25 maggio 2015

Leader di Hezbollah: guerra senza quartiere all'ISIS


Pino Cabras

In un drammatico discorso, Nasrallah fa appello a combattere con ogni mezzo un pericolo di portata globale. La polveriera Libano sull'orlo tra pace e guerra.

NABATIYE (Sud Libano) - Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah, il movimento sciita che esattamente 15 anni fa ha sconfitto l'occupante israeliano in Libano, oggi dichiara guerra all'ISIS, considerato il nemico principale e più insidioso. Ascolto il suo drammatico discorso - teletrasmesso su un maxischermo davanti a un grande spiazzo al centro di Nabatiye, in quel Libano del Sud dove il Partito di Dio è una sorta di Stato nello Stato – e osservo le reazioni delle migliaia di militanti presenti al comizio della Festa della Liberazione: le parole del loro segretario generale e leader carismatico fanno breccia, sono tutti pronti alla nuova fase della guerra. Come vedremo, il discorso di Nasrallah avrà importanti implicazioni internazionali, e annuncia di fatto un impegno delle sue addestratissime forze militari in un raggio molto più vasto rispetto ad oggi. Si allarga cioè la sfera territoriale entro cui Hezbollah giocherà la partita della sicurezza del Libano, e la sua presenza nella guerra siriana non si limiterà al confine libanese, perché tutta la Siria sarà considerata decisiva per il futuro del Paese dei Cedri. Nasrallah fa appello a sostenere in modo nuovo e più intenso il presidente siriano Assad.

Prima di raggiungere Nabatye, faccio un lungo giro nel Libano meridionale accompagnato dal giornalista libanese Talal Khrais, attivo esponente dell'Associazione Assadakah. Il paesaggio che osservo – essendo modellato dall'Uomo – riesce a “parlare” e manda un messaggio chiarissimo: questa terra è in pieno boom economico. Oltrepasso i borghi e i paesi, uno dopo l'altro, punteggiati ciascuno da piccole imprese edili, cantieri, piazzali che ospitano un'infinità di macchine movimento terra. Ovunque un'impressionante espansione edilizia, con ville, palazzine, case di ogni tipo, molte ben rifinite, altre nello stile del “Non-Finito mediterraneo”, con blocchetti a vista, piani inconclusi e pilastri nudi pronti per futuri innalzamenti. Dal 1982 al 2000, tutti questi centri abitati erano continuamente martoriati dai tiri d'artiglieria della forza occupante. In cima alle colline e montagne che si aprono su valli e panorami a perdita d'occhio, si trovavano infatti le numerose postazioni israeliane, che apparivano una forza soverchiante. Quando la Resistenza sloggiò gli israeliani, le troppe macerie rendevano difficile immaginare ricostruzione e rinascita. Invece la rinascita c'è stata, ha attirato capitali, ha ricostruito ogni ponte, anche quelli distrutti per 34 giorni dall'aeronautica di Tel Aviv nel 2006, prima di una nuova sconfitta strategica di Israele.
Solo una comunità che ha una fede sicura nel proprio futuro può rifabbricarsi il paesaggio con tanta convinzione, a pochi passi da uno degli eserciti più forti del pianeta. Impossibile non notarlo. Hezbollah e il suo popolo hanno accresciuto la fiducia nei propri mezzi. Celebrano la vittoria non solo nei giorni dedicati, ma tutto l'anno.
Visito il Museo della Resistenza a Mleeta, e trovo lo scatto: faccio una foto a tre bimbi sorridenti che occupano la torretta di quello che un tempo fu un temibile carro armato israeliano (a sua volta sottratto agli egiziani), prima di diventare il trofeo di un parco a tema che attira 15mila visitatori al mese.


Il responsabile media del museo annuncia che quel luogo, dove si trovano gli ingegnosi e lunghi tunnel presso cui si organizzava la Resistenza, sarà un polo turistico con alberghi e funivia. Un altro segnale che il mondo di Hezbollah ha ambizioni di egemonia culturale che allungano il raggio d'influenza ben oltre il Libano. Avvicino alcuni giovani che armeggiano con un drone nel piazzale del museo. Mi raccontano che sono studenti di ingegneria. Forse vogliono unirsi agli altri mille ingegneri che in pochi anni hanno fatto fare a Hezbollah un balzo tecnologico impressionante: in materia di droni non hanno ormai nessun timore reverenziale nei confronti di nessuno. I ragazzi mi spiegano che quel drone può portare un salvagente a un bagnante che rischia di annegare. Ottimo uso civile. Ma i loro fratelli maggiori hanno forgiato una varietà di droni con una gamma di usi sofisticati in campo militare.
Proprio un drone con una telecamera vola sopra la mia testa durante il comizio di Nasrallah, mentre riprende le migliaia di bandiere gialle che si agitano festanti. C'è allegria in giro, ma contrasta con la sostanza di uno dei discorsi più inquieti che una personalità politica abbia pronunciato negli ultimi anni.
Nasrallah fa una cronistoria, per spiegare come si è giunti alla liberazione. Per lui la sostanza partiva da questo: occorreva credere, aver fede nella vittoria. «Eppure all'inizio tutti i media ci erano contro» - spiega Nasrallah - «tanto che molti parlavano di Israele come di un possibile alleato, oppure, anche nei casi migliori, come un'entità da non combattere per evitare rappresaglie più gravi, ritenendoci responsabili delle conseguenze decise dal Nemico», per non parlare dei casi di chi era favorevole all'occupazione. Nella lista dei comportamenti libanesi, Nasrallah non si dimentica dei partiti laici che invece furono subito schierati nell'iniziare la resistenza. «Una resistenza difficilissima» – ricorda il leader di Hezbollah - «contro un esercito di centomila soldati (oltre ai loro complici). Ora tutti i libanesi sanno che la pace di oggi è frutto della resistenza. E conta la sua qualità. L'alleanza fra popolo, resistenza ed esercito ha fatto capire a Israele che davanti a sé ha solo porte chiuse, in Libano. L'eco di questa vittoria è arrivato ovunque anche fuori dal Libano».
Nasrallah prosegue affinando i toni sugli aspetti politici più delicati del suo Paese, rivendicando per il suo movimento il merito di essere stato clemente con chi aveva ostacolato la resistenza, in modo da saldarsi politicamente a gran parte dei libanesi. «Oggi siamo liberi e vedo che anche gli sguardi di coloro che vivono più vicino al confine sono fieri». Non dimentica chi ha aiutato il movimento, Iran e Siria.
Pericolo scampato, dunque? Niente affatto. Nasrallah passa a un tono più grave.
«Oggi la storia si ripete, ma con un nuovo piano in grado di destabilizzare l'intera Regione. È quello che stiamo vedendo ogni giorno con le orribili azioni dei salafiti takfiristi». È la definizione con cui Nasrallah accomuna Daesh (ossia l'ISIS), al-Nusra e al-Qa'ida. Si riferisce anche ai 400 civili uccisi ieri dall'ISIS a Palmira, dipendenti pubblici e loro familiari, bambini compresi, tutti allineati nelle strade, molti decapitati. Nelle parole del leader traspare una dolorosa ironia: «Noi avevamo già visto per tempo, qual era il piano di questi elementi, Non certo il piano che elabora un istituto di ricerca, ma un programma che uccide, un'organizzazione che agisce in Siria, Iraq, Afghanistan, Pakistan, Libia, Nigeria, e ora in Arabia Saudita, ovunque. E ora, che fare? In Libano in troppi mettono la testa sotto la sabbia, così come facevano con Israele. Questo è un nuovo e più grande pericolo».
Le parole contro ISIS e simili diventano roventi. Hassan Nasrallah alza la voce: «Questa è un'entità che elimina fisicamente ciò che è proprio dell'Uomo, persino più del colonialismo. Guardate a quel che succede in Iraq: chi non si sottomette viene trucidato, chi è diverso, perché cristiano, yazida, sciita o perché ha un'idea diversa, viene ucciso. Uccidono i diversi, a migliaia come se fosse una cosa da nulla, anche mentre io vi sto parlando. Arrivano a combattersi persino fra di loro, quando si scontrano con una visione diversa delle cose. È un pericolo globale. Basta nascondere la testa sotto la sabbia!»
A questo punto si comprende meglio l'insistenza sulla premessa storica, sulle prime reazioni all'occupazione israeliana: «Ci sono quelli che non si schierano, e sperano così di salvarsi con il silenzio. Ma non saranno risparmiati! Non hanno capito nulla. Leggete i comunicati di queste organizzazioni salafite. Hanno giudici che comminano condanne a morte senza aver letto mai un rigo di un codice. Eppure la coalizione Movimento Futuro (il partito a base sunnita di Saad Hariri, ndr) non vuole contestarli. Allora chiedo a loro e ai cristiani. Chi può salvare le vostre chiese, le vostre moschee, i vostri simboli, le vostre stesse genti? Forse i vostri leader?»
Nasrallah rivolge un appello accorato a tutte le 18 comunità che compongono il fragile mosaico libanese. Anche qui i toni politici si adattano a una materia delicata: «noi non siamo laici, certo, ma dal profondo del cuore vi dico: siamo realisti. Affrontiamo la situazione». Contando in primo luogo sui libanesi.
Fidarsi degli USA? Il no del leader di Hezbollah è netto: «gli Stati Uniti prendono in giro tutti. Ci distruggono e ci logorano. Pensate all'Iraq. Ormai Daesh minaccia Baghdad. Cos'ha fatto la coalizione a guida statunitense? Se contiamo le loro incursioni ad oggi, Israele ne fecce il doppio in un solo mese, nel 2006. Gli USA hanno la possibilità di vedere ogni singolo movimento dei pickup che vanno avanti e indietro in vasti territori, e non fanno nulla. Chi aspetta gli Stati Uniti non va da nessuna parte.»
Rimane da capire chi sostiene l'ISIS. L'elenco di Nasrallah comprende chi li esalta in TV e chi compra da loro il petrolio di contrabbando. Non fa nomi, ma saranno i soliti noti. Di chi fidarsi, allora? «Dobbiamo contare su di noi e cercare i veri amici, accettare l'aiuto dalla Repubblica islamica dell'Iran e dai movimenti popolari».
Ma perché questa battaglia è così importante? «È una battaglia esistenziale. È una battaglia per sopravvivere. Di fronte a pericoli gravi, ovunque nel mondo, maggioranze e minoranze, governo e opposizione, forze diverse fra loro fanno i governi di unità nazionale. Occorre uscire dal dubbio, ognuno si assuma la responsabilità», scandisce Nasrallah, che aggiunge: «In molti temono che Assad vinca, ma sono i suoi nemici quelli da temere. Se l'ISIS penetra in Libano, siete in grado di garantire la sicurezza della popolazione? Questo forse significa fare pressioni sull'esercito libanese? No, è un appello alla responsabilità».
Pochi giorni fa Hezbollah ha riportato una grande vittoria in Siria nelle alture di Qalamoun. Nasrallah annuncia che l'operazione di Qalamoun continuerà per garantire la sicurezza comune di Libano e Siria. C'è poi una città nel nordest del Libano, Arsal, «dove avvengono fatti tremendi, e si applica la pena di morte anche per questioni sessuali». Nasrallah, dichiara che Hezbollah è pronto ad aiutarli, ma è lo Stato libanese che deve fare la sua parte. Di fronte a un'inerzia che perdurasse nel caso che i takfiristi dilagassero nei dintorni della città e nella valle della Bekaa, Hezbollah romperebbe gli indugi, e non si farebbe frenare dalle forze politiche che temono che sia la scusa per innescare conflitti confessionali. Il punto invece è: «noi non accettiamo invasioni, occorre dare l'esempio e possiamo vincere.» Intervenendo dove c'è un pericolo esistenziale. Che viene visto anche per l'intervento in Siria, dove la chiave della vittoria non può risiedere solo nell'esercito siriano, ma in una reazione popolare che porti le tribù sunnite a schierarsi contro l'ISIS e gli altri estremisti. Se l'esercito si salda con le istanze popolari, succede come in Yemen, «dove l'attacco saudita fallisce perché c'è identità di obiettivi fra esercito yemenita e popolo».
Nasrallah fa appello affinché non si ripropongano anche per l'ISIS gli effetti del “divide et impera” in stile israeliano. «Trascurare questo pericolo e restare divisi sarebbe un errore strategico con gravi conseguenze storiche. Pensate se si fosse affrontato l'ISIS un anno fa. Non saremmo all'attuale disastro. Invece hanno consentito loro di comprare armamenti, vendere petrolio, addestrare in campi i combattenti, indisturbati. Chi ha taciuto a lungo sulla Siria, solo ora scopre Palmira».
Qui viene il salto di qualità drammatico a cui è pronto il leader di Hezbollah: «siamo presenti in Siria e lo saremo in tutta la Siria, ovunque lo si richieda». Dunque non solo al confine libanese.
E anche altrove. Nasrallah cita le condizioni diplomatiche per fare cessare l'aggressione saudita allo Yemen e gli scontri interni in Bahrein. Dichiara che non dimentica certo Israele, ma Hezbollah ha una capacità dissuasiva che permette di concentrarsi su quello che il leader definisce ormai “Nemico principale”, l'ISIS, a partire dalla Siria: «Nel 2011 dicevano che la caduta del regime era imminente, ma c'è ancora. Dobbiamo aver fede e contare sulla nostra mente, così sconfiggeremo il piano dei takfiristi».
Questo richiamo alla mente non è nuovo in Nasrallah. Già la lotta di Liberazione l'aveva definita come “guerra delle menti”, una definizione curiosamente simile a quella che alcuni dei più spregiudicati teorici militari USA avevano usato tempo fa per un nuovo modello di guerra psicologica: “mind war”. In Nasrallah riveste anche una connotazione legata alla spiritualità religiosa, che ha un peso e una forza che dovranno saper valutare tutti coloro che vogliono che l'ISIS sia sconfitto davvero.
In Libano si addensano grandi nubi. La guerra siriana ha scaricato in pochi anni su un paese di 4,2 milioni di persone una bomba di 1,5 milioni di profughi. In proporzione, è come se in Italia nel giro di due anni si aggiungessero oltre 21 milioni di rifugiati da accudire, nutrire, alloggiare, accampare.
Basterebbe che solo una piccola percentuale di questi disperati sia reclutata con le ingenti risorse di chi finanzia l'ISIS, e il Libano esploderebbe come una grossa polveriera, e anche il Medio Oriente.
Nasrallah dichiara che le nuove battaglie costeranno “sacrifici e martiri”. Noi dobbiamo sapere che quelle battaglie ci coinvolgeranno, e dovremo saper scegliere gli alleati possibili, imparando a conoscerli. Non ha soluzioni una guerra all'ISIS che non ricomprenda Hezbollah e i suoi alleati. La folla che lascia Nabatye alla spicciolata conservando nonostante tutto l'aspetto di chi partecipa a una festa popolare qualsiasi, non è gente qualsiasi. Si tratta di combattenti estremamente determinati.





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