16 ottobre 2015

Saluta i miei missili cruise


di Pepe Escobar.


Il nuovo Grande Gioco che si svolge in Eurasia ha proceduto compiendo passi da gigante, dopo che la scorsa settimana la Russia ha lanciato 26 missili cruise dal Mar Caspio, colpendo 11 obiettivi ISIS/ISIL/Daesh in Siria e distruggendoli tutti. Questi attacchi navali sono stati il primo uso operativo dei missili cruise d’avanguardia SSN-30A Kalibr di cui siamo a conoscenza.
Tutto quel che il Pentagono ha fatto è stato guardarsi alle spalle e notare la scia lasciata dal lancio di quei missili Kalibr, capaci di colpire obiettivi a 1.500 km di distanza. Sono un messaggio secco e chiaro da Mosca al Pentagono e alla NATO. Vuoi vedertela con noi, ragazzo? Forse con quelle ingombranti portaerei?

Di più, oltre alla creazione di quella che, di fatto, è una no-fly zone sopra la Siria e il sud della Turchia, l'incrociatore Moskva della marina militare russa, che porta 64 missili terra-aria  S-300, è ora attraccato a Latakia.
Le proverbiali fonti anonime USA non potevano che partire in quarta, inventandosi che 4 missili russi sarebbero atterrati imprevedibilmente in Iran. L’Alto Comando russo li ha ridicolizzati: tutti i missili sono atterrati nel raggio di 2 metri e mezzo dall’obiettivo.

Il Pentagono non sapeva neppure che il Kalibr potesse essere lanciato da navi piccole, dal momento che i Tomahawks richiedono navi molto più grandi.
Oltre alla generale apoplessia, il meglio che il Pentagono potesse mettere insieme era il comandante del NORAD (Comando di Difesa Aereospaziale Nordamericano, ndt) Ammiraglio William Gortney, il quale raccontava al Consiglio Atlantico che l’aviazione a lunga distanza e i missili cruise a lunga gittata dei russi costituiscono una nuova “minaccia” per la difesa strategica presso il suolo statunitense.
La minaccia dei missili cruise russi costituisce una “particolare sfida per il NORAD e per il Northern Command”. Oh, davvero?

Parliamo di una grande minimizzazione del Nuovo Grande Gioco. Si potrebbe discutere sul fatto che lo sviluppo militare della Russia negli ultimi anni abbia portato Mosca più avanti degli USA di generazioni. Nel caso di una Terza Guerra Mondiale calda – e nessuno, a parte i soliti Dottor Stranamore, la vorrebbe mai – missili e sottomarini saranno le armi chiave, non certo le mostruose portaerei in stile USA.

Il Pentagono è apoplettico perché il dispiegamento di tecnologia russa ha rivelato la fine del monopolio americano sui missili cruise a lunga gittata. Gli analisti del Pentagono stavano ancora lavorando sotto l'ipotesi che il loro raggio d’azione fosse sui 300 chilometri.

Di più, la NATO è stata avvertita; la Russia è in grado di schiacciarli, in un attimo, come ho avuto modo di osservare nelle discussioni avute in Germania la scorsa settimana. Neppure la retorica irruenta dello “stai violando il mio spazio aereo” sarà utile a fermarla.

Ancora una volta, immaginando lo scenario da Dottor Stranamore, la sola risposta USA possibile se il gioco si fa duro sarebbe quella di lanciare missili balistici intercontinentali nucleari (ICBM); ma in quel caso lo spazio aereo russo sarebbe protetto da missili anti-missile S-500: ognuno di essi porta a sua volta dieci missili intercettatori che non si farebbero sfuggire nessun ICBM americano.
Scemo e moderatamente più scemo
Così, dopo lo shock iniziale, il Pentagono è regredito a una condizione di... vacuità, corrispondente al buon umore generato da questi titoli da scemo e più scemo: qui e qui.

Il Comandante supremo del Pentagono, Ashton Carter, ha giurato che Washington non coopererà con Mosca in Siria perché la strategia del Cremlino è “tragicamente difettosa”, dal momento che in pochi giorni la Russia ha fatto fuori più scagnozzi jihadisti-salafiti di quanti la Coalizione dei Disonesti Opportunisti (CDO) guidata dagli USA abbia fatto in più di un anno. Qualcuno ricorda che la CDO è ufficialmente chiamata Operazione Risolutezza Intrinseca?

E poi c’è un ulteriore problema con la cosiddetta strategia del Pentagono che si può definire “Non voglio giocare con te nello stesso giardino”: il Ministro della Difesa russo ha spiegato come veramente fosse stato il Pentagono per primo a richiedere azioni coordinate in Siria.
Tanto per aggiungere l'irrilevanza alla vacuità, il Pentagono ha annunciato che sta archiviando il suo ultimo spettacolare fallimento: il programma da 500 milioni di dollari per “addestrare ed equipaggiare” i ribelli “moderati” siriani, che ha prodotto l’enorme numero di “quattro o cinque” irriducibili pronti a combattere ISIS/ISIL/Daesh.
Così non ci sarà più “addestramento”; semmai la formazione di “facilitatori” – nome in codice per l’intelligence locale – con la missione di identificare falsi obiettivi correlati al Califfato per gli attacchi della CDO. Saranno "consigliati" su come interagire con il Pentagono "a una certa distanza".
Non puoi inventarti questa roba.

“L’equipaggiamento”, dal canto suo, verrà largamente ridotto; a rimanere sarà una manciata di fucili d’assalto da allungare a circa cinquemila ribelli “moderati”, che saranno, naturalmente, presi subito da Jabhat al-Nusra, cioè al-Qa'ida in Siria, o dai tirapiedi del “Califfato”.

Ash Carter era molto soddisfatto della sua nuova strategia magistralmente concepita, che è tenuta ad aiutare a “incrementare il potere di combattimento” di quei ribelli “moderati” così sfuggenti. E giura che Washington “rimane impegnata” nell’addestramento di quei ribelli “moderati”, ora facendo sì che si perseguano “modi diversi di raggiungere praticamente lo stesso tipo di obiettivo strategico”.

È toccato a un personaggio incredibilmente mediocre, Ben Rhodes, vice consigliere per la sicurezza nazionale USA, fornire più spiegazioni sul nuovo epicentro della “strategia” magistralmente concepita; “sviluppare relazioni con i leader e le unità d’azione [fra i gruppi armati siriani] ed essere abili nel fornire loro provviste ed equipaggiamenti”. Perché non sviluppare queste “relazioni” attraverso una pagina facebook? Costa poco ed è molto più efficace.


Deconflittualizzami, baby
Anche se la “deconflittualizzazione” tra Washington e Mosca rimane più conflittuale che mai, vi è almeno un punto su cui possono convergere: lavorare con i curdi nel Nord Est della Siria, come ammesso da membri del PYD (Partito di Unione Democratica). Il copresidente PYD Salih Muslim è chiarissimo: “noi combatteremo al fianco di chiunque combatta Daesh”.
L’analisi del PYD rimane un anatema agli occhi del Pentagono e della Casa Bianca. E il PYD ne sa qualcosa su come si combattono jihadisti /ribelli “moderati” sul campo. Il PYD considera ISIS/ISIL/Daesh, Jabhat al-Nusra o Ahrar a-Sham come “indistinguibili” gli uni dagli altri. Tradotto: i ribelli “moderati” non esistono. Il PYD inoltre accetta che Bashar al-Assad stia al potere ancora per un po’, sebbene soltanto per un periodo “di transizione”.
Il PYD ha letto perfettamente il significato dell’offensiva siriana della Russia. Si sono opposti fortemente a una zona non sorvolabile che fosse controllata dai turchi e ora resta assicurato che non ce ne sarà mai una. Sono inoltre perfettamente consapevoli dell'esistenza di una brigata “Sultan” turca, addestrata da Ankara – ribelli “moderati” alla turca – che hanno disertato in massa per andare verso ISIS/ISIL/Daesh.

Nel frattempo, a Sochi, il presidente russo Vladimir Putin incontrava – di nuovo – il ministro della Difesa saudita, il Principe Mohammed bin Salman, il principe guerriero che sta trucidando i civili nello Yemen. Anche il ministro degli Esteri Sergey Lavrov e il ministro per l’Energia Alexander Novak erano lì.
Diplomaticamente, si trattava di un accordo fra Mosca e Riad per cui non si può consentire a ISIS/ISIL/Daesh di prendere il sopravvento in Siria. Il diavolo sta nei dettagli. L’interpretazione si concentra sulla “soluzione politica”. Ancora una volta Putin non poteva essere più acuto; l’offensiva attuale intende “stabilizzare le legittime autorità e creare le condizioni per trovare un compromesso politico”. La Casa Saudita ha recepito il messaggio: o si fa alla maniera dei russi o niente.
I Sauditi ancora flirtano con una possibile opzione, comunque: come nel caso della proverbiale fonte anonima chiamata “funzionari sauditi”, i quali confermano che quelli al soldo del Principe Salman amico di Putin avrebbero consegnato 500 TOW missili anticarro ai ribelli “moderati” dell’ex Esercito Siriano Libero (ESL). Si può scommettere che questi TOW saranno catturati all'istante da jihadisti-salafiti assortiti.

Tutta questa concitata operazione si svolgeva in parallelo all’operato del nuovo centro operativo di coordinamento di intelligence con sede a Baghdad, che mostra di fare sul serio. Questo è il modo in cui gestisci l’intelligence sul campo. Un attacco può aver mancato il “Califfo” Ibrahim ma può aver mandato in Paradiso un po’ di altri notabili del “Califfato”. Morale della favola: il Pentagono non era invitato e ha saputo dell’attacco iracheno dalla CNN. Dopo tutto, ciò dimostra che il Pentagono esattamente non eccelle nell’intelligence sul campo in Iraq.

Fonti sciite di Baghdad mi hanno confermato ancora una volta le dicerie per cui il Pentagono e l’amministrazione Obama non solo non sono interessati a combattere veramente ISIS/ISIL/Daesh, ma al massimo trascinano i piedi a mo’ di “supporto riluttante”. E questo perché la “strategia” dell’amministrazione Obama – chiedetelo al patetico Ben Rhodes – rimane tuttora ancorata a quel “Assad deve andarsene”, qualsiasi sia la variante semantica.

E che dire della Turchia? Ecco una breve risposta. Il Sultano Erdoğan semplicemente non riesce a gestire i curdi, né in Siria né in Turchia. Non riesce a gestire la Siria. Per non parlare di come non gestisce Mosca. C’è una battuta ricorrente che gira in Siria fino all’Iraq e all’Iran, ovvero che non c’è bisogno di attaccare la Turchia; semplicemente basta lasciare che si disintegri da sola. Il Sultano Erdoğan si sta accertando che ciò avvenga.

Le empasse innumerevoli del Sultano spiegano perché il Primo Ministro turco Ahmet Davutoğlu – quello della precedente dottrina del “zero problemi coi vicini” – stia ora dicendo che Ankara è pronta a parlare a Mosca e a Teheran riguardo la Siria, fintantoché ciò non significhi “legittimare” Assad. Davutoğlu sta anche sviluppando la logica distorta per cui gli attacchi aerei russi aumenterebbero il flusso di rifugiati in Turchia. Così aspettiamoci che Ankara liberi un’altra ondata di rifugiati tenuti nei “campi temporanei” verso la Fortezza Europa. Per poi dare la colpa a Putin e ai suoi missili.

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Traduzione per Megachip a cura di Leni Remedios.

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