25 gennaio 2010

La guerra ambientale c'è già

di Pino Cabras - da Megachip.

Pian piano, dopo il sisma di Haiti, alla periferia del sistema dell'informazione si comincia a parlare di terremoti causati dall'uomo, ormai ritenuto capace di progettare nuovi ordigni da dottor Stranamore. Come vedremo, la tecnologia c'è già.

I terremoti però accadono da sempre, e senza aiuti tecnologici. La stessa Haiti nella sua storia è stata colpita dalle scosse molte volte, e violentemente, anche in epoche in cui non esistevano nemmeno gli aerei.

Non furono certo armi a onde longitudinali (qualsiasi cosa questa parola significhi) a causare lo tsunami che nel 1908 distrusse Messina e Reggio Calabria. Gli esempi sarebbero infiniti, possiamo risparmiarci un ripasso alla storia dei terremoti.

Dobbiamo chiederci, allora, perché qualcuno non voglia più vedere la mano di un Dio Creatore nella tragedia di Port-au-Price, bensì la crudele volontà di un creatore umano.

Ha cominciato una tv venezuelana, ritenuta vicina al presidente Hugo Chávez, a ipotizzare – citando fonti riservate russe - che il terremoto haitiano sia stato causato da un'arma segreta statunitense. In un gioco mediatico di specchi, la televisione russa di lingua inglese Russia Today ha citato il servizio del canale di Caracas. Si sono aggiunti altri specchi, specie nel web, con titoli che addirittura attribuivano a Chávez frasi virgolettate in realtà mai pronunciate.



Va notato come la congettura si diffonda – al di là del credito che le viene dato – nei luoghi in cui si contrasta l'oligarchia mediatica anglosassone e la sua narrazione dei fatti. È proprio di questi giorni l'accesa polemica fra Pechino e Washington su Google e sull'intervento dei governi nel web. La divaricazione sul “soft power”, il potere soffice dei media, è destinata ad accrescersi. Sempre più difficile sarà il proporsi di una sola narrazione, come oggi, che descrive il proprio ruolo nel mondo come il più buono, importante, morale, come il solo punto di vista, il pensiero senza alternative, il vettore unico della cronaca e della storia. Si affacciano altre letture, altre visioni, da subito. Anche nel caso di Haiti.

E anche quando le visioni alternative non vanno verso la causa del terremoto, giudicano comunque le immediate conseguenze. Il ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov, ammonisce: «Parto dal presupposto che nessuno abuserà della situazione creatasi adesso per raggiungere qualche altro obiettivo che non sia la prestazione di aiuto al popolo haitiano». Tanta felpatezza da consumato diplomatico riflette preoccupazioni molto più allarmate. Basta osservare come vanno i soccorsi, oggi in mano USA, per capire che la priorità non è l'intervento umanitario.

I 15mila militari statunitensi sono la presenza più vistosa, ma non certo la più efficace, sul piano della protezione civile. Risulta sproporzionato proprio il peso della componente militare. Non sono agenzie civili a prendersi carico delle operazioni, ma lo US Southern Command (SOUTHCOM), il comando combattente per il Centro e il Sud America, alle dipendenze del Pentagono.

Il capo della protezione civile italiana, Guido Bertolaso, ha considerato del tutto inadeguata la gestione attuale del soccorso, condizionata dalle «troppe stellette». Abbiamo visto che vari cargo delle ONG internazionali carichi di medicinali non hanno potuto atterrare.

Abbiamo visto arrivare forze speciali, armate fino ai denti, dotate di elicotteri e mezzi blindati, mentre i carichi di derrate, acqua e medicinali erano dirottati sulla vicina Santo Domingo. I pochi aerei civili ammessi all'atterraggio se ne stanno sulle piste, e poco o nulla del loro bendidio esce da lì. Tanta presenza militare non pare giustificarsi nemmeno con le necessità di preservare l’ordine pubblico, visto che i saccheggi continuano, un po' come avvenne a New Orleans nel 2005 dopo l'uragano Katrina. Il governo locale è di fatto esautorato.

A un passo da Cuba e dal Venezuela, gli USA controllano militarmente una nazione invasa, posta in una posizione geopolitica rilevantissima. Il fatto si presenta anche in questi nudi termini. Lavrov e Chávez lo notano più di altri, dalle loro posizioni.

Con le nostre cognizioni abituali, questo fatto può essere letto in modo semplice: gli USA hanno colto un'occasione storica. Nel momento in cui gli Stati Uniti avevano già avviato un Roll Back, cioè un'offensiva politica, militare e diplomatica volta a fermare l'espansione di governi indipendenti se non ostili nel continente americano, una “Reconquista” di un po' di casematte imperiali, il sisma haitiano è una palla da cogliere al balzo. Non occorrerebbe premeditazione, basterebbe applicare pragmaticamente una nuova dottrina geopolitica, usando la struttura più pronta, quella militare.

Ecco, i sospetti - in questo quadro di schermaglie - sono sorti nel momento in cui si è scoperto che questa struttura militare era fin troppo pronta.

Un giorno prima del terremoto il SOUTHCOM conduceva un’esercitazione militare «basata su uno scenario che implicava la fornitura di soccorsi ad Haiti in conseguenza di un uragano». Lo rivela su un sito governativo Jean Dimay, funzionaria della DISA, un'agenzia high tech di coordinamento per il combattimento, un'emanazione del Pentagono. Ed ecco che un disastro ad Haiti poi avviene davvero, così che il SOUTHCOM «ha deciso di passare al reale» (go live), tanto da poter «intervenire ad Haiti velocemente, perché i sistemi erano già caricati sui pallets a Miami in vista dell’esercitazione che è stata cancellata».

Nessuna congettura potrebbe avere basi dimostrabili. Si può solo registrare l'ennesimo caso di un'esercitazione sulla quale va a ricalcarsi un evento reale, che riproduce in notevole misura il quadro che giustifica il coinvolgimento di importanti apparati. È successo massicciamente l'11 settembre 2001 negli USA. È successo con esattezza pedissequa il 7 luglio 2005 a Londra. Magari stavolta a Port-au-Prince era una coincidenza.

È però inevitabile che i grandi fatti militari, e il caso di Haiti lo è subito diventato, siano degli “osservati speciali”. Viviamo nell'epoca inaugurata da Hiroshima: si è accresciuta l'incidenza della scienza, che ha dotato le potenze militari di mezzi votati alle volontà di dominio più sfrenate, non importa quale vocazione democratica o pacifica dichiarino i leader politici.

Il generale Fabio Mini, ex Capo di Stato Maggiore della NATO in Sud Europa, autore di un saggio che racconta accuratamente scenari estremamente inquietanti (Owning The Weather: la guerra ambientale globale è già cominciata), durante un'intervista di qualche anno fa si dichiarò pessimista sul fatto che i possessori di tecnologie in grado di provocare terremoti si fossero astenuti dall'usarle.

E, cosa più importante, il generale Mini dava per assodata l'esistenza di tecnologie in grado di provocare gravi calamità ambientali, sismiche, climatiche.

La guerra ambientale, per Mini, si definisce come «l'intenzionale modificazione di un sistema ecologico naturale (come il clima, i fenomeni meteorologici, gli equilibri dell'atmosfera, della ionosfera, della magnetosfera le piattaforme tettoniche eccetera), allo scopo di causare distruzioni fisiche, economiche, psico-sociali nei riguardi di un determinato obiettivo geofisico o una particolare popolazione».

La guerra ambientale va di pari passo con la guerra psicologica e dell'informazione «che comprendono il cosiddetto denial: la negazione delle informazioni, dei servizi, delle conoscenze, degli accessi alle tecnologie e agli strumenti di difesa e salvaguardia. In materia di negazione la guerra ambientale può esprimere potenzialità enormi ed arrivare al cinismo disumano anche se condotta in forma latente e passiva».

L'Onu nel 1977 approvò una convenzione contro le modifiche ambientali, ma la ricerca e l'applicazione della guerra ambientale, ricorda Mini, è di fatto passata alla clandestinità. Tutto è diventato opaco, o peggio: metodicamente avvolto nella menzogna, al punto che tutte le dietrologie sul modo di condurre la guerra attuale diventano l'unico metodo di indagine plausibile per aggirare le bugie. Fa impressione leggere nelle pagine di questo generale che «qualsiasi teoria del complotto prima o poi si rivela fondata», o leggere che una parte delle migliaia di bombe atomiche esplose dai tempi di Hiroshima non erano sperimentazioni di guerra nucleare bensì altrettante messe a punto della «guerra sismica».

Le ipotesi sul terremoto intenzionale, nel caso di Haiti, restano solo speculazioni. Però, a sentirle formulare, fanno lo stesso sorgere questioni importantissime sulla natura della guerra attuale e le sue spaventose potenzialità, 65 anni dopo la prima bomba atomica.

La soglia superata a Hiroshima è la prima di una serie di soglie già oltrepassate. Ciascuno di voi lettori fortunatamente non ha sperimentato su di se una bomba atomica, ma sa che esiste. Ciascuno di voi non ha similmente sperimentato un terremoto artificiale, ma deve sapere che esiste. Nessuno di noi attualmente ha i mezzi per distinguere su questo argomento il falso dal vero. Ognuno può però iniziare a considerare necessario saperne di più, perché le guerre da molti decenni non si dichiarano, ma si combattono con mezzi sempre più sofisticati, dalla terra delle faglie all'aria dei media.


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