26 dicembre 2011

Draghi e i vampiri

di Pino Cabras – da Megachip.

 
Solo gli illusi, purtroppo ancora tanti e inguaribili, potevano sperare che il recente inserimento delle punte di diamante di Goldman Sachs nel cuore della sfera pubblica europea – Draghi, Monti e Papademos - non si sarebbe tradotto in una cuccagna per le banche e in una rovina per le classi medie.
Nessuno però arrivava a pensare che i protagonisti potessero essere così spudorati.
Ma finché avremo presidenti come Napolitano e copertine dell’Espresso che fanno di Napolitano “l’uomo dell’anno”, lo scandalo sarà sopito e troncato. Cos’è successo?
Mettiamola così. Ci viene imposto uno “stato di eccezione” che – dicono – deve “cambiare tutto”: niente di quanto abbiamo è acquisito, e ogni nostra sicurezza sociale deve poter precipitare dalla sera al mattino, per salvarci.
Viceversa, nessuna urgenza può scalfire le regole immutabili della Banca Centrale Europea. Ci descrivono il sacro.
E il sacerdote Mario Draghi lo ripete: non può prestare soldi agli Stati, non può comprare i buoni del Tesoro. Il debito non può essere ingoiato in modo diretto dalla sua moneta creata dal nulla. Può esserlo però in un modo indiretto, ad esempio prestando mezzo trilione di euro alle banche, affinché queste corrano ad acquistare i buoni dei PIIGS, maledetti maiali-cicala. Con l’idea che le banche paghino alla BCE un tasso dell’1%. E che gli Stati paghino alle banche interessi ben più corposi, fino al 7% e oltre: lucro per le banche, tagli per lo stato sociale, insostenibilità economica. L’Italia di Monti e Napolitano, insomma. L'Europa di Draghi.
Ma è possibile che nessuno si ribelli a questo controsenso? Cioè all’assurdità di essere impiccati al profitto preteso da chi dovrebbe solo fallire (se il famoso mercato esistesse davvero)?
Nel mondo alla rovescia ci dicono invece che non può esistere una cosa che funzionerebbe in modo più semplice e ci toglierebbe il cappio dal collo: da Francoforte potrebbero prestare quel mezzo trilione direttamente agli Stati, a tassi di interesse bassissimi. Agli Stati sarebbe risparmiato l’affanno di procacciarsi quella provvista sui mercati offrendo tassi d’interesse elevatissimi (insostenibili anche per un’economia in boom, figuriamoci per una in recessione). Lo spettro del default imminente e lo spettro dei rating sarebbero così debellati, e senza chiamare i ghostbusters. Specie se questi ghostbusters, i banchieri, sono essi stessi dei morti viventi, in termini di credito. Alle casseforti di Francoforte – per loro prodighe - le banche non hanno infatti da offrire granché in garanzia, se non “collaterals” buoni per pulirsi il culo. Ma Draghi non solleva nemmeno un sopracciglio.
E nemmeno Monti, che si è premurato di controgarantire la loro papiraglia - scoperta come una cabriolet - con un impegno del governo italiano.
È come la guerra: mentre nell’ordinamento civile la regola è non uccidere, in guerra è l’opposto. Allo stesso modo, la guerra dei signori banchieri mette in pratica comportamenti che normalmente sarebbero sanzionati con leggi penali. Per lorsignori, niente manette della guardia di finanza, il rischio è semmai di diventare uomini dell’anno.
E se tanto mi dà tanto, il quadro delle garanzie messo in moto dal governo Monti, lungi dal far calare il debito, lo ha incrementato, perché quel che dovevano garantire le banche lo garantiamo noi, in aggiunta a quanto già ci strozzava. Congratulazioni.
È il capolavoro di un’ideologia apparentemente anti-statalista, che arriva all’assurda intransigenza di non prestare a basso interesse agli Stati (le regole sacre della BCE), perché troppo comodo, troppo poco liberista. Ma che prevede che lo Stato copra tutte le acrobazie speculative terminali dei superfalliti.
Poi è successo che dall’Eurotower un fiume di liquidità si è dovuto ugualmente riversare a comprare titoli di stato lungo la sponda sud dell’Euro: le banche non si stanno scapicollando per acquistarli. Se il lupo non perde il vizio, punteranno ancora a qualche alchimia derivata per imbellettare i propri attivi, mostrarsi apparentemente più solvibili, e chiedere ancora più soldi, perché mezzo trilione di euro è ancora poco per le loro voragini.
Come a dire: i mercati non sono mercati. Siamo allo statalismo più assistenziale e classista che si sia mai visto, riverniciato con un’ideologia liberista. Centinaia di milioni di individui e famiglie, milioni di storie, intere classi, interi insediamenti sociali costruiti nel corso di generazioni, dovrebbero essere sacrificati al più costoso, inutile e disordinato programma assistenzialistico della storia, volto a salvare l’attuale assetto della finanza.
Le banche, il cui mestiere sarebbe assistere con prestiti e affidamenti chi investe sul futuro, non sganciano più nulla e anzi sono foraggiate. Una mostruosità.
L’obiezione che il denaro facile ha spinto gli Stati a indebitarsi troppo può essere abbattuta da una contro-obiezione: e il denaro facile elargito alle banche non le spinge forse a debiti che sono perfino multipli di quelli degli Stati? E c’è di peggio. Gli Stati, ormai colonizzati dai banchieri, coprono esattamente quel superdebito con garanzie che nessuno giustificherebbe a cuor leggero, se non Letta Letta.
Nel 2012 le scommesse impossibili appariranno nude: come calcola Aldo Giannuli, «nell’anno prossimo, fra titoli sovrani, obbligazioni di enti pubblici minori, corporate bond (debiti d’impresa), obbligazioni bancarie, scadono titoli per 11.000.000.000.000 (undicimila miliardi) di dollari. Faccio grazia degli spiccioli. Ve l’ho scritto con tutti i 12 zeri per farvi apprezzare la cifra in tutta la sua imponenza: si tratta di poco meno di un sesto del Pil mondiale e di circa l’11% dell’intero debito mondiale.»
Non saranno i giochetti degli ometti di Goldman Sachs che potranno salvarci dal debito. Prima ricollocheremo i loro comportamenti nell’ambito del penale, prima avremo speranza di risorgere.

18 dicembre 2011

La Depressione, la Distruzione Creatrice e la Guerra

di Felice Fortunaci – da Megachip.


Christine Lagarde, direttrice del FMI, va nel solco di quanto detto più volte negli ultimi tempi anche dalla cancelliera tedesca Angela Merkel. Due fra le figure istituzionali più potenti del mondo hanno dato via libera al ritorno della parola Depressione, e a tutte le paure economiche e politiche da essa richiamate.  Chi ha responsabilità pubblica a quel livello non accenna alla "possibilità" di un depressione se non c'è la concreta prospettiva di una "reale" depressione. La depressione, a differenza della recessione, non si presenta come una fase “ciclica” fra le tante del sistema capitalistico. È invece una notevole flessione di lungo periodo nelle attività economiche, per giunta in più economie di vari paesi.

Le preoccupazioni che nascono da una recessione vengono lenite dall’invocazione di una “ripresa”. Quando questa “ripresa” viene attesa invano come il Godot di Beckett in un mare di frasi assurde, allora è pienamente una “depressione”. Soprattutto se alla durata interminabile si accompagnano incrementi massicci e anomali dei tassi di disoccupazione, drammatiche strette creditizie collegate a crisi bancarie e finanziarie sistemiche, cali produttivi, fallimenti non solo di privati ma di debiti sovrani, nonché riduzioni nel commercio internazionale. Più la deflazione.
Ecco, la depressione, è uno scenario che sconvolge assetti politici e ne crea di nuovi. L’ultima volta in Occidente portò a tassi del 30% di disoccupazione, e al diffondersi dei fascismi.
Come se ne uscì è controverso nella storia disegnata dagli economisti, anche se molti pensano che avesse ragione Schumpeter. Si organizzò una «distruzione creatrice» (quando si dice "si" organizzò non ci si immagini qualcuno che fa piani segreti: si arrivò per la forza delle spinte cieche degli interessi e delle dinamiche intrinseche ai sistemi geografici - politici - economici e culturali).
La distruzione fu la Seconda Guerra Mondiale, la creazione furono i successivi gloriosi trent’anni, quel periodo che va dal 1945 al 1975 (o poco prima).
Identificare se si tratti di recessione o depressione cambia la percezione delle cose. Se ci illudiamo che sia recessione avremo anche noi quella sorta di fiducia messianica («tanto poi le cose s'aggiustano») che va da Mario Monti a Vendola, fino a insinuarsi addirittura in chi anima i Comitati No Debito.
Se invece interpretiamo quel che accade con lo schema della depressione economica, le implicazioni sono molto più spaventose.
S'impone infatti un problema grosso ed imminente, la sparizione del lavoro e del reddito, la base stessa della cittadinanza.
Un problema sistemico che le ideologie neoliberali aggravano, ma che si pone come un enigma irrisolto anche per chi critica il sistema economico e politico. La macchina non funziona più, e non funziona per tutti.
La Grande Depressione che seguì il 1929 fu effettivamente risolta solo con la II Guerra Mondiale, non con il keynesismo, che venne attuato dopo, nei primi decenni del ciclo sistemico di accumulazione statunitense aperto da Bretton Woods.
La Grande Depressione del 1929 era il secondo atto della crisi sistemica del ciclo di accumulazione ad egemonia britannica. La crisi di questo ciclo iniziò con la Grande Depressione 1873-1896, che sfociò nella finanziarizzazione della Belle Epoque e poi nella I Guerra Mondiale (preludio alla seconda).
Il concetto di distruzione creatrice di Schumpeter è stato visto tipicamente come un fatto economico. Si distrugge, così si può ricreare: si distrugge il vecchio così si può creare il nuovo, ad esempio con l'innovazione.
Ma ha anche un’altra valenza (che però era solo implicita nell'economista Schumpeter):  è anche una distruzione di un assetto geopolitico mondiale per dar luogo a un assetto differente.
In entrambi i casi si ha a che fare con il meccanismo, vitale per il capitalismo, di «conquista di “esternalità”».
Queste esternalità sono nella Società (forza-lavoro), nella Natura (trasformata in innovazione di prodotto), ancora nella Natura per accaparrarsi le materie prime, nella Geografia per conquistare mercati e risorse.
Ebbene, oggi queste esternalità sono in evidentissima crisi. Scarseggiano. Sono insufficienti per limiti naturali (picco del petrolio, inquinamento, etc.), difettano per via di limiti geopolitici (enormi spazi geografici - e quindi naturali - sono sotto la giurisdizione di enormi stati-nazione continentali, India, Cina, Russia, Brasile, e delle loro aree d'influenza).
Per farla breve, se vogliamo fare un paragone, con le bolle di Reagan-Clinton (bolla finanziaria e bolla new economy) abbiamo vissuto una seconda Belle Epoque finanziaria. Poi le bolle sono scoppiate. Hanno tentato di rigonfiarsi succhiando dai debiti sovrani.
Dopo l'11 settembre 2001 è come se fossimo arrivati alla I Guerra Mondiale (Afghanistan, Iraq, Libia, Yemen, Somalia, Siria, e il resto della tabella di marcia del Pentagono spifferata dal generale Wesley Clark).
E allora, quant’è grande ed estesa questa Depressione? Ogni crisi sistemica è in scala più alta delle precedenti, ogni crisi sistemica ha bisogno di maggiori risorse delle precedenti per essere risolta capitalisticamente, ogni crisi sistemica ha però a disposizione minori risorse fisico-socio-geografiche delle precedenti.
Ne segue che potremmo essere di fronte ad una III Guerra Mondiale prima di quanto si possa pensare.
O si affronta di petto il problema assieme a chi ne è più consapevole, oppure faremo solo i buoni samaritani movimentisti. Nessun proposito politico ed economico può ignorare in quale quadro geopolitico andrà a collocarsi. Richard K. Moore avverte: «È una scacchiera multi-dimensionale, e con una posta in palio cosi alta, si può esser certi che il tempismo delle varie mosse sarà attentamente coordinato. E dalla forma complessiva della scacchiera, sembra che ci avviciniamo alla fine del gioco.»


Fonte: http://www.megachip.info/tematiche/kill-pil/7361-la-depressione-la-distruzione-creatrice-e-la-guerra.html.

9 dicembre 2011

Il Rigor Montis non è la soluzione



Per il debito ci sono alternative, e servono subito! Alcuni esempi.



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28 novembre 2011

Appuntamento a Macomer


La libreria Emmepi , il Centro Servizi Culturali di Macomer, l’Associazione Culturale VerbaVoglio

mercoledì 30 Novembre

vi invitano all’incontro pubblico con Giulietto Chiesa e Pino Cabras

per la presentazione del loro libro
BARACK OBUSH

Moderatore: Raffaele Manca


VI ASPETTIAMO

Alle 19.00 c/o la nuova sede del Centro Servizi Culturali

Padiglione Filigosa ( ex Caserme Mura), viale Gramsci, Macomer

25 novembre 2011

Appuntamenti a Sassari e dintorni


Sassari, 29 novembre 2011, ore 16:00.
Incontro-dibattito: 
Giulietto Chiesa e Pino Cabras, introdotti dal prof. Massimo Ragnedda parleranno de
"La grande truffa del debito pubblico". 
Tutto ciò che avresti voluto sapere sul debito pubblico e non hai mai osato chiedere ora potrai conoscerlo da chi fa un'attenta analisi della realtà politica dell'Italia in una Europa severa e molto fragile. 
Aula I - Facoltà di Lettere e Filosofia 2° piano.
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Usini (SS), 29 novembre 2011 
Presso l'Auditorium Comunale in via Padre Manzella (Scuole Elementari) di Usini, con ingresso libero, martedì 29 novembre alle ore 19, il giornalista e scrittore Giulietto Chiesa presenterà il suo ultimo libro, frutto di un lavoro a quattro mani portato a termine con il direttore editoriale di Megachip.info, Pino Cabras.
"Barack Obush", (Ponte alle Grazie, 2011).

22 novembre 2011

Noiosi Romantici Crudeli

di Paul Krugman - «New York Times.»

C'è una parola che ultimamente sento di continuo: “tecnocrate”. A volte viene usata come un termine di disprezzo: i creatori dell’euro, ci si dice, erano tecnocrati che non sono riusciti a tenere in conto i fattori umani e culturali. A volte è invece un termine elogiativo: i novelli primi ministri di Grecia e Italia sono descritti come tecnocrati che si eleveranno al di sopra della politica per fare quel che deve essere fatto.  Un attimo. Io lo so bene chi sono i tecnocrati; a volte ho ricoperto anch’io quel ruolo. E queste persone - le persone che hanno costretto l’Europa ad adottare una moneta comune, le persone che stanno costringendo sia l’Europa sia gli Stati Uniti all’austerità - non sono affatto tecnocrati. Sono, invece, dei romantici profondamente privi di senso pratico.
Essi sono, per essere precisi, una razza particolarmente noiosa di romantici, che si esprimono con una prosa altisonante anziché in poesia. E le cose che chiedono in base alle loro visioni romantiche sono spesso crudeli, al punto da implicare sacrifici esorbitanti a carico di lavoratori e famiglie comuni. Ma resta il fatto che quelle visioni sono guidate da sogni sul modo in cui le cose dovrebbero essere, anziché da una valutazione fredda delle cose così come sono realmente.
E per salvare l'economia mondiale, dobbiamo rovesciare questi pericolosi romantici dai loro piedistalli.
Cominciamo con la creazione dell'euro. Se pensate che questo fosse un progetto guidato da un calcolo accurato dei costi e dei benefici, siete stati male informati.
La verità è che il cammino dell’Europa verso una moneta unica è stato, fin dall'inizio, un progetto dubbio privo di una qualche analisi economica oggettiva. Le economie del continente erano troppo diverse per funzionare senza problemi con una politica monetaria unica e buona per tutti, troppo esposte alla probabilità che si verificassero "shock asimmetrici", in cui alcuni paesi crollavano, mentre altri andavano in boom. E a differenza degli Stati Uniti, i paesi europei non facevano parte di una singola nazione con un bilancio unificato e un mercato del lavoro tenuto insieme da una lingua comune.
Perché allora questi "tecnocrati" hanno spinto così fortemente per l'euro, ignorando i molti avvertimenti degli economisti? In parte era il sogno dell'unificazione europea, che l’élite del continente trovava talmente allettante che i suoi esponenti scartavano via le obiezioni pratiche. E in parte è stato un atto di fede economica, la speranza - guidata dalla volontà di credere, nonostante le ampie prove del contrario - che tutto avrebbe funzionato fin quando le nazioni avessero praticato le virtù vittoriane della stabilità dei prezzi e della prudenza fiscale.
Triste a dirsi, le cose non hanno funzionato come promesso. Ma invece che adattarsi alla realtà, quei presunti tecnocrati andavano a raddoppiare la posta: insistendo, ad esempio, sul fatto che la Grecia potesse evitare il default attraverso un’austerità spietata, mentre chiunque sapesse davvero fare i conti era consapevole di soluzioni migliori.
Lasciatemi mettere in evidenza, in particolare, la Banca centrale europea (BCE), che pure dovrebbe essere l'istituzione tecnocratica definitiva, e che è si è fatta notare parecchio per rifugiarsi nella fantasia non appena le cose andavano male. L'anno scorso, per esempio, la banca ha affermato di credere nella fata fiducia: vale a dire l'affermazione che i tagli di bilancio in una economia depressa in realtà promuovevano l'espansione, aumentando gli affari e la fiducia dei consumatori. Eppure, che strano, questo non è successo da nessuna parte.
E ora, con l'Europa in crisi - una crisi che non può essere contenuta a meno che la BCE faccia il passo di fermare il circolo vizioso del collasso finanziario - i suoi leader si aggrappano ancora all'idea che la stabilità dei prezzi sia la panacea di tutti i mali. La scorsa settimana Mario Draghi, il nuovo presidente della BCE, ha dichiarato che «ancorare le aspettative di inflazione» è «il grande contributo che possiamo fare a sostegno della crescita sostenibile, la creazione di occupazione e la stabilità finanziaria».
Questa è un'affermazione assolutamente fantastica da fare in un momento in cui si prevede che l'inflazione europea sia, semmai, troppo bassa, mentre ciò che mette turbolenza nei mercati è la paura di un collasso finanziario più o meno immediato. E suona più come un proclama religioso che come una valutazione tecnocratica.
Giusto per essere chiari, la mia non è una tirata anti-europea, visto che abbiamo anche noi i nostri pseudo-tecnocrati a distorcere il dibattito politico. In particolare, i gruppi di "esperti" suppostamente non di parte - il Comitato per un Bilancio Federale Responsabile, la Coalizione Concord, e così via – hanno avuto fin troppo successo nel dirottare il dibattito di politica economica, spostando la sua attenzione dalle tematiche occupazionali al deficit.
Dei veri tecnocrati avrebbero chiesto se questo avesse un senso nel momento in cui il tasso di disoccupazione è del 9 per cento e il tasso di interesse sul debito degli Stati Uniti è solo il 2 per cento. Ma come nel caso della BCE, anche i nostri bisbetici con la fissa del fisco hanno la loro propria versione su ciò che conta davvero, e vi si attengono a ogni costo, a prescindere da quel che dicono davvero i dati.
Quindi, sono forse contro i tecnocrati? Niente affatto. Mi piacciono i tecnocrati: i tecnocrati sono miei amici. E abbiamo bisogno di competenze tecniche per affrontare i nostri problemi economici.
Ma il nostro discorso è stato malamente snaturato da ideologi e illusi proni ai pii desideri - noiosi, crudeli  e romantici - che fingono di essere tecnocrati. Ed è il momento di sgonfiare le loro pretese.


Traduzione a cura di Pino Cabras.

10 novembre 2011

Monti, siamo pronti

di Pino Cabras – da Megachip.


Il vero potere ha gettato la maschera e le ultime vestigia della semi-sovranità italiana sono state demolite, nell’annus horribilis della nostra Repubblica, dopo che anche la guerra di Libia aveva svelato la disfatta di ogni autonomia nazionale. Nessuna urgenza economica al mondo può giustificare un peggioramento così repentino degli interessi del debito - oltre la soglia del non ritorno, oltre le convenzioni del default tecnico - come quello del 9 novembre 2011.
Solo un concorso di volontà decise a imprimere una svolta rivoluzionaria poteva scatenare un attacco di questa portata, micidiale quanto un colpo di stato.
A suggello di un giorno trionfale per la sovversione dall’alto decisa a livello di classi dominanti globali, il Presidente della Repubblica ha nominato senatore a vita Mario Monti, il tecnocrate italiano più organico all’élite planetaria, un vero cardinale del pensiero unico economico, uno dei padri nobili del feroce disastro sociale di questi anni, il babbo insensibile di tutti i precari, il fratello coltello di tutti i pensionati. L’uomo di Rockefeller e della Goldman Sachs, della Commissione Trilaterale e del Gruppo Bilderberg.
Queste sue affiliazioni sono fuori dai radar dei grandi media, persino ora che viene visto come Presidente del Consiglio in pectore, eppure sono il tratto vero del personaggio, in tutta la sua caratura internazionale. Il centrosinistra italiano ovviamente non ne parlerà, perché sulle questioni internazionali non decide, si fa decidere. Politica estera e politica monetaria, per loro, sono una sorta di entità data, che si riceve e non si discute. Fra i 100 punti del "Wiki-PD" di Matteo Renzi, per esempio, solo due o tre parlano di questioni internazionali, e solo vaghissimamente, mentre nessuno parla di moneta. Renzi è in buona compagnia. Tutte le classi dirigenti italiane sono inserite in un gioco di potere sub-dominante nel quale accettano un ruolo declinante dell’Italia: decidano altri. Il nucleo cesaristico della sovranità ha il baricentro in altre capitali, e lo avrà sempre di più: aiuterà a spolpare meglio e in pochi anni ricchezze costruite in generazioni.
Il Caimandrillo fu una volta definito dal suo medico “tecnicamente immortale”. Possiamo dire, politicamente, che è “tecnicamente morto”. Morendo politicamente lui, muore la cosiddetta Seconda Repubblica. La Terza Repubblica è già qui, e vuole scongelare tutto quello che è stato assurdamente paralizzato dalla lunghissima gelata berlusconiana. Monti sarà sostenuto da una squadra di curatori fallimentari del Sistema Italia che passeranno la ruspa sul tenore di vita di milioni di persone. Italia avrà il volto di Equitalia.
Così come nessuno, pur sapendosi mortale, crede fino in fondo e “davvero” alla propria inevitabile dipartita, allo stesso modo milioni di italiani, pur presi da certi inequivocabili presagi, non pensano che accadrà “davvero” anche da noi un’altra Grecia, così come fra chi sorseggiava un caffè turco nei locali di Sarajevo, nell’aprile 1992, nessuno accettava che i suoni di cannone che si udivano nelle vicinanze potessero “davvero” portare alla guerra, che invece puntualmente arrivò.
Non sono solo metafore. Sto parlando, per ognuno dei casi citati, della sottovalutazione esiziale degli effetti indotti da un crollo di sovranità, che si accentua in presenza di classi dirigenti inette e asservite a interessi lontani. Nessuna illusione su Giorgio Napolitano (anche se tanti agnelli sacrificali ne coltivano ancora). Niente illusioni su Mario Monti (anche se vorranno vendercele). Esattamente due anni fa in un articolo che – a rileggerlo – suona ancora tremendamente attuale, cercai di avvertire che la fine del Caimandrillo avrebbe palesato dolorosamente l’inservibilità di un’intera classe dirigente, tanto più davanti a una crisi economica sistemica come quella che si annunciava.
Dobbiamo costruire una classe dirigente alternativa. Dapprima in forma di un fronte sociale che difenda accanitamente ogni bene dalla rapina della tecnofinanza e rimetta in discussione l’attuale debito. Poi in forma di progetto politico consapevole di vivere in tempi rivoluzionari e inteso a conquistare sovranità in capo al popolo italiano. Siamo pronti o siamo Monti? Siamo pronti o siamo tonti? Stiamo pronti, o siamo morti. Stiamo pronti, che siamo molti.

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2 novembre 2011

Imposimato a Pandora TV: “11 settembre: sinora nessun processo, nessuna verità. Noi ci proviamo”.




In una videointervista rilasciata a Giulietto Chiesa su PandoraTV.it, il Presidente onorario aggiunto della Corte di Cassazione, Ferdinando Imposimato, conferma l’intenzione di presentare una denuncia presso la Corte penale internazionale dell’Aja per far aprire un processo a carico delle istituzioni che hanno concorso nelle stragi dell’11 settembre 2001.  
Imposimato aveva già annunciato questo intento clamoroso, ma pochissimi media ne hanno dato notizia fino ad ora. Ne parlerà di nuovo in occasione di una conferenza stampa che ha convocato il 3 novembre assieme all’ex senatore USA Mike Gravel, il politico che svelò al Congresso i Pentagon Papers, una sorta di Wikileaks degli anni settanta che demolì i segreti della guerra del Vietnam. 

Il magistrato italiano, in veste di giudice istruttore ha avviato a suo tempo i processi sui più importanti casi di terrorismo in Italia, dal processo Aldo Moro a quello sull'attentato a Papa Wojtyła, scoperchiando le ramificate interferenze nel terrorismo italiano dei servizi segreti di vari paesi, compresi quelli israeliani e perfino il KGB.
Nell’intervista a Giulietto Chiesa, Imposimato sottolinea l’assoluta insufficienza delle indagini ufficiali fin qui condotte sulle stragi dell’11 settembre, senza gli standard minimi normalmente assicurati negli ordinamenti anglosassoni dal “due process”. Il magistrato cita il caso del crollo che ha totalmente disintegrato tre torri del World Trade Center, avvenuto in pochi secondi e fin qui analizzato in via ufficiale solo da agenzie di esperti legate al governo USA, come il NIST.
«In casi di questo genere – spiega Imposimato – in tutti i paesi del mondo innanzitutto c’è un processo pubblico contro i responsabili», ossia la vasta rete dei complici dei presunti attentatori. «In questo processo pubblico bisognerebbe dare la possibilità ai familiari delle vittime di portare un contributo di conoscenza attraverso i propri esperti, perché secondo le regole del “Due Process of Law” - che sono state definite proprio negli Stati Uniti e nei paesi di “Common law” - bisogna che questi accertamenti non siano fatti da una sola autorità, che è l’autorità che difende lo Stato, e che è possibile responsabile dei fatti, ma che siano fatti nel “contraddittorio delle parti”: cioè, da una parte c’è l’esperto del pubblico ministero, del prosecutor, e dall’altra l’esperto nominato dai familiari delle parti offese».
Chiesa chiede a Imposimato se non gli sembri strano che – a parte il processo a Moussaoui, che però non ha partecipato agli attentati perché l’11 settembre era in carcere – nessun processo sia stato celebrato sulle stragi. «È un indizio di una volontà di coprire gli attentati che non si è vista in nessuna parte del mondo», scandisce Imposimato, che aggiunge: «Noi non possiamo accettare una verità che ci viene dal NIST». Nel prosieguo dell’intervista, Imposimato fa a pezzi “in punta di diritto” i pezzi di inchiesta fin qui portati avanti, come le “confessioni” estorte sotto tortura alla presunta mente degli attentati, Khaled Sheikh Mohammed, del tutto inutilizzabili in un qualsiasi processo.
Il magistrato, che è anche autore del libro “Terrorismo internazionale, la verità nascosta” (Koiné, 2002), spiega che le regole della Corte penale internazionale vincolano anche i paesi che non hanno firmato la convenzione e formalmente non ne riconoscono la giurisdizione: è stato così per la Libia di Gheddafi, e giuridicamente vale lo stesso anche per l’amministrazione USA. La denuncia non potrà dunque essere presa sottogamba.


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La conferenza stampa di Ferdinando Imposimato e Mike Gravel, su invito di Gianni Vattimo, Giulietto Chiesa e Fernando Rossi 3 novembre, presso la rappresentanza dell’Unione Europea a Roma, via IV novembre.

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Bush under trial?
The Italian judge (Ferdinando Imposimato), journalist (Giulietto Chiesa), and politician (Gianni Vattimo), together with former U.S. Senator from Alaska Mike Gravel (who will be coming to Rome this Thursday for the occasion),  will be launching a court case against the Bush administration for criminal cover-up of - and possible complicity in - the 9/11 attacks.
The case, to be brought before the International Criminal Court at The Hague, will be explained in detail.
Gravel will also explain how it may be possible to re-open the investigation into 9/11, this time with a Congressional Commission having power of subpoena and of obliging witnesses to testify under oath (not the case in the original investigation).
The initiative will be presented and discussed this Thursday, November 3, at 11 am in the "Sala delle Bandiere"  at the headquarters of the European Union in Rome, via IV Novembre 149 (near Piazza Venezia).
Beginning from 20:00 to-day on www.pandoraTv.it and www.megachip.info, it will be possibile to watch the exclusive interview  Mr. Imposimato gave to Mr.Chiesa on the subject.

Il Capo dello Stato che difende la gente di Gaza

di Pino Cabras - da Megachip.

È un uomo prudente e misurato, proviene da una lunga militanza nel partito più importante della sinistra ed è presidente della Repubblica. Poco tempo fa ha preso la parola con parole fermissime, argomentazioni lucide e allo stesso tempo accalorate per condannare l’embargo israeliano che strozza Gaza. Tranquilli però, il mondo non si sta rovesciando, non è Giorgio Napolitano. Figuriamoci se lui solleva la questione. Non lo farà mai. È invece il nuovo presidente dell’Irlanda, il politico-poeta laburista Michael D. Higgins, eletto con il 61 per cento dei voti. A metà del 2010 Higgins pronunciò nel parlamento di Dublino un vibrante atto d’accusa nei confronti del governo israeliano. Vi proponiamo il video che attesta il discorso. 



Michael d_higginsHiggins contesta il blocco attuato dalle forze armate di Tel Aviv come "illegale", enumera la lunga serie di violazioni del diritto internazionale perpetrate dallo stato ebraico, delinea la drammatica condizione umanitaria della striscia di Gaza (dove Higgins si è recato in diverse occasioni), e non manca di criticare la politica estera comunitaria, laddove questa mette al bando Hamas e con ciò si impedisce qualsiasi via negoziale.
Attorno al minuto 6’50’’ del video Higgins s’infervora contro la decisione di alcuni paesi europei (tra cui l'Italia) che si sono rifiutati di pronunciare la condanna del bombardamento di una scuola delle Nazioni Unite effettuato dall’aviazione israeliana durante l’operazione Piombo Fuso del 2008-2009, mentre altri paesi europei si erano pronunciati senza problemi.
Nel corso della sua carriera politica, Higgins ha pronunciato discorsi e petizioni contro le violazioni dei diritti umani avvenute in tanti paesi.
Non per questo appoggia la truffa delle “guerre umanitarie”. Da buon poeta ama il senso delle parole e non asseconda le loro derive orwelliane.
Higgins non sembra avere le intermittenze di quei politici che giustificano la guerra alla Libia «per evitare una catastrofe umanitaria a Bengasi» e poi coprono l’assedio che ha martoriato Sirte girandosi dall’altra parte.
Possiamo anche augurargli buon lavoro e scrivergli due righe di incoraggiamento per il suo nuovo ruolo istituzionale, grazie al quale la sua voce sarà udita con più forza: http://www.president.ie/index.php?section=4&lang=eng

31 ottobre 2011

Per una nuova indagine sull’11 settembre 2001

di Giulietto Chiesa - ilfattoquotidiano.it.
Mike Gravel, ex senatore dell’Alaska (noto per avere rivelato al mondo i Pentagon Papers, che documentarono l’inganno del Golfo del Tonchino, con cui l’America fu portata in guerra contro il Vietnam) e Ferdinando Imposimato, magistrato di gran parte delle inchieste italiane più scottanti contro l’eversione terroristica, annunciano due sensazionali iniziative:
- il primo con l’avvio di una procedura che potrebbe consentire di istituire, negli Stati Uniti, una Commissione d’inchiesta per riaprire il “caso” dell’11 settembre, dotata di poteri inquirenti e in grado di interrogare “sotto giuramento”;
- il secondo per chiamare l’Amministrazione Bush a difendersi, tra l’altro, dall’accusa di “concorso in strage” di fronte al Tribunale Penale Internazionale dell’Aja.
Lo faranno insieme, in pubblico, a Roma, il 3 novembre, alle ore 11 nella Sala delle Bandiere della rappresentanza dell’Unione Europea a Roma, via IV novembre, invitati da Gianni Vattimo, dall’ex senatore Fernando Rossi e dal sottoscritto (per inciso gli unici tre parlamentari italiani che hanno dichiarato in questi anni di non credere alla versione ufficiale della tragedia).
Immaginando le inevitabili geremiadi sul “complottismo” (ma definire Gravel e Imposimato in questo modo non sarà facile), vorrei qui riportare alcune citazioni di ben noti non complottisti DOC. Eccole:
Governatore Thomas Kean, presidente della Commissone ufficiale sull’11 settembre: “Noi pensiamo che la Commissione, in molti modi, fu costituita in modo tale da farla fallire. Perché non avemmo abbastanza denaro, non avemmo abbastanza tempo, e fummo nominati dalle più faziose persone a Washington”.
Membro del Congresso Lee Hamilton, co-presidente della stessa Commissione: “Io non credo un solo minuto che noi abbiamo ottenuto tutte le cose vere (…) La Commissione è stata istituita perché fallisse (…) la gente dovrebbe cominciare a porsi delle domande sull’11/9 (…)”.
Il commissario Timothy Roemer: Eravamo estremamente frustrati per le false dichiarazioni che stavamo ascoltando”.
Il senatore Max Cleland (che si dimise dalla Commissione in segno di protesta): “E’ uno scandalo nazionale”.
John Farmer, ex Procuratore generale del New Jersey, che guidò lo staff degl’inquirenti: “A un certo livello nel governo, a un certo momento (…) ci fu una qualche intesa, di non dire la verità su ciò che era accaduto (…) Io fui sbalordito per la così grande differenza tra la verità e il modo in cui essa veniva raccontata (…) I nastri dicevano una storia radicalmente diversa da quella che ci veniva raccontata, a noi e al pubblico per ben due anni (…) C’erano interviste fatte dal centro di New York della Federal Aviation Administration la notte del 9/11, ma quei nastri vennero distrutti. I nastri della CIA sugli interrogatori furono distrutti. La vicenda del 9/11, per dirla con un eufemismo, è stata distorta e fu completamente diversa da come andò effettivamente”.
L’incontro di Mike Gravel e Ferdinando Imposimato con giornalisti e parlamentari, italiani e europei, èaperto al pubblico.

24 ottobre 2011

Scoperta la rete capitalista che governa il mondo

di Andy Coghlan e Debora MacKenzie - newscientist.com.

Tratto da www.megachip.info.
 
Mentre le proteste contro il potere finanziario travolgono il mondo in questa settimana, la scienza sembrerebbe confermare i peggiori timori dei contestatori.
Un’analisi delle relazioni che sussistono fra 43mila corporation multinazionali ha identificato un gruppo relativamente piccolo di società, specialmente banche, che esercitano un potere sproporzionato sull’economia globale.  
I presupposti di questo studio hanno richiamato alcune critiche, ma gli analisti di sistemi complessi contattati da New Scientist sostengono che si tratta di uno sforzo originale inteso a sbrogliare i fili del controllo sull’economia globale.
Sostengono inoltre che se si avanzasse ulteriormente la spinta di tale analisi, essa sarebbe di aiuto per identificare i modi in grado di rendere il capitalismo globale più stabile.
L’idea che pochi banchieri controllino una grande porzione dell’economia globale potrebbe non essere una notizia agli occhi movimento Occupy Wall Street di New York né a quelli dei contestatori di altre parti (vedi le foto). Tuttavia, questo studio, condotto da un trio di teorici dei sistemi complessi presso il Politecnico Federale di Zurigo in Svizzera, è la prima ricerca che va oltre le ideologie, per identificare empiricamente una simile rete di potere. L’opera combina la matematica collaudata nel modellare i sistemi naturali con dati aziendali completi, per fare una mappa delle proprietà fra le multinazionali.
«La realtà è talmente complessa che dobbiamo rifuggire i dogmi, sia che si tratti di teorie cospirazioniste o di libero mercato», afferma James Glattfelder. «La nostra analisi è basata sulla realtà».
Studi precedenti avevano rilevato che un piccolo gruppo di multinazionali possedeva grosse fette dell’economia mondiale, ma essi includevano nella ricerca soltanto un numero limitato di aziende e omettevano le forme di proprietà indiretta, cosicché non erano in grado di descrivere quanto tutto ciò influisse sull’economia globale – né se, ad esempio, la rendessero più o meno stabile.
Il team di Zurigo invece è in grado: hanno estratto da Orbis 2007 – un database che classifica 37 milioni fra società e investitori di tutto il mondo – tutte le 43.060 multinazionali e le partecipazioni azionarie incrociate che le collegano. Quindi hanno costruito un modello che rappresentava quali società ne controllavano altre tramite reticoli azionari, e lo hanno abbinato ai ricavi di esercizio, per mappare infine la struttura del potere economico.
Il lavoro, che sarà pubblicato su «PloS One», ha individuato un nucleo centrale di 1.318 società con proprietà incrociate (vedi figura). Ognuna delle 1.318 aveva vincoli con almeno altre due o tre ulteriori società, e di media erano connesse a 20. Per di più, sebbene rappresentassero il 20% dei ricavi di esercizio a livello globale, i 1.318 evidenziavano di possedere complessivamente attraverso le loro quote azionarie la maggioranza della proprietà mobiliare mondiale e dell’industria manifatturiera– cioè dell’economia reale” – che rappresenta un ulteriore 60% dei ricavi di esercizio globali.
Quando gli studiosi hanno ulteriormente districato la ragnatela degli assetti proprietari, hanno scoperto che il grosso risaliva a una «super-entità» di 147 società ancora più strettamente annodate fra di loro – la cui proprietà era a sua volta interamente detenuta da altri membri della «super-entità» – che controllava il 40% di tutta la ricchezza nel reticolo.
«In effetti, meno dell’1 per cento delle società risulta in grado di controllare il 40 per cento dellintero intreccio», sostiene Glattfelder. La maggior parte è costituita da istituti finanziari. La Top 20 comprende: Barclays Bank, JPMorgan Chase & Co, nonce il Goldman Sachs Group.
L’esperto di macroeconomia John Driffill della University of London, afferma che il valore di quest’analisi non sta tanto nel vedere se un piccolo gruppo di persone controlli l’economia globale, quanto nelle suggestioni in merito alla stabilità economica.
La concentrazione del potere in sé non è né buona né cattiva, afferma il team zurighese, mentre le strette interconnessioni del nucleo centrale lo possono essere. Come ha potuto apprendere il mondo nel 2008, tali reti sono instabili. «Se una società si trova a patire delle difficoltà», dice Glattfelder, «il problema si propaga».
«È sconcertante vedere quanto le cose siano davvero connesse», concorda George Sugihara della Scripps Institution of Oceanography di La Jolla, California – un esperto di sistemi complessi che è stato consulente della Deutsche Bank.
Yaneer Bar-Yam, capo del New England Complex Systems Institute (NECSI) mette in guardia sul fatto che l’analisi presume che la proprietà equivalga al controllo, cosa che non sempre è vera. La maggior parte dei titoli azionari è in mano a gestori di fondi che possono controllare o meno le società che in parte posseggono. L’impatto di tutto questo sul comportamento del sistema, afferma Bar-Yam, richiede ulteriori analisi.
È cruciale, per via dell’identificazione dell’architettura del potere economico globale, che l’analisi possa aiutare a renderlo più stabile. Nell’identificare i tratti vulnerabili del sistema, gli economisti potranno suggerire misure in grado di impedire che futuri crolli si diffondano lungo l’intera economia.
Glattfelder sostiene che occorrerebbero regole antitrust globali, che ora esistono solo a livello nazionale, al fine di limitare le super-connessioni tra multinazionali. Bar-Yam dichiara che l’analisi suggerisce una possibile soluzione: per scoraggiare questo rischio, le imprese dovrebbero essere tassate per eccessiva interconnettività.
Una cosa però sembra non armonizzarsi con alcune delle asserzioni dei contestatori: questa super-entità è improbabile che sia il risultato di una cospirazione intesa a governare il mondo. « simili strutture sono comuni in natura», dichiara Sugihara.
In qualsiasi sistema a rete, i nuovi entrati si connettono preferibilmente a componenti già altamente interconnessi. Le multinazionali comprano azioni fra di loro per ragioni di affari, non per dominare il mondo. Se la connessione tende a raggruppare insiemi di società, così fa anche la ricchezza, ricorda Dan Braha del NECSI: «in analoghi modelli, il denaro fluisce verso i membri che hanno già le maggiori connessioni».
Lo studio di Zurigo, ribadisce Sugihara, «costituisce una solida prova del fatto che le semplici regole che disciplinano le multinazionali danno origine spontaneamente a gruppi fortemente connessi». O, come Braha precisa: «L’affermazione di Occupy Wall Street sul fatto che l'1 per cento della gente detiene la maggior parte della ricchezza riflette una fase logica dell’auto-organizzazione dell’economia».
Così, la super-entità potrebbe non derivare da una cospirazione. La vera questione, sostiene il gruppo di ricerca di Zurigo, è se possa esercitare un potere politico concertato. Driffill ha l’impressione che 147 sono ancora troppi per sostenere l’esistenza di collusioni. Braha sospetta che si sfidino sul mercato, ma agiscano insieme sugli interessi comuni. Resistere a modifiche alla struttura della rete potrebbe essere uno di tali interessi comuni.

Le prime 50 fra le 147 società superconnesse.

1. Barclays plc
2. Capital Group Companies Inc
3. FMR Corporation
4. AXA
5. State Street Corporation
6. JP Morgan Chase & Co
7. Legal & General Group plc
8. Vanguard Group Inc
9. UBS AG
10. Merrill Lynch & Co Inc
11. Wellington Management Co LLP
12. Deutsche Bank AG
13. Franklin Resources Inc
14. Credit Suisse Group
15. Walton Enterprises LLC
16. Bank of New York Mellon Corp
17. Natixis
18. Goldman Sachs Group Inc
19. T Rowe Price Group Inc
20. Legg Mason Inc
21. Morgan Stanley
22. Mitsubishi UFJ Financial Group Inc
23. Northern Trust Corporation
24. Société Générale
25. Bank of America Corporation
26. Lloyds TSB Group plc
27. Invesco plc
28. Allianz SE 29. TIAA
30. Old Mutual Public Limited Company
31. Aviva plc
32. Schroders plc
33. Dodge & Cox
34. Lehman Brothers Holdings Inc*
35. Sun Life Financial Inc
36. Standard Life plc
37. CNCE
38. Nomura Holdings Inc
39. The Depository Trust Company
40. Massachusetts Mutual Life Insurance
41. ING Groep NV
42. Brandes Investment Partners LP
43. Unicredito Italiano SPA
44. Deposit Insurance Corporation of Japan
45. Vereniging Aegon
46. BNP Paribas
47. Affiliated Managers Group Inc
48. Resona Holdings Inc
49. Capital Group International Inc
50. China Petrochemical Group Company

* Lehman esisteva ancora nel complesso di dati del 2007 usato.

 Traduzione per Megachip a cura di Pino Cabras

19 ottobre 2011

Uscire dalla crisi?

venerdì 21 ottobre, presso l’albergo di Santa Croce in Fossabanda, a Pisa, il circolo di SEL Pisa città ha organizzato una tavola rotonda sulla crisi economica e sul modo di uscirne senza distruggere la scuola, la sanità e i servizi sociali, creando lavoro e un diffuso benessere.

Ci si chiederà se è giusto che, per pagare il debito pubblico, il tenore di vita della popolazione debba diminuire e se è necessario, o giusto, pagarlo, il debito, in tutto o in parte. Se abbiamo bisogno di più Europa o di meno Europa; se stare nell’euro sia una scelta oppure una necessità; e di molto altro.
- “Uscire dalla crisi da sinistra” – venerdì 21 ottobre, in Pisa, albergo di Santa Croce in Fossabanda (Piazza Santa Croce in Fossabanda), ore 21:00, con:
- Sergio Cesaratto, professore ordinario di Politica economica all’Università di Siena, collaboratore di Economia e Politica e Sbilanciamoci;
- Pino Cabras, Direttore editoriale di Megachip.info;
- Alfonso Gianni, Comitato Scientifico Nazionale di Sinistra Ecologia Libertà;
modera:
- Michele Fortezza.

15 ottobre 2011

Come inventare un “casus belli” con un agente iraniano casinista


di Juan Cole.
Personalmente non capisco come i media commerciali americani possano riferire le cose che riporterò qui di seguito su Manssor Arbabsiar e poi continuare a ripetere con faccia tosta le imputazioni del governo USA sulla sua partecipazione ad un complotto ordito presso le alte sfere del governo iraniano.  
Sembra semmai piuttosto evidente che Arbabsiar sia molto probabilmente un caso da manicomio.
Ecco qua le 10 principali ragioni per cui costui non può essere la risposta iraniana a 007:
    • 10. Arbabsiar era conosciuto a Chorpus Christi, in Texas, “per essere un ridicolo demente”;
    • 9. Probabilmente a causa di un accoltellamento subito nel 1982, soffriva di un disturbo della memoria a breve termine;
    • 8. Perdeva continuamente il suo telefono cellulare;
    • 7. Non trovava mai le chiavi;
    • 6. Dimenticava continuamente il borsello e i documenti nei negozi;
    • 5. Era “praticamente disorganizzato”, ha sottolineato un suo ex socio d’affari;
    • 4. Nella sua attività di co-titolare di una rivendita di auto usate, perdeva sempre i documenti di proprietà dei veicoli;
    • 3. Arbabsiar, ben lungi dall’essere un fondamentalista islamico sciita, pare sia stato un alcolista; il suo soprannome è “Jack” per la sua passione per il whisky Jack Daniels;
    • 2. Arbabsiar non solo abitualmente beveva all’eccesso, ma si faceva di canne e andava a prostitute. Una volte disse ad alta voce in un ristorante che sarebbe tornato in Iran, dove avrebbe potuto avere una ragazza per soli 50 dollari. Era un uomo rozzo e fu anche sbattuto fuori da alcuni locali;
    • 1. Tutte le sue imprese d’affari sono fallite, una dopo l’altra.
La traiettoria discendente della vita di Arbabsiar, con la recente perdita del mutuo, di tutte le sue imprese e della sua seconda moglie, in linea con il suo evidente difetto cognitivo, mi fa pensare che potrebbe aver avuto un crollo che lo ha portato sino alla follia.
Ho ipotizzato ieri che Arbabsiar e suo cugino Gholam Shakuri abbiano fatto parte di una gang iraniana dedita allo spaccio di droga. Ma dopo che sono emersi certi dettagli riguardo il primo, non credo che possa aver fatto nemmeno questo. Anzi, adesso incomincio a vedere tutta questa storia come pura fantasia.
Che un mentecatto monumentale come Arbabsiar possa aver pensato di essere un agente segreto del governo è perfettamente plausibile. Sono sicuro che lui pensi un sacco di cose. Ma che lo fosse davvero non è minimamente credibile.
Okay, Qasim Soleimani, il capo della Brigata Qods, le forze operative speciali del Corpo di Guardia della Rivoluzione Iraniana, potrebbe non essere uno simpatico. Ma è un uomo così competente che gli ufficiali USA in Iraq credevano senza dubbio che egli fosse riuscito più volte a superarli e a sconfiggerli in quel territorio.
L’affermazione che Solemani abbia assoldato un incompetente ubriacone senza alcuna memoria e completamente disorganizzato come Arbabsiar nella più delicata e pericolosa missione terroristica mai tentata dalla Repubblica Islamica dell’Iran è roba da scompisciarsi.
Inoltre, ci sono tutte le ragioni per ritenere, come suggerito da Jeffrey Toobin, che Arbab sia stato incastrato in questo piano da un criminale, un narcotrafficante, al soldo del governo USA, che ha suggerito nella fase preliminare la maggior parte dei dettagli chiave ad Arbabsiar. Se quest’ultimo era un mentecatto come viene descritto dal rapporto del WaPo, avrebbe potuto essere particolarmente suggestionabile e quindi un soggetto perfetto da incastrare.

Qui non c’è nessuna connessione con l’Iran. Arbabsiar ha ricevuto 100mila dollari in bonifico da un paese terzo su quello che pensava fosse il conto del narcotrafficante messicano. I soldi non arrivarono direttamente dall’Iran. Anche se fossero arrivati da lì, non c’è ragione di pensare che fossero fondi del governo. 
Arbabsiar stesso valeva 2 milioni di dollari in Iran; per tutto quel che sappiamo, da quando si era perso nel suo mondo dei sogni, si stava preparando a spendere la sua eredità proveniente da Kermanshah per eseguire il suo folle disegno.

La denuncia del Dipartimento della Giustizia riferisce che Arbabsiar si vantava che suo cugino (Gholam Shakuri) era un “generale” in Iran, ma che lavorava in borghese all’estero e che “era stato alla CNN”.
Dato che due su tre di queste affermazioni sono evidenti bugie, perché dovremmo credere a qualsiasi altra cosa Arbabsiar abbia detto su suo cugino? Si noti come sia solo una congettura del Dipartimento di Giustizia che la descrizione di suo cugino fornita da Arbabsar suggerisca che sia un membro del Corpo di Guardia della Rivoluzione Iraniana. Lui non viene identificato in questo modo da Arbabsar, il quale dice semplicemente che è un generale che si muove in abiti civili. Non esiste un generale di questo tipo.

Dato che Arbabsar in tutta evidenza non afferra solidamente la realtà, accusare la Guardia della Rivoluzione Iraniana con queste affermazioni assurde e vaghe sarebbe cosa assai sconsiderata.
Sono francamente sconvolto dal fatto che Eric Holder (il ministro della Giustizia USA, Ndt) ci abbia apparecchiato questa succulenta cazzata, che ora viene usata per fare politica ai massimi livelli. Che un ex narcotrafficante messicano pagato dai contribuenti americani possa aver pensato di fare carriera intraprendendo giochetti cerebrali con un immigrato iraniano pazzoide non sorprende. Che si possano ficcare nella testa di Arbabsar fantasie di piani mirabolanti, se ci si lavora sopra, sembra quasi ovvio. Che qualcuno al Dipartimento della Difesa o dell’establishment della politica estera statunitense potesse prendere tutto questo sul serio non è plausibile. Ne concludo che sono dei disonesti e che è ora il turno di Obama di confezionare una guerra inventata per evitare di rassegnare la sconfitta, l’anno prossimo in questa stagione, nelle mani fresche di manicure di Mitt Romney. 

Traduzione per Megachip a cura di Cipriano Tulli e Pino Cabras.