12 gennaio 2016

Dov’erano i paladini della libertà di parola quando la Francia ha passato tutto l’anno scorso a stroncarla?


di Glenn Greenwald

The Intercept


È passato quasi un anno da quando milioni di persone - guidate dai tiranni più repressivi al mondo - marciarono su Parigi apparentemente  per la libertà di parola. Sin da allora, il governo francese - che ha dato l'esempio strombazzando ai quattro venti l'importanza della libertà di parola dopo gli attentati di Charlie Hebdo  - ha ripetutamente perseguitato persone per le visioni politiche espresse oppure ha sfruttato la paura collegata al terrorismo per far fuori i diritti civili in generale. Ha fatto tutto questo senza il minimo accenno di protesta da parte di coloro che, attraverso tutto l'Occidente, avevano sventolato le bandiere della libertà di parola in supporto ai fumettisti di Charlie Hebdo.
Ciò perché, come argomentai all'epoca, molti di questi neo-paladini della libertà di parola non sono autentici e costanti sostenitori di essa. Al contrario, essi evocano quel principio solo nei casi più facili ed egocentrici: ovvero, la difesa delle idee che sostengono. Ma quando la gente viene punita per esprimere delle idee che questi signori odiano, allora si fanno silenziosi oppure supportano quella stessa soppressione: proprio il contrario della genuina difesa della libertà di parola.

Giorni dopo la Marcia su Parigi, il governo francese ha arrestato il comico Dieudonné M'bala M'bala "per 'apologia di terrorismo', dopo aver insinuato su Facebook di simpatizzare con uno degli uomini armati". Due mesi dopo è stato giudicato colpevole ed ha ricevuto una condanna - poi sospesa -  a due mesi di carcere. In novembre, dietro accuse diverse, è stato giudicato da un tribunale belga per "commenti razzisti ed anti-semiti durante uno show in Belgio", che lo ha condannato a due mesi di reclusione. Non c'è stata nessuna catena di hashtags # JeSuisDieudonné ed è quasi impossibile trovare i paladini più accesi della libertà di parola post-Hebdo  denunciare il governo francese e quello belga per questi attacchi alla libertà di espressione.

Nelle settimane che hanno seguito la marcia per la libertà di parola, decine di persone in Francia "sono state arrestate per discorsi di incitamento all'odio o per azioni di oltraggio di altre fedi religiose o per fare il tifo per gli autori degli attentati". Il governo " ha ordinato agli inquirenti di dare un giro di vite su incitamento all'odio, anti-semitismo e glorificazione del terrorismo". Non c'è stata alcuna marcia in difesa dei diritti di libertà d'espressione di queste persone.



In ottobre la Corte suprema di Francia ha confermato l'accusa mossa verso alcuni attivisti, i quali promuovevano il boicottaggio e le sanzioni contro Israele come strumento per porre fine all'occupazione. Cos'hanno fatto questi criminali? Sarebbero "arrivati al supermercato indossando magliette con su le scritte 'Lunga vita alla Palestina, boicottiamo Israele' ed inoltre distribuivano volantini che dicevano 'comprare prodotti israeliani vuol dire legittimare i crimini in Gaza'" Dal momento che il boicottaggio verso Israele viene considerato "anti-semitico" dalla corte francese, era un crimine promuoverlo
Dov'erano tutti i crociati post- Hebdo  quando questi 12 individui sono stati giudicati criminali per aver espresso le proprie opinioni politiche,  critiche verso Israele? Da nessuna parte.

Più in generale, il governo francese ha acquisito "poteri d'emergenza" all'alba degli attentati di Parigi, poteri che in origine dovevano durare 12 giorni. Poi sono stati estesi a tre mesi ed ora, all'avvicinarsi della scadenza, si parla di estendere quelle misure indefinitamente o permanentemente. Quei poteri sono stati utilizzati esattamente dove si sospetterebbe: per presentarsi senza mandato nei luoghi d'incontro dei musulmani francesi, per chiudere moschee e bar, per detenere persone senza capi d'accusa e ad ogni modo per abolire libertà fondamentali. Ora sono stati usati anche al di là della comunità musulmana, contro gli attivisti ambientalisti
Se questa sorta di classica repressione strisciante non vi disturba, allora potete dire di essere molte cose, ma non genuini difensori della libertà di espressione in Francia.

Persino prima degli omicidi di Hebdo, le persecuzioni in Europa contro i musulmani per via delle loro opinioni politiche erano piuttosto comuni, specialmente nel caso in cui tali opinioni fossero critiche delle politiche occidentali. In effetti, una settimana prima dei fatti di Charlie Hebdo, avevo scritto un articolo in cui esponevo in maniera dettagliata la minaccia montante verso la libertà di parola in Regno Unito, Francia ed in tutto l'occidente. Quel tipo di misure - portate avanti dai governi più potenti del mondo - erano e rimangono la più grande minaccia alla libertà di parola in occidente. Tuttavia ricevono una piccolissima frazione dell'attenzione ricevuta dalle uccisioni di Hebdo.

Dov'erano e dove sono tutti gli auto-proclamatisi paladini della libertà di parola rispetto a tutto questo? È stato solo quando i fumetti anti-Islam erano in questione e pochi musulmani coinvolti in atti di violenza, che essi sono diventati improvvisamente appassionati riguardo alla libertà di parola. Questo perché la loro vera causa era legittimare la retorica anti-Islam e demonizzare i musulmani; la libertà di parola era solo un pretesto.

In tutti questi anni in cui mi sono battuto in difesa della libertà di parola, non ho mai visto - come nel caso degli omicidi di Hebdo  - questo principio sfruttato così spudoratamente per altri scopi da gente che chiaramente non ci crede. È stato tanto trasparente quanto disonesto : la loro vera agenda si vede da come hanno inventato un nuovo standard di libertà di parola adatto a quell'occasione: al fine di difendere la libertà di parola, uno non deve solo difendere il diritto di esprimere un'idea, ma deve anche sposarla.

Questo "principio" appena coniato è in effetti l'antitesi esatta delle genuine protezioni della libertà di parola. Centrale per una vera credenza nei diritti di libertà d'espressione è la posizione per cui tutte le idee - da quelle che uno condivide ferventemente a quelle che uno condanna, con tutto quel che ci sta in mezzo - hanno il diritto di essere espresse e difese senza per questo essere punite. Le più importanti e più coraggiose difese della libertà di parola sono arrivate tipicamente da coloro i quali, contemporaneamente, esprimevano disprezzo per un'idea mentre difendevano il diritto di altre persone di esprimerla liberamente. Questo è il principio che da tempo definisce l'autentico attivismo collegato alla libertà di parola: quelle idee espresse sono spregevoli, ma io mi batterò per difendere il diritto di altri di esprimerle.

Coloro che hanno sfruttato gli omicidi di Hebdo  cercavano di abolire questa distinzione vitale. Hanno insistito nel dire che non era abbastanza denunciare o condannare gli assassini dei fumettisti di Hebdo . Hanno provato invece ad imporre un nuovo obbligo: uno deve celebrare ed abbracciare le idee dei disegnatori di Hebdo, supportare il fatto che vengano premiati, esultare per il contenuto delle loro opinioni. Il non condividere le idee di Charlie Hebdo (invece che solamente il loro diritto alla libertà di parola) avrebbe comportato le accuse - da parte degli artisti più viscidi al mondo - di non sostenere la loro libertà d'espressione o, peggio, di simpatizzare con i loro killers. 

Questa facile tattica di bullismo - provare a forzare la gente non solo a difendere il diritto alla libertà di parola di Hebdo  ma anche di sposarne le idee espresse - è durata fino adesso (ma solamente quando si tratta di discorsi che criticano i musulmani). Un anno dopo, è ancora molto comune sentire dei sostenitori del militarismo occidentale accusare falsamente porzioni "della sinistra" di aver approvato o giustificato l'attacco a Charlie Hebdo, per il mero fatto che si son rifiutati di esultare per il contenuto delle idee di Hebdo.

Quest'accusa è un'assoluta, dimostrabile bugia, un'ovvia calunnia. Non ho mai sentito una singola persona a sinistra esprimere qualcosa di diverso dalla repulsione per l'omicidio di massa dei fumettisti di Hebdo , nè ho sentito qualcuno a sinistra insinuare che gli omicidi fossero "meritati" o che i disegnatori "se la fossero cercata". Di sicuro ho sentito, e l'ho espresso io stesso - opposizione verso l'instancabile targhetizzazione di una minoranza marginalizzata in Francia da parte dei fumettisti di Hebdo  (tale critica, a proposito, è stata espressa in maniera molto eloquente da un ex membro dello staff di Hebdo , Olivier Cyran: "il martellamento ossessionante contro i musulmani al quale Hebdo  si è dedicato per più di un decennio ha avuto davvero degli effetti. Ha contribuito potentemente a popolarizzare, fra le opinioni 'di sinistra', l'idea che  l'Islam sia uno dei problemi principali della società francese"). Ma le obiezioni al contenuto di un'idea ovviamente non denotano e neppure insinuano il fallimento nel sostenere il diritto alla libertà di parola di coloro che esprimono tale idea: a meno che non si stia abbracciando il dannoso,  ingannevole, interamente nuovo concetto che uno possa solo difendere la libertà di parola di quelli con cui concorda. 

Ma ciò evidenzia come la libertà di parola non fosse il principio sostenuto qui; essa è stata usata come arma da alcuni occidentali tribali per costringere la gente ad approvare i fumetti anti-Islam ed anti-musulmani (non ad approvare meramente il diritto a pubblicare i fumetti senza punizione o violenza, ma ad approvare i fumetti stessi).

E ciò che ancora più potentemente dimostra la falsità al cuore di questo spettacolo post-Hebdo  è che prima della Marcia di Parigi, e specialmente dalla Marcia in poi - c'è è stato un assalto sistematico al diritto di libertà di parola per un altissimo numero di persone in Francia ed in tutto l'Occidente, a musulmani e/o ai critici dell'occidente e di Israele ed i nuovi crociati della libertà di parola per Hebdo  non hanno esibito alcuna contrarietà al riguardo, anzi, tacito od esplicito consenso. Questo perché la libertà di parola era la loro arma cinica, non il loro vero credo. 


7 gennaio 2016

La disperata corsa saudita


di Pino Cabras.


La scena che si sta mostrando al mondo, dopo l'esecuzione dello sceicco sciita Nimr al-Nimr da parte delle autorità saudite, spiega bene dove volesse andare a parare Riad con questa macabra provocazione politica. Di fronte alle reazioni iraniane, prevedibili e tanto cercate, gli Stati più interconnessi con l'Arabia Saudita hanno fatto a gara a chi rompeva prima le relazioni diplomatiche con l'Iran. Il Bahrein, il Sudan e il Kuwait sono stati i più solerti nell'accodarsi alla scelta saudita. Ma è prevedibile che Riad premerà da subito su tutta la sua "clientela vicina", tutti gli stati arabi su cui ha gettato il grande peso dei propri petrodollari, a partire dall'Egitto, affinché chiudano le ambasciate iraniane e richiamino i propri ambasciatori a Teheran, blocchino i collegamenti aerei, rendano più accidentato il rientro dell'Iran nei salotti buoni della diplomazia.
Riad fa un calcolo forse disperato, ma certamente determinato: vuole sabotare con ogni possibile mezzo i risultati dell'accordo sul nucleare consacrato dalle massime potenze del pianeta, che ha finalmente riconosciuto un ruolo e un peso che l'Iran ha conquistato in mezzo ai disastri della "guerra infinita" angloamericana nel cosiddetto "Medio Oriente allargato". Dove gli altri hanno seminato caos, Teheran ha offerto un ordine politico più efficace, fino a porsi al centro di un crocevia di portata mondiale.
Pochi in Occidente ricordano che il presidente iraniano Rouhani è anche il presidente del Movimento dei paesi non allineati, che raccoglie 120 Stati che rappresentano i due terzi della popolazione mondiale. Ma soprattutto, dopo l'accordo sul nucleare, l'Iran recupera le essenziali relazioni con gli Stati più potenti, cosicché il suo peso nella regione mediorientale aumenta. All'Arabia saudita tutto questo non piace, come possiamo dedurre da altri fatti.
Le azioni dei sauditi di questo drammatico inizio del 2016 vanno infatti legate ad altre loro recenti azioni. L'intervento aereo russo in Siria è stato abbastanza forte da togliere ogni velo con cui l'Arabia saudita provava fin qui a coprire il suo sostanzioso appoggio alle milizie jihadiste. Di fronte al tentativo della grande diplomazia - che intende replicare per la Siria l'esperienza di successo del negoziato 5+1 per l'Iran - il Regno saudita è stato costretto in fretta e furia a organizzare nel dicembre 2015 una "sua" conferenza internazionale delle opposizioni contro il presidente siriano Assad. Come per dire: non ci escluderete di certo, anche quando la nostra mostruosa creatura Frankenstein, l'ISIS-Daesh, dovesse risultare definitivamente sconfitta.
Nel frattempo l'Arabia Saudita, in coalizione con i suoi "clientes", ha continuato la sua aggressione allo Yemen, scaricando su uno dei paesi più poveri del mondo (ma che è la porta del Mar Rosso) una quantità impressionante di bombe, con risultati che risultano criminali dal punto di vista dei costi umani, disastrosi dal punto di vista dell'efficacia militare e astronomici dal punto di vista finanziario.
Sempre sul fronte finanziario, i sauditi da un anno in qua stanno scommettendo su una grande operazione: pompare tantissimo petrolio, così tanto da far abbassare il prezzo, in modo da strangolare i paesi la cui economia si regge in grande misura sull'esportazione di idrocarburi. Tra questi, ancora l'odiato Iran, ma soprattutto la Russia (ripetendo uno schema che sul finire degli anni ottanta aveva piegato l'URSS), e persino l'industria nordamericana dello shale oil, che risulterebbe soffocata nella culla dopo qualche anno di prezzi così bassi.
Solo che la coperta è corta: i ricavi sono crollati anche per l'Arabia saudita, che ha meno denaro con cui comprare alleati e che sperimenta deficit inediti, in grado di farla collassare. Non è ancora crollata, certo, ma la classe dirigente gioca ormai con un elemento di disperazione in più.
È in questo contesto che si legge meglio anche la recente stretta che i sauditi hanno imposto ai media, fino a far oscurare Al Manar, la TV degli Hezbollah libanesi, dal satellite Arabsat, assieme ad altri canali sgraditi, ugualmente testimoni scomodi delle tragedie militari causate o sponsorizzate da Riad.
Altre mosse sono andate in controtendenza, come accade nelle scacchiere geopolitiche, che muovono i pezzi in modi strani e difficili da leggere. Ad esempio, perfino Riad non può estraniarsi dalla rinascita della Russia come grande potenza, tanto che si sono moltiplicati i viaggi dei dignitari sauditi a Mosca, alla ricerca di un nuovo "modus vivendi" in Medio Oriente, con promesse di affari reciprocamente vantaggiosi, forniture militari, disponibilità a considerare un ruolo meno preponderante degli USA negli equilibri regionali. Tutti sanno la misura dei danni che possono infliggere e subire (e che viceversa possono non infliggere e non subire). Ad esempio il wahhabismo saudita ha una forte influenza ideologica e militare sulla galassia jihadista che potrebbe intensificare le sue azioni nel Caucaso e in tutto il fianco sud dell'ex URSS, ponendosi come una minaccia concreta alla sicurezza russa e ad ogni tentativo di "Via della Seta" dell'Eurasia del futuro. Per contro, i sauditi hanno capito benissimo il messaggio recapitato dai missili da crociera Kalibr che dal Mar Caspio hanno colpito in Siria: quei missili russi hanno un raggio d'azione in grado di colpire con precisione devastante qualsiasi punto della penisola arabica.
Le cancellerie di mezzo mondo ora sono in allarme. La cadenza dei cambiamenti diplomatici avvenuti in una sola settimana va a una velocità troppo insostenibile, perciò tutti, a partire dal Segretario generale dell'ONU, invitano a trovare canali di dialogo. Gli scenari di guerra e di pace lungo l'arco di crisi mediorientale somigliano sempre di più a una corsa contro il tempo. Fra tutti i giocatori che sfidano il calendario, i sauditi sembrano essere i più impazienti.




3 gennaio 2016

Il regno saudita vuole incendiare il mondo

di Pino Cabras


La decisione saudita di giustiziare barbaramente una personalità venerata dal mondo sciita, come lo sceicco Al-Nimr, è un atto cinico che vuole bruciarsi tutti i ponti alle spalle, una disperata intenzione di alimentare un conflitto totale in seno al mondo islamico per impedire ogni barlume di pacificazione che dovesse nascere dalla sconfitta militare dell'ISIS e degli altri jihadisti (sponsorizzati dai piranhas delle petromonarchie e dal sultano hitleriano di Ankara con la complicità dell'Occidente). 

Non è dunque una faccenda interna all'orrendo regno oscurantista dei Sauditi, bensì un innesco bellico studiato per alimentare caos e guerra su scala internazionale, dentro uno scacchiere sconfinato. 

Le complicità del mondo NATO con queste classi dirigenti ci hanno messo ormai in grave pericolo come popoli. 
Per difenderci dovremo fare una grande "operazione verità'" sulla pace e sulla guerra, sugli amici e i nemici del jihadismo, sugli affari sporchissimi che coprono le premesse di un vasto conflitto che può sconvolgere il mondo.
Nel frattempo, l'Arabia Saudita è solo un ISIS che ce l'ha fatta.



Tratto da: http://megachip.globalist.it/Secure/Detail_News_Display?ID=124988&typeb=0.




21 dicembre 2015

La guerra dei media in Europa e in Medio Oriente

Pandoratv.it

C’è un Islam che lotta strenuamente contro l’ISIS. Muore in battaglia e produce un nuovo giornalismo, come la TV libanese di Hezbollah, Al Manar. L’Arabia Saudita l’ha voluta oscurare dal satellite Arabsat.
Ma prima ancora questa TV l’avevano già oscurata gli europei con Eutelsat.
Al Manar mi ha intervistato in proposito.



Fonte: http://www.pandoratv.it/?p=5342.

14 dicembre 2015

Barbara Honegger – “Dietro la cortina di fumo”

da PandoraTV.

Barbara Honegger ha lavorato all’interno dell’Amministrazione USA e poi come giornalista investigativa esperta di questioni militari, sempre a contatto con la stampa di casa al Pentagono. In occasione del ‘Convegno contro la Guerra per un’Italia neutrale per un’Europa indipendente’, tenutosi a Roma il 20 ottobre 2015, ha rilasciato un’intervista a Pandora TV. 

Le ho chiesto di introdurre i temi principali del suo film ‘Behind The Smoke Curtain: What Happened at the Pentagon on 9/11, and What Didn’t, and Why it Matters’ (‘Dietro la cortina di fumo, cosa accadde al Pentagono l’11/9 e cosa non accadde, e perché conta’, ndt). Fra i temi affrontati, le tante esercitazioni militari che riproducevano fedelmente proprio quel che stava accadendo. 



 Fonte: http://www.pandoratv.it/?p=5289


7 dicembre 2015

Raymond McGovern: “Restiamo Umani”

Pandora TV.

L'emozionante intervento tenuto da Ray McGovern al Parlamento Europeo il 1° dicembre 2015 all’interno del IX Forum Russo-Europeo
McGovern è stato un analista della CIA dal 1963 al 1990 ed è tra i fondatori del gruppo dei “Veterani Professionisti dell’Intelligence per il Buon Senso”. Per anni ha preparato il briefing mattutino dell'intelligence per il Presidente USA. 
In mezzo alle sue analisi originali e informate, sorprende tutti con una bellissima poesia in russo, che smuove il cuore dei presenti. 
Da non perdere il modo in cui invita a lottare per la pace.

http://www.pandoratv.it/?p=5176

 Fonte: http://www.pandoratv.it/?p=5176.


5 dicembre 2015

Gli sponsor dell'ISIS oscurano la TV Al Manar

di Pino Cabras.
da Megachip.



Ora tocca alla TV libanese Al Manar, subire un durissimo colpo che viene da chi protegge l'ISIS-Daesh. L'emittente di Hezbollah, il movimento di resistenza sciita che negli ultimi mesi ha inflitto numerose sconfitte sul campo ai miliziani di Daesh e di Al-Nusra, è stata oscurata dalla piattaforma satellitare della Lega Araba, Arabsat, che ha sede in Arabia Saudita e trasmette canali di venti paesi arabi. L'interruzione è avvenuta senza preavviso e senza spiegazioni, violando clamorosamente i contratti. Gli sponsor dell'ISIS giocano ormai a carte scoperte e non rispettano più nessuna regola, né contrattuale, né legale-costituzionale, né militare: non vogliono fra i piedi un giornalismo che li ostacoli. Si assiste a una vera accelerazione negli ultimi mesi (specie in Turchia, ma non solo): censure, interventi squadristici contro le redazioni, carcere per i direttori dei giornali, canali TV fatti chiudere a forza, centinaia di cronisti licenziati. Qualche giornalista muore in circostanze controverse, e sempre dopo minacce di morte.
Quasi nessuno in Occidente conosce la vicenda della giovane Serena Shim, dell'iraniana Press TV, morta un anno fa in uno strano incidente dopo essere stata accusata dai servizi di sicurezza turchi di essere una spia e minacciata di morte, a seguito di un suo servizio che denunciava la collusione del governo turco con l'ISIS. In particolare, aveva osato svelare il caso degli autocarri carichi di combattenti dell'ISIS che oltrepassano il confine tra Turchia e Siria, spesso con le insegne di organizzazioni non governative o dell'ONU.

In Occidente l'unico caso che sta iniziando a bucare l'indifferenza riguarda due giornalisti, Can Dündar, direttore del quotidiano di Istanbul Cumhuriyet, e il capo-redattore del suo ufficio di Ankara, Erdem Gül, entrambi in prigione dal 26 novembre. Anche per loro l'accusa è spionaggio e terrorismo. Avevano semplicemente pubblicato le prove che dimostravano che i servizi segreti turchi consegnano tante armi ai gruppi islamisti in Siria. Eppure, a parte qualche appello, la massa che diceva "Je suis Charlie Hebdo" ora non dice nulla. Così come difficilmente dirà qualcosa sul caso di Al Manar.

Perché dunque questa accelerazione? Il fatto è che l'intervento militare russo in Siria ha messo a nudo tutte le ipocrisie occidentali e mediorientali sulla questione ISIS: i suoi tanti sponsor non possono più nascondersi, e perciò reagiscono cercando di silenziare le testate che non controllano.

È in questo quadro che ora le petro-monarchie vogliono chiudere la bocca ad Al Manar. Ci aveva provato già Israele, nel 2006: durante l'invasione del Libano l'aviazione israeliana colpì ripetutamente con missili la sede della TV a Beirut. L'attacco del 16 luglio distrusse l'edificio di Al Manar, ma l'interruzione durò appena dieci secondi: la redazione si era preparata a trasmettere in emergenza da località sconosciute e gli israeliani non potevano far nulla per controllare la piattaforma satellitare ArabSat. Solo che ora ci pensano direttamente i piranhas di Riad.

Ai dirigenti sauditi non stavano piacendo i continui reportage di Al Manar dallo Yemen, il paese che da mesi subisce l'aggressione di Arabia Saudita, Qatar e altri paesi loro clienti e alleati: i continui bombardamenti hanno già causato migliaia di morti civili, centinaia di migliaia di sfollati, e dieci milioni di persone senza più acqua potabile (metà della popolazione yemenita). Si tratta di una catastrofe originata da veri e propri crimini di guerra, alimentati da un'enorme quantità di bombe che proviene anche dall'Italia. La redazione di Al Manar non solo mette in prima serata questa guerra orrenda, ma è capofila di una federazione di decine di canali mediorientali (anche dello Yemen) che stanno formando sul campo centinaia di videoreporter in grado di confezionare eccellenti servizi, spesso girati con un semplice telefonino.
Tuttavia, la quasi totalità dei cittadini occidentali non sa nulla di queste guerre né di questo giornalismo. I padroni della comunicazione europei, per esempio, nel 2012 cacciarono dalla piattaforma Eutelsat i canali satellitari iraniani, senza che i giornalisti e i politici europei trovassero nulla da obiettare. La Francia aveva proibito Al Manar già nel 2004, assimilando la redazione a un gruppo terroristico e accusandola di antisemitismo. Altri paesi europei seguirono.
Già prima ad Al Manar era stato precluso il sistema statunitense Intelsat.

Rimaneva Arabsat, attraverso cui Al Manar ha raggiunto ogni giorno un pubblico pan-arabo di decine di milioni di telespettatori, ponendosi come la più combattiva comunicazione anti-ISIS esistente. In un mondo normale sarebbero i primi alleati di chi volesse davvero estirpare Daesh. Invece l'Europa li ha censurati da tempo, mentre ora - improvvisamente - li censura il sistema di alleanze che copre l'ISIS.

Chi ha a cuore la libertà di parola deve capire ora la gravità di questo fatto, che ricade anche sull'Occidente. Negli ultimi dieci anni si erano formati nuovi equilibri nell'informazione globale. Vari paesi hanno proposto con forza una propria visione autonoma in contrasto al flusso informativo dominato dalle potenze anglosassoni. Le emittenti emergenti (la libanese Al Manar, l'iraniana Press TV, la russa RT, la venezuelana Telesur, ecc.) hanno partecipato con un punto di vista certo "di parte". Ma per l'appunto grazie a questa parzialità, mostrano al mondo interessi "altri", e conquistano un nuovo pubblico, ormai stufo dell'informazione prodotta dalla fabbrica dei media nostrana, al netto degli ingenui che pensano che la CNN e altri giganti mediatici siano "neutrali".

Se queste voci "altre" non useranno un sistema autonomo di trasmissione, cioè se non trasmetteranno con propri satelliti, rimarranno sempre vulnerabili rispetto a chi combatte la guerra da un'altra parte della barricata e può decidere di spegnerli da un momento all'altro. Questo discorso vale anche per i canali russi, che sono già entrati nel mirino della NATO e dei suoi maggiordomi. Si parla ormai apertamente di misure per bloccare l'informazione proveniente da un mondo considerato nemico. Qui, nell'Occidente che presume ancora di essere il luogo del "libero" confronto delle idee.
Un imperdibile "manuale" sull'argomento lo ha scritto Roberto Quaglia, converrà padroneggiarlo.

Siamo appena agli inizi di una dittatura che usa la lotta all'ISIS per giustificare restrizioni alla libertà e censure, ma che poi usa queste restrizioni e censure a danno di chi combatte davvero l'ISIS. Sembra un paradosso, ma è il ritratto del doppiogiochismo che sta affossando le democrazie.
Basterebbe poco, con un certo clima di allarme bellico, per "erdoganizzare" e "saudizzare" anche il sistema europeo, che ormai è sempre più istituzionalmente pronto a questa pericolosa mutazione.

Dobbiamo capire da subito che il punto di vista altrui è la garanzia del punto di vista nostro. Difendere Al Manar ed esigere che la TV non sia oscurata è una questione che ci riguarda da vicino.