25 agosto 2008

Operazione Saakashvili

di Giulietto Chiesa,

Megachip – da Galatea
Fonte: Megachip
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Quei giorni di agosto 2008 resteranno sicuramente nella storia come giorni di una svolta, di un drastico del quadro politico internazionale. La Russia non è più quella che, per 17 anni, l'Occidente aveva immaginato che fosse. È ben vero che, i primi anni dopo il crollo, l'euforia del trionfo dell'Occidente era stata corroborata da una leadership russa di Quisling, capitanati da un ubriacone rozzo e baro, come lo fu Boris Eltsin.
Ma dopo, con la sua dipartita dal potere russo, la musica aveva cominciato a cambiare.
I segnali erano tanti. Ma i vincitori erano convinti che Vladimir Putin facesse il muso duro solo per rabbonire i russi umiliati, mentre, in realtà, proprio lui stava - lentamente, ma con chiara progressione - mettendo le basi per un cambiamento. Solo che, come dice un antico proverbio coltivato sotto ogni latitudine, Dio acceca coloro che vuole perdere.
L'illusione sulla disponibilità dei russi a lasciarsi mettere ormai il piede sul collo in ogni occasione avrebbe dovuto assottigliarsi e dare spazio al realismo.
Da queste colonne ho scritto più volte - i lettori lo ricorderanno - che la Russia aveva smesso di ritirarsi e che sarebbe venuto il momento in cui tutti avremmo dovuto accorgercene.
Al giovane avvocato americano Saakashvili, e ai suoi consiglieri e amici americani e israeliani, agli europei che continuano a tenere bordone, è toccato di sperimentare che la ritirata della Russia è finita. Resta loro ancora da capire che è finita per sempre. Nel senso che, per un periodo di tempo oggi non prevedibile, l'Occidente, o quello che ne resta, dovrà fare i conti con una Russia tornata protagonista mondiale.
E non solo perché la Russia è oggi molto più forte di quello che era nel 1991, ma perché l'Occidente - e in primo luogo gli Stati Uniti d'America - è molto più debole di allora. Sotto tutti i profili. Otto anni di George Bush hanno logorato l'America, il suo prestigio.
Ma non è solo politica. La crisi della finanza internazionale è nata dalla "Grande Truffa" dei mutui facili, costruita da Wall Street. La crisi energetica, evidente a tutti salvo a chi non vuole vederla, incombe ormai sull'intera economia mondiale e determinerà contraccolpi drammatici in tutto il mondo, mentre la Russia si trova ad essere l'unica grande potenza che ha tutte le risorse al suo interno e non avrà alcun bisogno di andarsele a prendere, con la forza, fuori dai suoi confini. Il cambiamento climatico colpirà ogni area del pianeta, ma tra tutte la più avvantaggiata sarà proprio la Russia, mentre Europa e Stati Uniti dovranno difendersene in tempi relativamente rapidi.
L'Europa, in primo luogo, avrà un bisogno imperioso, non eliminabile, dell'energia russa per fronteggiare una transizione a una società che non sarà più quella della crescita dei consumi (che verrà resa impossibile dalle nuove condizioni di scarsezza relativa e assoluta di risorse).
Queste sono considerazioni di elementare realismo, alle quali molti dirigenti europei e entrambi i candidati alla presidenza americana, sembrano essere impermeabili.
La loro visione del mondo ha continuato, in questi diciassette anni, ad essere quella della guerra fredda, dei vincitori. E hanno assunto come bibbia per i loro pensieri il libretto che Zbignew Brzezisnki aveva scritto parecchio tempo prima della caduta dell'Unione Sovietica: obiettivo prossimo venturo, "dopo la liquidazione del comunismo", dovrà essere la liquidazione della Russia, la sua scomposizione, la sua trasformazione in tre repubbliche (Russia Europea, Siberia Occidentale, Estremo Oriente russo) prima "leggermente federate" e poi indipendenti. Con la parte europea assorbibile dall'Europa, la Siberia Occidentale in mano americana, e l'estremo oriente russo messo a disposizione di Giappone e Cina, a sua volta omogeneizzata alla globalizzazione americana.
Come sappiamo le cose sono andate molto diversamente su tutti i fronti.
Ma la pressione sulla Russia è stata mantenuta, continua, asfissiante. Basta guardare oggi alle immagini della manifestazione di Tbilisi, in cui Saakashvili ha cercato di rimettersi in piedi dopo la durissima lezione subita tra il 6 e il 9 agosto, e passare in rassegna i nomi degli "ospiti" alleati morali (l'Ucraina anche alleata materiale) dell'aggressione all'Ossetia del Sud, per avere il quadro dei risultati di quella politica di Washington. Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Ucraina in fila, con i loro presidenti, di fronte alla folla georgiana: vista sulla carta geografica è la rappresentazione dell'accerchiamento, di una nuova, davvero insensata, irrealistica operazione di accerchiamento. Aggiungendo la Georgia ecco completato il semicerchio con cui tutte le frontiere della Russia diventano bastioni di un'offensiva politico-diplomatico-energetica-psicologica antirussa.
Mancavano, tuttavia, la Romania, la Bulgaria, perfino la Repubblica Ceca di quel reazionario con i fiocchi di Vaclav Klaus. Mancavano l'Ungheria la Slovacchia e la Slovenia, forse solo un tantino più prudenti, forse resesi conto che la corda era stata tirata troppo ed è giunto il momento di frenare se non si vogliono maggiori guai.
Mancava perfino l'Italia, figurarsi!
E il giorno dopo Varsavia firmava l'accettazione del nuovo sistema missilistico americano.
Primo atto, presentato come "di ritorsione" dai media occidentali, mentre era in preparazione da almeno due anni. E, a proposito dei media occidentali, resta solo da constatare che l'ondata di menzogne da essi prodotte (con rarissime eccezioni) , se ha dato l'impressione momentanea di un isolamento completo della Russia in tutto l'Occidente, ha rappresentato la classica vittoria di Pirro.
Non solo perché i fatti, gli avvenimenti sul terreno, hanno confermato le versioni che venivano date dalla Russia e dai suoi media, ma perché la falsificazione è stata così imponente, così sfacciata che negli anni a venire verrà ricordata da milioni di russi (e da miliardi di persone in tutto il mondo non occidentale) come la prova definitiva che il mainstream informativo occidentale è ormai diventato un megafono - attivo e passivo - dei centri imperiali del potere. Dunque non più affidabile.
Sono quelle cose che in politica si pagano, magari non subito, magari dopo anni, ma restano nella memoria dei popoli, nella psicologia collettiva.
Questa volta i bugiardi, gli aggressori non sono stati i russi, ma "i nostri". E non hanno mentito, imbarazzati, solo i portavoce. In quelle ore mentivano i numeri uno, sfilando, uno dietro l'altro davanti alle telecamere famose delle maggiori catene disinformative. Bush che annuncia il prossimo assalto a Tbilisi e il rovesciamento del "democratico governo della Georgia", McCain che ripete la giaculatoria, e via tutti gli altri, incluso Obama. Dio ci protegga da questo futuro presidente americano, chiunque sia, nero o bianco, vecchio o giovane, democratico o repubblicano. "La Russia ha occupato Gori"; "colonne di tank russi si dirigono su Tbilisi". Le vie di Tzkhinvali, devastate dall'assalto di un esercito di migliaia di uomini di centinaia di carri armati, di aerei e elicotteri, mostrate al pubblico come fossero le strade di Gori "selvaggiamente bombardate" dagli aerei russi. Notizie di bombardamenti dell'oleodotto Baku-Ceyhan date per certe, ma inventate, offrono spazio a decine di commenti sul nulla.
Ma il vertice dell'ipocrisia avviene quando i media occidentali, resisi conto che la Russia non punta affatto a conquistare Tbilisi e che si è fermata sulle frontiere dell'Ossetia del Sud e dell'Abkhazia, cominciano a stigmatizzare indignati i bombardamenti che la Russia ha effettuato fuori da quelle frontiere. Come se tutti si fossero dimenticati che gli aerei della Nato, nel 1999, andarono a bombardare Belgrado e decine di piccoli e medi centri urbani della Jugoslavia. Semplicemente per punire la popolazione, per democratizzarla, distruggendo ponti, infrastrutture, fabbriche, ospedali. E naturalmente uccidendo centinaia, anzi migliaia di civili. Due pesi e due misure, come al solito. Noi siamo i buoni, loro sono i cattivi. Punto e basta.
Punto e basta lo ha detto ora la Russia di Medvedev e Putin. L'Ossetia del Sud e l'Abkhazia saranno riconosciute formalmente come repubbliche indipendenti dalla Russia. Fino ad ora non era avvenuto. L'avventura sanguinosa di Saakashvili e di Washington lo ha reso inevitabile prima ancora che possibile. Medvedev ha detto, senza la minima ambiguità, che la Russia accetterà le decisioni dei due popoli e le trasformerà in atti politici e diplomatici, "uniformando la propria posizione internazionale a quelle decisioni". E non vi è dubbio quali saranno quelle decisioni. E non vi saranno passi indietro rispetto a quello che ossetini e abkhazi hanno già ripetutamente scelto nei referendum per la sovranità che hanno approvato.
L'"integrità territoriale" della Georgia - questa la formula difesa da diverse risoluzioni del Parlamento Europeo che io non ho mai votato - non sarà più possibile. Saakashvili è politicamente finito. Lo terranno in piedi ancora per qualche tempo, poi dovranno spiegargli che e meglio se torna a fare l'avvocato negli Stati Uniti. La Georgia nella Nato forse entrerà, se l'Occidente insiste nella sua offensiva antirussa. E forse entrerà anche l'Ucraina. Impossibile prevedere lo sviluppo di questi eventi perché le variabili sono troppo numerose per essere calcolate tutte.
Ma gli occidentali dovrebbero sapere che ogni passo che faranno in questa direzione sarà duramente contrastato dalla Russia che, come è evidente, ha smesso di ritirarsi. Georgia e Ucraina in Europa sembrano oggi, viste da Bruxelles, più difficili di prima.
La crisi georgiana ha mostrato che in Europa vi sono forze ragionevoli che non vogliono portarsi in casa una guerra e non vogliono creare una crisi di enormi proporzioni (con l'Ucraina spaccata in due).
L'operazione Saakashvili si è rivelata un vero disastro geopolitico per gli Stati Uniti. Le onde di risucchio andranno lontano. La guerra fredda è ricominciata, e non per colpa della Russia.
L'Europa dovrà decidere da che parte stare.

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