28 maggio 2014

Ucraina: l'inizio della strage, in attesa di un Pinochet

di Pino Cabras.
da Megachip.

La strage di Odessa non è stata dunque un episodio isolato, ma il macabro preliminare della vera dimensione della tragedia ucraina. 
La conta dei morti nell'est s'impenna sulle centinaia di vittime, e si capisce bene che tipo di scontro stia avvenendo se si osserva chi è che muore. Si contano relativamente pochi morti fra i soldati di Kiev, e la maggior parte di questi è vittima di incidenti molto controversi causati dalle stesse forze armate, in apparenza “fuoco amico”. Gli altri morti, quelli che subiscono attacchi dal cielo, sono invece tanti, tantissimi, per lo più inermi cittadini russi dell'Ucraina orientale.
Quando le proporzioni sono queste, dove si muore quasi solo da una parte e quasi soltanto fra i non combattenti, non è più una guerra codificata dalla ragione e dal diritto, ma una strage. Strage è la parola più adatta a descrivere quel che sta accadendo nell'est dell'Ucraina. Un'immane ecatombe a opera del governo di Kiev, per colpire e terrorizzare la popolazione con la benedizione e il silenzio di Obama, dei maggiordomi europei e della stampa a trazione NATO.
Il neo-eletto presidente ucraino Poroshenko giustifica tutta questa ferocia pianificata in nome della lotta al terrorismo. I morti che vengono accatastati negli obitori di Donetsk sono però civili sorpresi nella loro vita quotidiana.
Nelle elezioni appena svolte, lo stesso giorno in cui si votava in Europa, i partiti paramilitari nazistoidi ucraini hanno ottenuto pochissimi voti, rastrellati invece da satrapi, plutocrati e oligarchi mafiosi. Ma le urne non danno misura del loro potere reale negli apparati repressivi, essendo detti nazistoidi, sin da subito, inquadrati nelle nuove milizie della premiata macelleria "cilena" di Kiev. E a che servono partiti nazisti, quando nazista è l'operato del regime, nazisti i metodi e le rappresaglie? Si sarà capito che non è il consenso dei cittadini né la loro rappresentatività la preoccupazione numero uno dell'operazione in atto.
L'edizione ucraina di Forbes, il 23 maggio, scriveva che all'Ucraina sarebbe servito ripetere la positiva esperienza del Cile di Pinochet, che aveva portato il suo paese ai fasti e i miracoli del vero capitalismo. L'esperimento sul corpo vivo dell'Europa è agli inizi, ormai non lo nascondono nemmeno.
Tre anni fa Napolitano fu instancabilmente loquace per spingere l'Italia all'intervento contro la Libia, non appena Gheddafi aveva dato una risposta militare alla sedizione guidata dagli jihadisti in Cirenaica. Oggi, di fronte agli elicotteri che prendono a bersaglio le casalinghe di Donetsk, il Peggiorista ha problemi di voce, e con lui il coro muto dei governanti europei.
Avete appena cominciato a NON vedere il sangue per le strade, perché i media dicono pochino. Venite a vedere il sangue per le strade. Venite a vedere il sangue, per le strade.


25 maggio 2014

Le elezioni e il Meme Berlinguer

di Pino Cabras.

Più si è avvicinata la data delle elezioni europee del 2014, più è cresciuta l'evocazione di Enrico Berlinguer. È davvero curiosa questa presenza così forte ancora oggi, in queste elezioni, trent'anni dopo quelle segnate da quel suo funerale che portò in piazza due milioni di persone, un'emozione popolare che fece del PCI primo partito, prima e ultima volta. È cambiato tutto, dal 1984, e non sto a riepilogarvelo. E siccome è cambiato tutto, cambia anche l'emozione evocata da Berlinguer. Non essendoci più l'universo che faceva brillare la sua stella, ora la sua luce arriva colorandosi di altri spettri, con deviazioni che riflettono distanze politiche siderali.
Ma succede così. Ti distrai un istante e passano trent'anni.
Trent'anni sono abbastanza pochi da non annullare e da far sentire ancora le continuità con il passato, le tradizioni e – per chi ha l'età – i ricordi. Ma sono sufficienti anche a rendere quasi irriconoscibile l'evoluzione del meme di partenza. E il “meme Berlinguer” si è ricombinato con altri memi, persino opposti, lontani.
La storia è ricca di queste figure, come Berlinguer, sovraccariche di senso. Quel sovraccarico è talmente affascinante e attraente che si sente il bisogno di possederlo per intrecciare comunque i suoi lunghi fili nel proprio tessuto, nel proprio sistema di senso, anche nei casi in cui in realtà si agisce e si trama in un senso opposto. Tante volte abbiamo visto gli esiti totalmente divergenti di scuole di pensiero, di religioni o regimi politici, che si combattono fra di loro mentre proclamano la fedeltà più autentica alle stesse fonti.
Se certi uccidono in nome della misericordia divina, non c'è da meravigliarsi che ci siano quelli che pregano san Berlinguer mentre recitano il rosario di Margareth Thatcher.
Il PD oggi in mano a Matteo Renzi ha ereditato più di altri una continuità formale con le sedi del partito di Berlinguer, ma è il partito della legge elettorale Italicum, del Jobs Act, e di altre decine di caratteristiche che descrivono un progetto mirante a compattare il blocco sociale di una delle classi dirigenti più predatrici e criminali del mondo. Un blocco che mette sotto lo stesso meccanismo perfino il Caimandrillo, dal quale ha preso tutto l'armamentario piduista: l'intenzione di snaturare la Costituzione, la preferenza per sistemi elettorali sempre meno democratici, una progressiva distruzione neoliberista del mondo del lavoro e del potere residuo dei lavoratori. Quel nucleo di continuità con il partito che fu è tuttavia sufficiente a far rivendicare a Renzi il “possesso” del meme. Naturalmente non può convincere tutti. Perché ancora milioni di persone rileggono quelle due parole-chiave del meme Belinguer - “questione morale” - e le raffrontano alle odierne cupole e cupolette d'affari del PD. Molti leggono anche la versione più estesa. In un tweet quelle parole non ci stanno, ma sono ancora una sintesi breve e potente, che stride con il PD di questi tempi:
«La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono provare d’essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche.»
Nel comizio finale in piazza San Giovanni (la stessa piazza che diede l'estremo saluto al leader del PCI), uno dei due dioscuri del M5S, Gianroberto Casaleggio, ha ridato una veste al meme Berlinguer, chiamando tutti ad applaudirlo. La piazza, con molti che avevano meno di trent'anni, ha rimbombato – come trent'anni prima – con quel nome, scandito con affetto.
In casa PD si sono meravigliati fino allo scandalo, perché sono convinti – anche quando votano le leggi con una Mussolini – che il M5S non sia altro che un movimento fascistoide, perfino quando si oppone con l'ostruzionismo alle manomissioni della Costituzione nata dalla Resistenza.
In casa mia nessuna meraviglia e tantomeno scandalo. Un anno fa, proprio in un mio articolo che criticava la "democrazia elettronica" di Casaleggio, citavo Berlinguer come elemento chiave per l'evoluzione del M5S e per il superamento dei suoi limiti, che accompagnano pesantemente ancora adesso i suoi successi.
I Cinquestelle saranno da oggi un'opzione possibile in mano a una porzione del popolo ancora più vasta, quella stessa porzione che ha miracolosamente conservato il meme Berlinguer. È come se lì comunque si debba ritornare, per una riforma morale, politica e intellettuale di massa.
Non può restare solo un meme, dovrà essere un elemento di riflessione popolare, quanto mai attuale.
Anche Alexis Tsipras ha immancabilmente citato Berlinguer fin dall'inizio della sua corsa elettorale appoggiata sulla piccola aggregazione di sinistra. Lo ha citato con più congruità e coerenza degli altri leader politici, ma ha scontato i perduranti effetti di trent'anni di pessime classi dirigenti della sinistra italiana. Voterò M5S, in questa tornata, ma auguro comunque a Tsipras un buon risultato in tutta Europa. Così come mi auguro che gli eurodeputati cinquestelle possano convergere con i suoi deputati per una forte aggregazione che si opponga all'attuale potere europeo.
Nel pieno dell'austerity imposta dalla dittatura europea, l'idea dell'austerità elaborata da Berlinguer potrebbe essere riscoperta come un'alternativa democratica di straordinaria attualità.


19 maggio 2014

L'Ukraine et les dents des oligarques. Le cas Biden

Ci-dessous une traduction en français de mon article intitulé "L'Ucraina e i denti degli oligarchi. Il caso Biden", parue sur le site en ligne blogs.mediapart.fr

par Pino Cabras


Le fils du vice-président Usa élu à un poste central de l'industrie gazière en Ukraine, ensemble avec l'ex président de la Pologne. Les alliances flexibles avec des mondes mafieux.




R. Hunter Biden, fils du vice-président Usa, Joe, a hérité du père un nombre incroyable de dents. Avec ceux-ci il nous sourit énergiquement depuis ses photos officielles. Maintenant on nous informe que ces dents arrachent l'un des fauteuils les plus convoités de l'Ukraine, tout en faisant de lui l'un des nouveaux patrons de la Kiev post-putchiste. Biden le Jeune vient en effet de s'installer dans le conseil d'administration de la compagnie ukrainienne la plus importante d'extraction du gaz, la Burisma, avec ses puits en Europe et son siège à Chypre, où elle est contrôlée par une autre entreprise off-shore de droit chypriote, laBrociti Investments Ltd. On verra par la suite où iront les traces.
Pendant le vol qui l'a amené des cieux de l'élite états-unienne aux hautes sphères de l'oligarchie d'un pays ex-soviétique, le fiston américain a pu lui aussi réfléchir sur comment à changé le mot oligarque. Jusqu'à il y a vingt ans, l'oligarque était un représentant générique d'un système de gouvernement que quelques personnes imposaient à tous. L'oligarque post-soviétique est par contre une chose bien plus spécifique : c'est un homme d'affaires qui a arraché - pendant qu'il occupait une position dominante dérivant de la politique - les immenses richesses publiques sous-tirées par la sauvage privatisation de l'économie soviétique après la chute de l'URSS. Ce type humain est désormais l'unique à être étiqueté comme oligarque. La russophobie qui règne dans le discours public occidental fait le reste : à est, ou plutôt, en Russie, il y a des oligarques ; chez nous, par contre, de sains entrepreneurs à la vertu cristalline qui n'oseraient jamais spolier une nation. Comment définir autrement un De Benedetti ?
Tant pis si un nombre écrasant d'oligarques russes, avant de décider si favoriser ou combattre la nouvelle "verticale du pouvoir" de Poutine, avaient été avant tout des créatures occidentales.
Mais Hunter Biden est là pour nous rappeler, avec son cursus honorum et ses dents, serrées sur une cuillère d'argent, que les oligarques existent même ici à l'Ouest, et prospèrent et fréquentent tous les couloirs qui conduisent aux salles de l'argent, des gouvernements, de l'intelligence. Avec une colossale 'exusatio non petita' (justification non demandée) à Washington ils essayent néanmoins de nous le dire : d'après eux, les entrées au gouvernement pour le fils du 'number one' de la Maison Blanche, ne comptent pas. Et par conséquent Biden a obtenu sa nomination dans la lointaine colonie européenne seulement par la voie de son curriculum. Si les faits nous diront autre chose, c'est de notre faute, qui serons prévenus.
C'est seulement une coïncidence, en effet, que le 21 avril Biden le Vieux amène son dentier à Kiev pour dicter ses volontés, et que justement dans les mêmes jours Biden le Jeune devienne l'homo americanus de l'agence la plus stratégique du Pays, en pleine bataille du gaz.
Le soupçon et que là-bas il faille un oligarque expérimenté, justement, qui fasse office d'agent de liaison entre l'oligarque local et les optimates de Washington. Et le docteur Hunter Biden avait vraiment le curriculum adéquat pour cette tâche urgente : carrière universitaire auprès des universités privées les plus prestigieuses et élitistes, et puis un travail impressionnant d'inter-connexion intérieure et internationale entre multi-nationales, organisations non gouvernementales imbues de valeurs (d'argent) gouvernementales, bureaux légaux de super-lobbyistes, etc.
Surtout, Hunter Biden est l'un des collaborateurs les plus étroits du président de la National Democratic Institute for International Affairs (NDI), une organisation crée par le gouvernement Usa en tant qu'émanation du National Endowment for Democracy (NED) pour canaliser les fonds et les donations visant à "renforcer la démocratie" dans 125 nations différentes. C'est-à-dire un quémandeur politique, l'une des usines des révolutions colorées de la moitié du monde, présidée rien que ça, par Madeleine K. Albright, ex Secrétaire d'Etat à l'époque de Clinton et du bombardement de la Serbie. C'est la même personnalité politique qui dit à la TV qu'un demi-million d'enfants morts par embargo en Iraq avait été "un prix juste", que ça en avait valu la peine ("the price is worth it?")
Madeleine Albright - 60 Minutes

Biden se choisit de bonnes compagnies. Toujours ensemble avec Albright, il est parmi les administrateurs du Truman National Security Project, un centre de formation qui emploie des ressources colossales pour former des générations entières de représentants politiques progressistes autour des thèmes de la sécurité nationale. Lorsque vous entendez quelque vague représentant de la gauche qui parle bien de la guerre, vous saurez d'où on lui aura donné la bécquée.
D'après Hunter Biden, son rôle à Kiev consistera à donner les bons conseils sur "transparence, corporate governance et responsabilité, expansion internationale et d'autres priorités" afin de contribuer, rien que ça, " à l'économie et au bien-être du peuple ukrainien ".
On se croirait entendre les mots prononcés en 2003 pour l'Iraq par Paul Bremer, le gouverneur colonial installé par le président George W. Bush lorsqu'il envahit et dévasta ce pays. Mais tandis que les impérialistes républicains avaient une conception rudimentaire de l' "exportation de la démocratie", le monde de l'NDI est plus ductile, parce qu'il affirme que "l'NDI ne présume pas d'imposer des solutions ni considère que le système démocratique puisse être dupliqué quelque part ailleurs." Tout au plus, l'NDI "partage des expériences et offre une série d'options de manière à ce que les leaders puissent adapter ces pratiques et que les institutions puissent travailler mieux dans leur environnement."
"Adapter" est donc le mot-clef. Et les impérialistes démocratiques américains en Ukraine se sont "adaptés" tellement qu'ils se sont alliés avec des partis à tendance fasciste et des formations para-militaires nazies.
Il s'agit d'une alliance scandaleuse qui n'embarrasse aucunement les représentants du Parti Socialiste Européen. De la même manière qu'elle ne scandalise pas le multi-milliardaire Ihor Kolomoyshyi, fondateur de la European Jewish Union, double citoyenneté ukrainienne et israélienne, co-propriétaire de la banque Privat et de plusieurs sociétés qui ont détecté de grosses réserves de gaz naturel justement dans les zones ukrainiennes dans lesquelles se poursuivent les combats.
Une enquête de Forbes a décrit très bien la manière dont Kolomoyskyi a fait fortune : "Kolomoyskyi a employé des forces "presque-militaires" de la banque Privat pour faire valoir l'achat hostile d'entreprises, enrôlant un groupe de "hooligans, armés de battes de baseball, des barres de fer, de gaz et des pistolets avec des balles en caoutchouc et des "tronçonneuses" pour prendre par la force un complexe sidérurgique à Kremenchuk en 2006 et a employé "un mix d'ordres du tribunal falsifiés (souvent par la main de juges et /ou de greffiers corrompus) et de manières fortes" pour remplacer des administrateurs dans les conseils d'administration dans les sociétés dont il achetait les participations".
Probablement chez Forbes, ils n'ont pas beaucoup de familiarité avec la chronique anti-mafia, qui emploierait des concepts plus courts pour décrire le profil criminel d'un tel personnage.
Le président putchiste Turchynov, en tout état de cause, l'a élu gouverneur de l'Oblast de Dnipropetrovsk, une région frontalière avec les points chauds de la révolte des russes d'Ukraine. Kolomoyskyi a promis "une taille pour qui capturera des militants soutenus par les russes et des récompenses pour qui dépose les armes".
Ce magnat de la finance et du gaz - dans le temps qui lui reste, à part celui consacré aux affaires entre groupes mafieux - sera l'un de ces champions de "transparence, corporate governance et responsabilité" avec lesquels aura à négocier Mister Biden jr.
Et ici il y a un point encore plus intéressant.
Le site de documentation anti-corruption ukrainien (AntAC), d'inspiration assez américaine, en 2012 a essayé de reconstruire à qui puisse appartenir réellement la Burisma, qui se présente comme la vitrine la plus exposée à la lumière du soleil de la chaîne propriétaire de l'entreprise gazière. Une fois qu'elles se déplacent dans le territoire financier off-shore, les traces deviennent plus difficiles, comme une chasse mondiale au trésor
Nous avons vu que la Burisma est contrôlée par l'entité chypriote Brociti Investments Ltd, qui l'avait rélevée des propriétaires précédents, les oligarques Mykola Zlochevsky (ministre de l'énergie du président Yanoukovitch déstitué) et Mykola Lisin (mort entretemps). Il semblerait que dans le schéma financier de la vieille Brociti soit impliquée une autre grosse entreprise du secteur des hydrocarbures, la Ukrnaftoburinnya. Si nous voulons savoir qui possède Ukrnaftoburinnya, les traces reviennent à Chypre, où 90% de la société se trouve dans le ventre de la Deripon Commercial Ltd. Ici nous devons faire un vol plus long, parce que la Deripon est contrôlée à son tour par une holding des îles Vierges britanniques, la Burrad Financial Corp. Là-bas le brouillard, malgré les tropiques, devient épaississime. Mais le nom de la Burrad n'est néanmoins pas insignifiant, parce qu'il revient dans plusieurs enquêtes qui reconstruisent les opérations financières gérées par la banque Privat. C'est-à-dire la banque Kolomoyskyi.
Pour Forbes, cependant, reste probable que le propriétaire soit encore Zlochevsky (avec la possibilité d'un double jeu de sa part).
Je le sais, vous vous êtes perdus. Moi aussi. Mais j'essaye de résumer.
Kolomoyskyi, moyennant des sociétés off-shore, était le dominusde la Burisma, l'entreprise la plus importante d'extraction du gaz en Ukraine, dans laquelle est actuellement employé ce dentu de Hunter Biden. 
Kolomoyskyi l'a officiellement cédée, grâce à un schéma financier qui lui était familier, à une entreprise off-shore dont nous perdons la trace des propriétaires.
En même temps, Kolomoyskyi est devenu une autorité politique territoriale de référence pour les aires dans lesquelles on présume la présence de grandes réserves de gaz en possession de la société dont Biden est administrateur.
L'Ukraine, grâce aux nouvelles technologies extractives pour les hydrocarbures développées dans les dernières années par les Usa, est désormais un centre d'attraction pour les explorations et l'exploitation de nouvelles aires. Le soin apporté à ces gisement - maintenant pleinement exploitables dans l'orbite américaine - menace ouvertement la position dominante de Gazprom, c-est-à-dire la poutre énergétique maîtresse de la puissance russe renaissante.
Le fait que le coeur du pouvoir Usa se dérange pour gérer de si près l'affaire du gaz en envoyant le fils du Vice-président confirme l'importance croissante de cette partie. Seulement la sub-alternance, la possibilité d'être mis sous chantage, et les misérables ambitions sous-dominantes des politiciens européens pouvaient consentir à ce jeu.
Ce n'est pas un hasard si l'autre éminent conseiller d'administration de la Burisma - un profil lui aussi tout politique - soit l'ex-président de la Pologne, Aleksander Kwasniewki, un champion de l'ingérence atlantiste (et polonaise) en Ukraine.
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Le représentant du Kremlin, Dmitri Peskov, ironise, pendant qu'il déclare de ne pas voir de conflit d'intérêts dans le rôle de Biden. "Au fond, comme tout le monde sait, il n'y a pas pas de gaz du tout en Ukraine. Le gaz en Ukraine est russe." Et il montre les dents. Les siennes.



15 maggio 2014

I denti degli oligarchi. Il caso Biden

di Pino Cabras
da Megachip

Il figlio del vicepresidente USA al centro dell'industria del gas in Ucraina, assieme all'ex presidente della Polonia. Le alleanze flessibili con mondi mafiosi.


R. Hunter Biden, figlio del vicepresidente USA, Joe, ha ereditato dal padre un numero incredibile di denti. Con questi ci sorride energicamente dalle sue foto ufficiali. Ora ci informano che quei denti azzannano una delle più ambite poltrone dell’Ucraina, facendo di lui uno dei nuovi padroni della Kiev post-golpista. Biden il Giovane si è infatti da poco insediato nel consiglio di amministrazione della più importante compagnia ucraina di estrazione del gas, la Burisma, con i pozzi in Europa e la sede a Cipro, dove la controlla un'altra impresa off-shore di diritto cipriota, la Brociti Investments Ltd. Vedremo poi dove vanno le tracce.

Durante il volo che lo ha portato dai cieli dell’élite statunitense alle alte sfere dell’oligarchia di un paese post-sovietico, il rampollo americano ha potuto anche lui riflettere su come è cambiata la parola oligarca. Sino a vent’anni fa l’oligarca era un generico esponente di un sistema di governo che poche persone imponevano a tutti. L’oligarca post-sovietico è invece una cosa più specifica: è un uomo d’affari che ha arraffato - mentre occupava una posizione dominante derivante dalla politica – le immense ricchezze pubbliche tratte dalla selvaggia privatizzazione dell’economia sovietica dopo il crollo dell’URSS. Questo tipo umano è ormai l’unico a essere etichettato come oligarca. La russofobia che regna nel discorso pubblico occidentale fa il resto: a est, anzi, in Russia, ci sono oligarchi; da noi, invece, sani imprenditori di specchiata virtù che mai oserebbero spolpare una nazione. Come definire altrimenti un De Benedetti?

Pazienza se moltissimi oligarchi russi, prima di decidere se appoggiare o combattere la nuova “verticale del potere” di Putin, siano stati per prima cosa delle creature occidentali.

Ma Hunter Biden è lì a ricordarci, con il suo cursus honorum e i suoi denti, stretti su un cucchiaio d’argento, che gli oligarchi esistono anche qui a Ovest, e prosperano e frequentano tutti i corridoi che portano alle stanze del denaro, dei governi, dell’intelligence. Con una colossale excusatio non petita, a Washington ci provano lo stesso a dircelo: secondo loro, le entrature nel governo, per il figlio del numero due della Casa Bianca non contano. E pertanto Biden ha ottenuto la sua carica nella lontana colonia europea solo per via del suo curriculum. Se i fatti ci dicono altro, è colpa nostra, che siamo prevenuti. È solo una coincidenza, infatti, che il 21 aprile Biden il Vecchio porti la sua dentatura a Kiev per dettare i suoi voleri, e che proprio negli stessi giorni Biden il Giovane diventi l’homo americanus dell’azienda più strategica del Paese, in piena battaglia del gas.

Il sospetto è che laggiù servisse uno sperimentato oligarca, appunto, che facesse da ufficiale di collegamento fra l’oligarchia locale e gli ottimati di Washington. E il dottor Hunter Biden aveva davvero il curriculum giusto per questo compito urgente: carriera universitaria presso le più prestigiose ed elitarie università private, e poi un impressionante lavoro di interconnessione interno e internazionale fra multinazionali, organizzazioni non governative imbevute di valori (soldi) governativi, uffici legali di super-lobbisti, ecc. 

Soprattutto, Hunter Biden è uno dei più stretti collaboratori del presidente del National Democratic Institute for International Affairs (NDI), un’organizzazione creata dal governo USA come emanazione del National Endowment for Democracy (NED) per canalizzare contributi e donazioni miranti a «rafforzare la democrazia» in 125 diverse nazioni. Cioè un elemosiniere politico, una delle fabbriche delle rivoluzioni colorate di mezzo mondo, presieduta nientemeno che da Madeleine K. Albright, ex Segretario di Stato ai tempi di Clinton e del bombardamento della Serbia. È quella stessa personalità politica che disse in TV che mezzo milione di bambini morti per l’embargo in Iraq erano stati «un prezzo giusto», e ne era valsa la pena (“the price is worth it?”)


Biden si sceglie buone compagnie. Sempre assieme alla Albright, è fra gli amministratori del Truman National Security Project, un centro di formazione che impiega ingenti risorse per forgiare intere leve di esponenti politici progressisti intorno ai temi della sicurezza nazionale. Quando sentite qualche vago esponente di sinistra che parla bene della guerra, sappiate da dove viene imbeccato.

Secondo Hunter Biden, il proprio compito a Kiev consisterà nel dare buoni consigli su «trasparenza, corporate governance e responsabilità, espansione internazionale e altre priorità» al fine di contribuire, nientemeno, «all’economia e al benessere del popolo ucraino.»

Sembra di sentire le stesse parole pronunciate nel 2003 per l'Iraq da Paul Bremer, il governatore coloniale insediato dal presidente George W. Bush quando invase e devastò quel paese. Ma mentre gli imperialisti repubblicani avevano una concezione rudimentale dell'«esportazione della democrazia», la gente dell'NDI è più duttile, perché afferma che «l'NDI non presume di imporre soluzioni né ritiene che un sistema democratico si possa replicare da qualche altra parte». Semmai, l'NDI «condivide esperienze e offre una serie di opzioni in modo che i leader possano adattare quelle pratiche e istituzioni che possano lavorare meglio nel loro proprio ambiente».
Adattare” è dunque la parola chiave. E gli imperialisti democratici americani in Ucraina si sono “adattati” così bene da allearsi con partiti fascistoidi e formazioni paramilitari naziste. 
Si tratta di un'alleanza scandalosa che non imbarazza minimamente gli esponenti del Partito Socialista Europeo. Come non scandalizza nemmeno il plurimiliardario Ihor Kolomoyskyi, fondatore della European Jewish Union, doppia cittadinanza ucraina e israeliana, co-proprietario della banca Privat e di diverse società che hanno individuato grosse riserve di gas naturale proprio nelle zone ucraine in cui si combatte.

Un'inchiesta di Forbes ha descritto molto bene il modo in cui Kolomoyskyi ha fatto fortuna: «Kolomoyskyi ha usato delle forze “quasi-militari” della banca Privat per far valere l'acquisizione ostile di aziende, arruolando un gruppo di "teppisti, armati di mazze da baseball, spranghe di ferro, gas e pistole con proiettili di gomma e motoseghe" per prendersi con la forza un impianto siderurgico a Kremenchuk nel 2006 e ha usato "un mix di ordini del tribunale fasulli (spesso per mano di giudici e/o cancellieri corrotti) e di maniere forti" per sostituire amministratori nei consigli di amministrazione delle società delle quali acquistava le partecipazioni».
Si vede che a Forbes non hanno molta dimestichezza con la cronaca antimafia, che userebbe invece concetti più brevi per descrivere il profilo criminale di un siffatto personaggio. 
Il presidente golpista Turchynov, a ogni buon conto, lo ha nominato governatore dell'Oblast di Dnipropetrovsk, una regione confinante con i punti caldi della rivolta dei russi d'Ucraina. Kolomoyskyi ha promesso «una taglia per chi catturi militanti sostenuti dai russi e ricompense per chi depone le armi».
Questo magnate della finanza e del gas – fra un impegno di cosca e l'altro - sarà uno di quei campioni di «trasparenza, corporate governance e responsabilità» con cui dovrà interloquire Mister Biden jr. 
Qui c'è un punto ancora più interessante.
Il sito di documentazione anticorruzione ucraino (AntAC), d'ispirazione alquanto americana, nel 2012 ha tentato di ricostruire a chi possa appartenere davvero la Burisma, che si presenta come la faccia più alla luce del sole della catena proprietaria dell'impresa gasiera. Una volta che si muovono nel territorio finanziario off-shore, le tracce diventano più difficili, come in una caccia al tesoro mondiale.

Abbiamo visto che la Burisma è controllata dall'entità cipriota Brociti Investments Ltd, che l'aveva rilevata dai precedenti proprietari, gli oligarchi Mykola Zlochevsky (ministro dell'energia del deposto presidente Janukovich) e Mykola Lisin (nel frattempo deceduto). Nello schema finanziario della vendita della Brociti sembra essere coinvolta un'altra grossa impresa del settore degli idrocarburi, la Ukrnaftoburinnya. Se vogliamo sapere chi possiede Ukrnaftoburinnya, le tracce ritornano a Cipro, dove il 90% della società sta in pancia alla Deripon Commercial Ltd. Qua dobbiamo fare un volo più lungo, perché la Deripon è controllata a sua volta da una holding delle Isole Vergini britanniche, la Burrad Financial Corp. Laggiù la nebbia, ancorché ai tropici, diventa fittissima. Ma il nome della Burrad non è tuttavia insignificante, perché ricorre in svariate inchieste che ricostruiscono le operazioni finanziarie gestite dalla banca Privat. Cioè la banca di Ihor Kolomoyskyi. 
Per Forbes, comunque, resta probabile che il proprietario sia ancora Zlochevsky (con possibile suo doppio gioco).

Lo so, vi siete persi. E anche io. Ma provo a riassumere.

Kolomoyskyi, tramite società off-shore, era il dominus della Burisma, la più importante impresa estrattiva del gas in Ucraina, in cui ora si impegna in prima persona quel dentone di Hunter Biden. 
Kolomoyskyi l'ha ufficialmente ceduta, grazie a uno schema finanziario che gli era familiare, a un'impresa off-shore di cui perdiamo le tracce dei proprietari. 

Nello stesso tempo Kolomoyskyi è diventato un'autorità politica territoriale di riferimento per le aree in cui si presume la presenza di grandi riserve di gas in mano alla società di cui è amministratore Biden.

L’Ucraina, grazie alle nuove tecnologie estrattive per gli idrocarburi sviluppate negli ultimi anni dagli USA, è ormai un centro di attrazione per esplorazioni e sfruttamento di nuove aree. La coltivazione di questi giacimenti – ora pienamente sfruttabili nell’orbita nordamericana - minaccia apertamente la posizione dominante di Gazprom, ossia l’architrave energetica della rinata potenza russa.

Il fatto che il cuore del potere USA si scomodi per gestire così da vicino la pratica del gas inviando il figlio del Vicepresidente conferma la crescente rilevanza politica di questa partita. Solo la subalternità, la ricattabilità e le misere ambizioni sub-dominanti dei politici europei potevano consentire questo gioco. 
Non è un caso che l'altro eminente consigliere di amministrazione della Burisma – profilo tutto politico anche il suo - sia l'ex presidente della Polonia, Aleksander Kwaśniewski, un campione di ingerenza atlantista (e polacca) in Ucraina.
Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, fa ironia, mentre dichiara di non vedere un conflitto d'interesse nel ruolo di Biden. «In fondo, come tutti sanno, non c'è nessun gas in Ucraina. Il gas in Ucraina è russo.» E mostra i denti. I suoi.


14 maggio 2014

Contro la guerra nel cuore dell'Europa, a fianco dell'Ucraina antifascista


L'appello:

A Odessa un’orda nazista ha trucidato oltre 50 cittadini ucraini di origine russa. Disarmati. Lo ha fatto con i metodi nazisti del pogrom: bruciare, uccidere, non lasciare via di scampo alle vittime.
I media, all’unisono, hanno deformato la notizia fino a renderla irriconoscibile. Questa falsificazione è funzionale a coprire le responsabilità degli Stati Uniti e dell’Unione europea, che appoggiano il governo golpista di Kiev, da essi portato al potere.
Noi, cittadini italiani di una repubblica antifascista ormai solo di nome, siamo parte involontaria di questa mostruosa tragedia e di questo ritorno al passato. Lo siamo in quanto membri della NATO e alleati degli Stati Uniti. Non a caso il ministro della Difesa italiano, non pago delle violazioni che in questi ultimi due decenni hanno ripetutamente sfigurato l’articolo 11 della nostra Costituzione, è stato il primo a dichiararsi disponibile per un’ennesima sciagurata missione militare, stavolta in Ucraina.
Possiamo tacere? Se lo faremo, saremo complici.
Sono altissime, purtroppo, le probabilità che, nelle prossime settimane, quelle che ci separano dal voto ucraino del 25 maggio, possano verificarsi eventi ancora più sanguinosi, mentre la crisi tra Russia e Occidente rischia di scivolare in conflitto aperto.
Chiediamo a tutte e tutti coloro che condividono i valori della democrazia e della pace, che vogliono battersi contro la guerra, di partecipare a una manifestazione nazionale di protesta e di lutto. Chiediamo che lo si faccia insieme e subito. Con urgenza, sabato 17 maggio, a Roma.
E’, questo, un appello perché ci si riunisca in segno di lutto e di vergogna, per questa Unione europea senza vergogna. Diamo una risposta collettiva, grande, dignitosa, al fianco dell’Ucraina antifascista, contro l’escalation bellica nel cuore dell’Europa.

IL SIT IN E’ CONVOCATO SABATO 17 MAGGIO ALLE ORE 18.30 IN VIA GUIDO D’AREZZO NEI PRESSI DELL’AMBASCIATA DELL’UCRAINA A ROMA, VICINO A PIAZZA VERDI, ZONA PARIOLI E SI TERRA’ DOPO IL CORTEO IN DIFESA DELL’ACQUA PUBBLICA, AL QUALE SI PARTECIPERA’.

  Per aderire all’appello:






Promotori:

Giulietto Chiesa – presidente Alternativa, fondatore Pandora TV
Antonio Ingroia – presidente Azione Civile
Valentino Parlato – giornalista
Marinella Correggia – Rete No War e Sibialiria
Carla Nespolo- vicepresidente nazionale ANPI
Matteo Gaddi – coordinatore nazionale RSU “ CONTRO LA LEGGE FORNERO”
Mariella Cao- Comitato “Gettiamo le Basi”, Sardegna
Cesare Procaccini – segretario nazionale PdCI
Paolo Ferrero – segretario nazionale PRC
Fabio Amato – responsabile Dipartimento Esteri PRC, candidato Lista Tsipras
Fausto Sorini – responsabile Dipartimento Esteri PdCI
Ciro D’Alessio – operaio RSA- FIOM-CGIL Pomigliano D’Arco
Oliviero Diliberto – docente di Diritto Romano Facoltà “ La Sapienza” di Roma – già segretario nazionale PdCI
Claudio Grassi – direzione nazionale PRC
Piergiovanni Alleva – giuslavorista, FIOM, candidato Lista Tsipras
Domenico Losurdo – filosofo, presidente nazionale Associazione “ Marx 21”
Bruno Steri – Comitato Politico nazionale PRC, direttore di “Essere Comunisti”
Angelo D’Orsi – storico del pensiero politico, Università di Torino
Antonio Mazzeo – Movimento “no Muos” – Sicilia, candidato Lista Tsipras
Fosco Giannini – già senatore della Repubblica, direzione nazionale PdCI
Roberto Savio – esperto di comunicazione
Giorgio Cremaschi – fondatore Ross@
Giovanni Ermacora – comitato difesa costituzione FVG
Cristina Quintavalla – candidata elezioni europee Lista Tsipras
Mirko Benelli – vice presidente associazione Democrazia nella Comunicazione
Valter Paron – coordinatore Alternativa FVG
Andrea Pinna – coordinatore Alternativa Emilia Romagna
Roberto Germano – coordinatore Alternativa Campania
Simone Santini – segretario nazionale Alternativa
Margherita Furlan – responsabile nazionale organizzazione Alternativa
Cristoforo Attardo – coordinatore Alternativa Sicilia
Giuseppe Padovano – coordinatore Alternativa Toscana
Marco Iacomelli – coordinatore Alternativa Lazio
Eugenio Di Bello – coordinatore Alternativa Nord Est
Francesca Panfili – coordinatrice Alternativa Umbria
Marco Martini – coordinatore Alternativa Liguria
Pino Cabras – condirettore Megachip
Paolo De Santis - fisico , docente Università Roma Tre
Agostino Chiesa Alciator – diplomatico
Natalia Pereslavzeva - Centro di lingua russa e cultura N.Gogol
Irina Osipova - RIM Giovani italiani-Russi
Sergio Cararo e Marco Santopadre - segreteria nazionale Rete dei Comunisti
Nicola Nicolosi – CGIL nazionale
Nicola Cipolla – presidente CEPES
Stefano Vinti – assessore regionale PRC, Umbria
Raffaele Bucciarelli – presidente Gruppo Federazione della Sinistra Consiglio Regionale Marche
Giampaolo Patta – CGIL nazionale , esponente sinistra sindacale
Manlio Dinucci – saggista, giornalista de il Manifesto
Vladimiro Giacchè – economista
Luca Cangemi – docente, Catania, Comitato Politico Nazionale PRC
Gianmarco Pisa – segretario ITRI ( Istituto Italiano Ricerca per La Pace)
Patrick Boylan – Roma No War
Angelo Baracca – fisico , docente Università di Firenze
Gordon M. Poole – docente letteratura americana Università “Orientale” di Napoli
Guido Oldrini – filosofo
Guido Liguori – docente di storia del pensiero politico Università della Calabria , presidente IGS Italia
Bassam Saleh’ – giornalista palestinese
Nico Perrone – già docente di Storia dell’America, Università di Bari
Franco Cardini – storico
Andrea Torre - responsabile Archivio Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia
Gloria Malaspina - Responsabile Contrattazione sociale Inca Cgil nazionale
Claudio Ortale - Comitato Politico nazionale PRC
Nicolò Ollino – Comitato Politico Nazionale PRC, candidato Lista Tsipras
Marino Severini – “voce” e chitarra de La Gang
Fabio Marcelli - giurista, CNR
Andrea Catone – storico del movimento operaio, direttore di “ Marx 21”
Alfio Nicotra, giornalista
Maurizio Musolino – segreteria nazionale PdCI
Luigi Vinci – già capogruppo al Parlamento europeo – condirettore di “Progetto e Lavoro”
Gianni Fresu – storico del movimento operaio
Simona Lobina – PRC Sardegna , candidata Lista Tsipras
Manuela Palermi – presidente Comitato Centrale PdCI
Emiliano Franzina- storico- Università di Verona
Milena Fiore – video maker , collaboratrice archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico
Alessandro Hobel – storico del movimento operaio
Luigi Marino – già senatore della Repubblica
Mauro Gemma – direttore di Marx21.it
Flavio Pettinari – amministratore della pagina FB “ Con l’Ucraina antifascista”
Wasim Damash – docente di letteratura e lingua araba Università di Cagliari
Ada Donno – associazione Donne Regione Mediterranea
Enrico Vigna - Centro Iniziativa Verità e Giustizia
Federico Martino – docente di diritto , Università di Messina
Franco Ottaviano –presidente della Casa delle Culture di Roma
Antonia Sani – presidente Wilpf Italia
Giovanni Ricci - Alternativa Lazio


Adesioni:
Caldera Emanuela, insegnante, Milano
Circolo di Rifondazione Comunista Palestrina
Giacomo Burresi, CPN Rifondazione Comunista
Giuditta Brattini Centro Studi e RIcerca sulla Palestina del Veneto
Luigi Ficarra, PRC Padova
Alessandro  Leoni, Comitato  Regionale  Toscano   PRC  
Lorenzo Mazzucato - direttivo FP-CGIL Padova
Laura Imperiale - CPN Rifondazione Comunista
Ivano Iogna Prat - Circolo Benelux PRC – Federazione Europea
Forum Palestina
Juri Carlucci
Severino Galante - già  docente di Storia dei partiti presso l'Università di Padova ed ex parlamentare della Repubblica
Nicolò Monti - Resp. Comunicazione FGCI Lazio
Marica Guazzora - Direzione nazionale PdCI - Segretaria sezione Dolores Ibarruri di Torino
Il Calendario del Popolo – redazione
Aldo Cannas - dirigente scolastico, Cagliari
Arrigo Colombo – filosofo, Università del Salento-Lecce
Franco De Mario - segretario procinviale PdCI Bari
Lara Mattei
Jasmina Radivojevic - pedagogista, Milano
Paolo Bartolini - analista filosofo, iscritto al Laboratorio Politico-Culturale Alternativa
Franco Dinelli - ricercatore CNR e coordinatore CentroItalia di Pax Christi
Federico Castelli - artista e omeopata
Giuseppe Pasqualetto – Olanda
Leonardo Caponi - ex senatore di PRC
Paolo D'Arpini - Circolo vegetariano VV.TT.
Simone Kovatz - Coordinatore RSU Università di Pisa - FLC CGIL
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia – onlus
Giovanni Barbera - Blog Romachespera e membro del comitato politico romano del PRC
Fabrizio Marchi - giornalista e direttore del periodico on line L'Interferenza
Andrea Genovese - Docente, Universita' di Sheffield (UK)
Francesco Di Cataldo – Venezia
Mino Massimei - Presidente circolo ARCI " Montefortino 93"
Fabio Gemini
Laura Scappaticci - Comitato Politico Regionale Lazio PRC
Renato Caputo - docente, Roma
Omar Minniti - ex consigliere provinciale Reggio Calabria
Stefano Serafini
Leonardo Masella
Giovanni Esposito
Maurizio Saporito
Silvia Di Giacomo - Segreteria regionale PRC Lazio
Ezio Grosso - segreteria provinciale PdCI torino
Rolando Dubini - Avvocato, CPF Milano PRC
Claudio Ortale - Comitato Politico nazionale PRC
Gloria Malaspina - Partito dei Comunisti Italiani, Responsabile Contrattazione sociale Inca Cgil nazionale
Francesco Dilascia
Francesco Marzorati
Anna Zannantonio Martin, Feltre
Vania Valoriani - Assemblea Federale di SEL Prov FIRENZE
Vincenzo De Robertis
Stefania Ucci
Tamara Djuranova