di Giulietto Chiesa.
Nell’indifferenza generale dei media italiani (un po’ meno di quelli europei, ma è la stessa cosa) si giocherà, a fine mese, a Vilnius, una partita strategica cruciale tra Russia ed Europa. Il suo significato, per quanto brutale, è questo: chi si prende l’Ucraina?
Va detto subito che, in casi come questo, una grande responsabilità è nelle mani dei dirigenti del paese contestato: quella di essere stati più o meno capaci di difendersi, più o meno dignitosi anche nella sconfitta, più o meno consci del ruolo di difensori della propria identità nazionale. Nel caso in questione i leader ucraini hanno dimostrato di essere negli scalini più bassi. E che la sorte assista loro e i loro soggetti.
Ma la responsabilità maggiore sta nei pretendenti al loro dominio. Come andrà a finire a Vilnius è ancora, in piccola parte, da decidere perché non tutte le carte sono ancora scese sul tavolo. Quello che è certo è che i preparativi sono molto avanzati: tutti i documenti dell’”associazione” dell’Ucraina all’Unione Europea sono già pronti per essere firmati. Resta solo da decidere se la signora Julia Timoshenko – la Giovanna D’Arco di Ucraina, come la descrivono gli ammiratori, esagerando non poco le sue qualità spirituali – sarà liberata dalla prigione in cui si trova da due anni (meno della metà della reclusione di 7 che un tribunale ucraino le ha inflitto per “abuso di potere” e altri ammennicoli piuttosto pesanti).
Il fatto è che l’Unione Europea ritiene che il processo sia stato viziato da spirito di vendetta (il presidente Janukovic ha dovuto faticare non poco per avere ragione della potente avversaria, dotata dell’appoggio unanime dell’Occidente). Riuscì a sconfiggerla anche con l’aiuto di Mosca, ma adesso Mosca gli piace meno di Bruxelles, per non dire che non gli piace più del tutto. Resta l’eredità del passato, mentre la galera della Timoshenko non è un gesto davvero galante.
Del resto Janukovic sarebbe pronto, ormai, a consegnare la reclusa in mani tedesche, affinché possa curarsi del male alla schiena che l’affigge. Con la speranza che non ritorni più in patria e non gli dia più fastidio. Peccato che l’”associazione” all’Ue comporti la necessità di chinarsi alle imposizioni di Bruxelles. Di là gli fanno sapere che lui la deve proprio liberare dalla galera e dalle accuse, in modo tale che Julia di tutti i santi possa un giorno toglierlo di nuovo di mezzo e diventare lei presidente di Ucraina.
Vedremo. Io ho l’impressione che si metteranno d’accordo in qualche modo. Janukovic lo vuole, Bruxelles lo vuole. La posta in gioco è lo spostamento di 50 milioni di ex sovietici nel campo occidentale. Non è ancora l’ingresso nella Ue, ma è un passo decisivo. Di ingresso si parlerà più avanti, pensano a Bruxelles e a Francoforte. Forse – come è già avvenuto con le altre tre repubbliche ex sovietiche del Baltico, Estonia, Lettonia e Lituania – prima si aprirà il fascicolo dell’ingresso di Kiev nella Nato. E non è certo una distrazione la decisione di lanciare all’inizio di novembre una esercitazione militare congiunta con la partecipazione della Polonia e delle repubbliche baltiche per – ufficialmente – fronteggiare un’eventuale occupazione di quei territori da parte di una “potenza straniera”. Se non si ipotizza l’intervento di truppe marziane, è l’equivalente di uno schiaffo in faccia a Putin.
In ogni caso saranno dolori. Perché questa strada porta diritto a un collisione con la Russia. In questi giorni moscoviti ho potuto misurare bene la gravità degli effetti che una tale decisione sta avendo sui russi. E’ chiaro che si tratta di un colpo pesantissimo alla strategia di Putin. Che – non è un mistero per nessuno – ha puntato e punta alla ricostruzione di un’area politica omogenea che ha i confini della parte centrale dell’ex Unione Sovietica. La sua – di Putin – unione doganale, tra Russia, Bielorussia e Kazakistan, ha bisogno dell’Ucraina. Senza Ucraina questa unione è irrimediabilmente zoppa. E l’Ucraina se ne va con l’Europa. Accetta le regole europee, in lungo e in largo. E’ perduta. Dopo, tornare indietro non sarà facile, forse impossibile. E’ uno di quei cambi che avranno effetti di lunga durata.
Se ne va l’Ucraina e si porta dietro la Crimea russa, che Krusciov regalò agli ucraini quando si pensava che l’Urss sarebbe stata eterna. E la Russia avrà soltanto il porto del Mar Nero di Novorossijsk. Niente più Sebastopoli, con tutta la sua gloria. E qui la faccenda non riguarda solo Putin, riguarda la gran parte dei Russi. Non c’è famiglia che non abbia legami dall’altra parte. Mezza Ucraina parla russo. La Grande Guerra Patriottica è stata una tragedia e una vittoria comune. La Russia, inclusa quella ortodossa, è nata qui. Ed è come strappare il cuore alla Russia dirle che non ha più diritto al suo cuore, anche se questo sentimentalismo non sfiora neppure il cuore degli ucraini che preferiscono l’occidente.
Questo è un dato che va compreso. Per la quasi totalità degli europei occidentali la conquista dell’Ucraina non significa niente (infatti nessuno ne ha discusso). Al massimo, per quei pochi che se ne occupano, ha un significato economico e politico: aumenta la forza dell’Unione, o il suo prestigio. Anche se costerà non poco togliersi questa soddisfazione. Non c’è una storia comune e sentita. Dunque, per misurare le reazioni di Mosca è indispensabile cogliere questa differenza, storica e psicologica. Chi ignora questi “dettagli”, o finge di non vederli, o è troppo ignorante, o è un disonesto che gioca sporco. Ecco: l’Europa gioca sporco.
I russi insistono nel dire, all’unanimità, che la decisione di Vilnius sarà una catastrofe per gli ucraini. I numeri danno loro ragione. La Russia è il primo destinatario delle esportazioni ucraine, ed è anche il loro primo partner commerciale in assoluto. Dove andranno adesso le esportazioni ucraine? L’Europa non è un mercato facile per le derrate alimentari, né per la tecnologia ucraina, che è sorella gemella di quella russa ex sovietica. Il mercato russo è invece fiorente e pieno di soldi. Ovvio che Mosca innalzerà barriere, che costeranno di più all’Ucraina che alla Russia.
E c’è l’enorme questione dei gasdotti. Il gas passa in gran parte attraverso il territorio dell’Ucraina, e quel passaggio la Russia l’ha sempre pagato a caro prezzo, consentendo agli ucraini di prelevare, senza pagarle, quote non indifferenti di energia. E quello che era concordato veniva pagato a prezzi inferiori a quelli del mercato: un modo costoso per rimanere in contatto con il proprio cuore e con il proprio prestigio di grande potenza, se si vuole. In più l’Ucraina deve circa 4 miliardi di dollari di gas, che non ha pagato. Ovvio che Putin chiederà il conto. E chi pagherà? L’Europa pagherà, si presume, perché la faccenda è prima di tutto politica e poi economica. Ma resta pur sempre il problema: e dopo? Quali tariffe, quali ricatti reciproci. Le tv russe mostrano i nuovi gasdotti che dovrebbero aggirare l’Ucraina, ma ci vorrà del tempo prima che siano pronti. Prepariamoci a un inverno freddo, ecco la prima cosa che mi viene in mente.
Ma la cosa più importante è che questa mossa da Guerra Fredda non lascerà intatti i rapporti tra Russia ed Europa. Una strada come quella che si sta scegliendo modificherà tutte le precedenti “percezioni” della sicurezza europea. L’Europa (e la Nato) entrano in profondità nel ventre della Russia. Se pensiamo che questa cosa sia indifferente per i russi, allora ci sbagliamo. Altro che un sistema europeo comune di sicurezza collettiva! Qui stiamo cercando di imporre alla Russia di cedere la propria sicurezza all’Occidente. La Russia risponderà. L’Europa sta commettendo il più grave errore da quando è nata.
Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/11/06/rapporti-ue-russia-ad-alto-rischio/766521/.
Ripreso anche da: megachip.globalist.it.
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