17 aprile 2015

Je suis Kalashnikov. I delitti politici in una Kiev sempre più nazista

di Pino Cabras.
da Megachip.

In Ucraina i nazisti danno una caccia spietata e assassina agli oppositori più eminenti, con un una cadenza sempre più intensa. Appena nelle ultime 72 ore sono tre le personalità uccise in agguati ben organizzati, vere esecuzioni, con un messaggio inequivocabile: vi ammazziamo casa per casa
Nomi pesanti: Oles Buzina, un giornalista molto noto, assai efficace in televisione, ucciso davanti a casa dopo mesi di minacce; Oleg Kalashnikov, un ex deputato, freddato sull'uscio; Sergej Sukhobok, un altro operatore dell'informazione che gestiva un sito e un giornale indipendenti. Tutti personaggi troppo fastidiosi per il regime di Kiev nel suo momento più delicato.
Il giornalismo occidentale non si è ancora accorto che siamo di fronte a una svolta politica drammatica. Il blocco di potere ucraino vuole risolvere le sue enormi difficoltà eliminando fisicamente le voci contrarie perché troppo pericolose in questa fase.
Il regime non vuole permettersi nessun contropotere che gli possa far pagare il prezzo dei suoi gravi insuccessi militari e finanziari, né vuole che maturino vie alternative alla crisi permanente delle istituzioni ucraine. Ha in mano uno Stato indebolito, predato da appetiti locali, atlantici e polacchi, incapace di chiudere il cerchio della divisione etnica che esso stesso ha fomentato, privo di risorse che assicurino un futuro credibile a una qualsiasi azione di governo, già nei prossimi mesi.
In questo quadro esplode del tutto apertamente il nazismo, cioè quel che le istituzioni europee, i governi, il giornalismo occidentale, la maggior parte dei politici e degli intellettuali, tappandosi occhi e orecchie e forse anche il naso, non avevano voluto percepire come elemento costitutivo dell’indigesto pasticcio ucraino. Oggi non ci sono più scuse, nel momento che i dirigenti ucraini fanno a gara per esprimere «dichiarazioni di giubilo e commenti del tipo “se lo è meritato”» (come riferisce oggi la Repubblica a pag. 19). Eppure i segnali c'erano tutti, sin dal momento in cui le proteste di Euromajdan sono state totalmente egemonizzate in funzione di un colpo di Stato che ha rovesciato un governo regolarmente eletto, mentre alla guida degli apparati repressivi si insediavano esponenti di partiti nazisti. Le testate occidentali minimizzavano: ‘i nazisti-nazisti prendono pochi voti’, dicevano. E a molti ciò sembrava una garanzia sufficiente. Non avevano voluto capire che quella minoranza determinata era l'ingrediente fondamentale del nuovo regime: nella polizia, nei servizi segreti, negli unici reparti delle forze armate non soggetti a diserzioni di massa e pertanto lasciati liberi di compiere massacri e crimini di guerra, da Odessa al Donbass, sotto l’occhio benevolo degli addestratori NATO. Tutta l'ideologia ufficiale del nuovo regime è stata conformata a una dose crescente di valori e metodi nazisti, in modo inesorabile, con la copertura decisiva degli USA e l'acquiescenza codarda degli europei.
Non è un caso che ora gli assassini nazisti lavorino di più. Si sta infatti avvicinando il 70° anniversario della sconfitta del nazismo durante la Seconda guerra mondiale, e le solenni celebrazioni previste avrebbero messo comunque a nudo la loro natura. In una situazione normale non ci sarebbe posto per i nazisti e nessuna narrazione potrebbe assegnare loro un ruolo compatibile con l'Europa post-1945. Perciò hanno dapprima forzato ogni forma di revisionismo storico ufficiale, elevando le castronerie nazistoidi a nuova verità di Stato (il premier Yatsenyuk dichiara alla tv tedesca che «l'Unione Sovietica invase Ucraina e Germania durante la seconda guerra mondiale. Dobbiamo evitare che si ripeta»), poi hanno inserito il revisionismo come premessa della nuova legislazione che mette fuori legge il partito comunista, infine hanno moltiplicato le relazioni incrociate con il nuovo “cuore nero” dell'Europa, che batte sul Baltico, dove si cumulano i revanscismi e le ambizioni territoriali della Polonia, le sfilate di nazisti in Estonia e Lettonia, l'espansione delle attività permanenti della NATO a un passo dalla Russia e fin dentro l'Ucraina stessa.
Si tratta di una miscela politica pericolosissima - pronta a espandersi in un territorio vasto e composito in seno all’Europa - e inevitabilmente portata a generare fortissime opposizioni e profonde revisioni della postura nucleare di Mosca. A Kiev non basta più la sfilza di strani suicidi e incidenti che hanno eliminato dalla scena sette politici di opposizione solo da gennaio in qua, cui si aggiungono almeno altri otto dissidenti eliminati. Non basta più uccidere tanti giornalisti, chiudere canali televisivi, ritirare in massa gli accrediti giornalistici ai “filo-russi”.
Ora si gioca a carte più scoperte, si uccide con un messaggio. I giornalisti sono nel mirino, proprio nel momento in cui i nazisti stanno migliorando le loro carriere, ormai azionisti di riferimento di quella nuova forma di Europa non più antinazista tanto cara alla sottosegretaria USA Victoria Nuland.
Nessun quotidiano italiano oggi racconta questa mattanza in prima pagina, e questo “sopire e troncare” ci consente di misurare il diverso peso che invece fu dato alle pallottole che colpirono la redazione di Charlie Hebdo a Parigi e l’agnello sacrificale Boris Nemtsov a Mosca. Lo scandalo trova posto solo a pagina 19, dove finalmente riescono a disgustarsi per le dichiarazioni di Anton Gerashenko, consigliere del ministro dell’interno ucraino, che sul suo sito fa scrivere di Buzina: «bersaglio annichilito». Lo stesso sito che tre giorni fa pubblicava una lista di proscrizione con gli indirizzi dei dissidenti, compresi gli ultimi tre “bersagli annichiliti”, incluso Oleg Kalashnikov.
Certo, suonerebbe strano dire “Je suis Kalashnikov”. Ma suona strano anche dire soltanto “Je suis Charlie”, o “Je suis Nemtsov”, e fermarsi lì, dove in troppi si fermano. Tra l'altro, nella mattanza di Kiev, i delitti politici sono molto più leggibili, abbastanza da togliere alibi a quei larghi settori delle élites occidentali che si sono fin qui schierate (tranne significative e lodevoli eccezioni, specie in Germania) con il buco nero neonazista di Kiev.

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