbio, ognuno si assuma la
responsabilità», scandisce Nasrallah, che aggiunge: «In molti
temono che Assad vinca, ma sono i suoi nemici quelli da temere. Se
l'ISIS penetra in Libano, siete in grado di garantire la sicurezza
della popolazione? Questo forse significa fare pressioni
sull'esercito libanese? No, è un appello alla responsabilità».
Pochi
giorni fa Hezbollah ha riportato una grande vittoria in Siria nelle
alture di Qalamoun. Nasrallah annuncia che l'operazione di Qalamoun
continuerà per garantire la sicurezza comune di Libano e Siria. C'è
poi una città nel nordest del Libano, Arsal, «dove avvengono fatti
tremendi, e si applica la pena di morte anche per questioni
sessuali». Nasrallah, dichiara che Hezbollah è pronto ad aiutarli,
ma è lo Stato libanese che deve fare la sua parte. Di fronte a
un'inerzia che perdurasse nel caso che i takfiristi dilagassero nei
dintorni della città e nella valle della Bekaa, Hezbollah romperebbe
gli indugi, e non si farebbe frenare dalle forze politiche che temono
che sia la scusa per innescare conflitti confessionali. Il punto
invece è: «noi non accettiamo invasioni, occorre dare l'esempio e
possiamo vincere.» Intervenendo dove c'è un pericolo esistenziale.
Che viene visto anche per l'intervento in Siria, dove la chiave della
vittoria non può risiedere solo nell'esercito siriano, ma in una
reazione popolare che porti le tribù sunnite a schierarsi contro
l'ISIS e gli altri estremisti. Se l'esercito si salda con le istanze
popolari, succede come in Yemen, «dove
l'attacco saudita fallisce perché c'è identità di obiettivi fra
esercito yemenita e popolo».
Nasrallah
fa appello affinché non si ripropongano anche per l'ISIS gli effetti
del “divide et impera” in stile israeliano. «Trascurare questo
pericolo e restare divisi sarebbe un errore strategico con gravi
conseguenze storiche. Pensate se si fosse affrontato l'ISIS un anno
fa. Non saremmo all'attuale disastro. Invece hanno consentito loro di
comprare armamenti, vendere petrolio, addestrare in campi i
combattenti, indisturbati. Chi ha taciuto a lungo sulla Siria, solo
ora scopre Palmira».
Qui
viene il salto di qualità drammatico a cui è pronto il leader di
Hezbollah: «siamo
presenti in Siria e lo saremo in tutta la Siria, ovunque lo si
richieda». Dunque non solo al confine libanese.
E
anche altrove. Nasrallah cita le condizioni diplomatiche per fare
cessare l'aggressione saudita allo Yemen e gli scontri interni in
Bahrein. Dichiara che non dimentica certo Israele, ma Hezbollah ha
una capacità dissuasiva che permette di concentrarsi su quello che
il leader definisce ormai “Nemico principale”, l'ISIS, a partire
dalla Siria: «Nel 2011 dicevano che la caduta del regime era
imminente, ma c'è ancora. Dobbiamo aver fede e contare sulla nostra
mente, così sconfiggeremo il piano dei takfiristi».
Questo
richiamo alla mente non è nuovo in Nasrallah. Già la lotta di
Liberazione l'aveva definita come “guerra delle menti”, una
definizione curiosamente simile a quella che alcuni dei più
spregiudicati teorici militari USA avevano usato tempo fa per un
nuovo modello di guerra psicologica: “mind war”. In Nasrallah
riveste anche una connotazione legata alla spiritualità religiosa,
che ha un peso e una forza che dovranno saper valutare tutti coloro
che vogliono che l'ISIS sia sconfitto davvero.
In
Libano si addensano grandi nubi. La guerra siriana ha scaricato in
pochi anni su un paese di 4,2 milioni di persone una bomba di 1,5
milioni di profughi. In proporzione, è come se in Italia nel giro di
due anni si aggiungessero oltre 21 milioni di rifugiati da accudire,
nutrire, alloggiare, accampare.
Basterebbe
che solo una piccola percentuale di questi disperati sia reclutata
con le ingenti risorse di chi finanzia l'ISIS, e il Libano
esploderebbe come una grossa polveriera, e anche il Medio Oriente.
Nasrallah
dichiara che le nuove battaglie costeranno “sacrifici e martiri”.
Noi dobbiamo sapere che quelle battaglie ci coinvolgeranno, e dovremo
saper scegliere gli alleati possibili, imparando a conoscerli. Non ha
soluzioni una guerra all'ISIS che non ricomprenda Hezbollah e i suoi
alleati.
La folla che lascia Nabatye alla spicciolata conservando nonostante
tutto l'aspetto di chi partecipa a una festa popolare qualsiasi, non
è gente qualsiasi. Si tratta di combattenti estremamente
determinati.
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