22 novembre 2011

Noiosi Romantici Crudeli

di Paul Krugman - «New York Times.»

C'è una parola che ultimamente sento di continuo: “tecnocrate”. A volte viene usata come un termine di disprezzo: i creatori dell’euro, ci si dice, erano tecnocrati che non sono riusciti a tenere in conto i fattori umani e culturali. A volte è invece un termine elogiativo: i novelli primi ministri di Grecia e Italia sono descritti come tecnocrati che si eleveranno al di sopra della politica per fare quel che deve essere fatto.  Un attimo. Io lo so bene chi sono i tecnocrati; a volte ho ricoperto anch’io quel ruolo. E queste persone - le persone che hanno costretto l’Europa ad adottare una moneta comune, le persone che stanno costringendo sia l’Europa sia gli Stati Uniti all’austerità - non sono affatto tecnocrati. Sono, invece, dei romantici profondamente privi di senso pratico.
Essi sono, per essere precisi, una razza particolarmente noiosa di romantici, che si esprimono con una prosa altisonante anziché in poesia. E le cose che chiedono in base alle loro visioni romantiche sono spesso crudeli, al punto da implicare sacrifici esorbitanti a carico di lavoratori e famiglie comuni. Ma resta il fatto che quelle visioni sono guidate da sogni sul modo in cui le cose dovrebbero essere, anziché da una valutazione fredda delle cose così come sono realmente.
E per salvare l'economia mondiale, dobbiamo rovesciare questi pericolosi romantici dai loro piedistalli.
Cominciamo con la creazione dell'euro. Se pensate che questo fosse un progetto guidato da un calcolo accurato dei costi e dei benefici, siete stati male informati.
La verità è che il cammino dell’Europa verso una moneta unica è stato, fin dall'inizio, un progetto dubbio privo di una qualche analisi economica oggettiva. Le economie del continente erano troppo diverse per funzionare senza problemi con una politica monetaria unica e buona per tutti, troppo esposte alla probabilità che si verificassero "shock asimmetrici", in cui alcuni paesi crollavano, mentre altri andavano in boom. E a differenza degli Stati Uniti, i paesi europei non facevano parte di una singola nazione con un bilancio unificato e un mercato del lavoro tenuto insieme da una lingua comune.
Perché allora questi "tecnocrati" hanno spinto così fortemente per l'euro, ignorando i molti avvertimenti degli economisti? In parte era il sogno dell'unificazione europea, che l’élite del continente trovava talmente allettante che i suoi esponenti scartavano via le obiezioni pratiche. E in parte è stato un atto di fede economica, la speranza - guidata dalla volontà di credere, nonostante le ampie prove del contrario - che tutto avrebbe funzionato fin quando le nazioni avessero praticato le virtù vittoriane della stabilità dei prezzi e della prudenza fiscale.
Triste a dirsi, le cose non hanno funzionato come promesso. Ma invece che adattarsi alla realtà, quei presunti tecnocrati andavano a raddoppiare la posta: insistendo, ad esempio, sul fatto che la Grecia potesse evitare il default attraverso un’austerità spietata, mentre chiunque sapesse davvero fare i conti era consapevole di soluzioni migliori.
Lasciatemi mettere in evidenza, in particolare, la Banca centrale europea (BCE), che pure dovrebbe essere l'istituzione tecnocratica definitiva, e che è si è fatta notare parecchio per rifugiarsi nella fantasia non appena le cose andavano male. L'anno scorso, per esempio, la banca ha affermato di credere nella fata fiducia: vale a dire l'affermazione che i tagli di bilancio in una economia depressa in realtà promuovevano l'espansione, aumentando gli affari e la fiducia dei consumatori. Eppure, che strano, questo non è successo da nessuna parte.
E ora, con l'Europa in crisi - una crisi che non può essere contenuta a meno che la BCE faccia il passo di fermare il circolo vizioso del collasso finanziario - i suoi leader si aggrappano ancora all'idea che la stabilità dei prezzi sia la panacea di tutti i mali. La scorsa settimana Mario Draghi, il nuovo presidente della BCE, ha dichiarato che «ancorare le aspettative di inflazione» è «il grande contributo che possiamo fare a sostegno della crescita sostenibile, la creazione di occupazione e la stabilità finanziaria».
Questa è un'affermazione assolutamente fantastica da fare in un momento in cui si prevede che l'inflazione europea sia, semmai, troppo bassa, mentre ciò che mette turbolenza nei mercati è la paura di un collasso finanziario più o meno immediato. E suona più come un proclama religioso che come una valutazione tecnocratica.
Giusto per essere chiari, la mia non è una tirata anti-europea, visto che abbiamo anche noi i nostri pseudo-tecnocrati a distorcere il dibattito politico. In particolare, i gruppi di "esperti" suppostamente non di parte - il Comitato per un Bilancio Federale Responsabile, la Coalizione Concord, e così via – hanno avuto fin troppo successo nel dirottare il dibattito di politica economica, spostando la sua attenzione dalle tematiche occupazionali al deficit.
Dei veri tecnocrati avrebbero chiesto se questo avesse un senso nel momento in cui il tasso di disoccupazione è del 9 per cento e il tasso di interesse sul debito degli Stati Uniti è solo il 2 per cento. Ma come nel caso della BCE, anche i nostri bisbetici con la fissa del fisco hanno la loro propria versione su ciò che conta davvero, e vi si attengono a ogni costo, a prescindere da quel che dicono davvero i dati.
Quindi, sono forse contro i tecnocrati? Niente affatto. Mi piacciono i tecnocrati: i tecnocrati sono miei amici. E abbiamo bisogno di competenze tecniche per affrontare i nostri problemi economici.
Ma il nostro discorso è stato malamente snaturato da ideologi e illusi proni ai pii desideri - noiosi, crudeli  e romantici - che fingono di essere tecnocrati. Ed è il momento di sgonfiare le loro pretese.


Traduzione a cura di Pino Cabras.

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