8 ottobre 2009

Le teorie dei rischi e il crollo delle torri del WTC

di Ashot Tamrazian , – con prefazione di Giulietto Chiesa.

da Megachip


Il titolo del saggio, che l'Autore ha scritto appositamente per Megachip, è “Le teorie dei rischi e il crollo delle torri del World Trade Center di New York”.

Titolo di un lavoro accademico, seppure sintetizzato per le esigenze di divulgazione. Lo pubblichiamo così com'è, come ulteriore contributo di persona altamente qualificata alla ricerca della verità sull'11 settembre.


L'Autore è Ashot Tamrazian, dottore in scienze tecniche, professore dell'Università di Stato di Mosca per l'Edilizia e le Costruzioni, Direttore del “Centro per i rischi e la sicurezza delle costruzioni”.


L'ho incontrato, e conosciuto, il giorno 12 settembre 2008, nel dibattito televisivo che fu organizzato dalla prima rete televisiva russa, ORT, e che accompagnò, cioè precedette e seguì, la proiezione del film “Zero”, quella sera, su quello stesso canale, raggiungendo uno share del 34%, eccezionale per un venerdì sera russo, e una audience, solo in Russia, di una trentina di milioni di persone.


Tamrazian espose in quel dibattito, succintamente, alcune delle idee che ora pubblichiamo.


Incontrandolo di nuovo a Mosca, nel settembre 2009, ho saputo da lui alcune curiose circostanze che non mi erano note. Tra queste la storia della sua ricerca. Che non fu iniziativa del suo istituto.


Il tutto nacque dagli uffici bruxellesi della NATO, nel 2004. Fu loro l'iniziativa di indire un bando di concorso per lo studio dei crolli verificatisi nel World Trade Center l'11 settembre 2001.

E già questo dice qualche cosa: precisamente che nemmeno alla NATO erano soddisfatti delle conclusioni cui erano giunte le autorità americane, e in particolare il NIST (National Institute of Standards and Technologies) , al quale l'Amministrazione di Washington aveva affidato il compito di trarre le conclusioni.


Il bando di concorso venne diffuso per canali riservati, nelle più varie direzioni, cioè coinvolgendo i migliori istituti di ricerca europei. Il bando venne vinto dall'Università olandese di Delft, cioè dal più importante politecnico d'Olanda. Ma gl'imperscrutabili meandri del destino fanno sì che anche il Rossijskij Fond Fundamentalnykh Issledovanii (RFFI - Fondazione Russa per Ricerche Fondamentali), riceve l'invito a partecipare e, a sua volta, apre un concorso interno alla Russia, che viene vinto dall'Istituto Kurciatov di Mosca. Nell'ambito di quest'ultimo, assai famoso istituto universitario della capitale russa, viene formato un gruppo di 13 scienziati: ingegneri edili, esperti di aviazione, ingegneri nucleari, specialisti di metallurgia, ecc. Tamrazian entra a far parte di questo gruppo.


Ma non ci resta molto. Dopo un anno e mezzo di lavoro decide di lasciare l'impresa. Per due ragioni: il gruppo risultava sottoposto a un controllo strettissimo da parte di “osservatori” non ben precisati, che registravano direttamente tutti gl'incontri, sia in modo palese, sia in forme non del tutto palesi, ma avvertibili. L'atmosfera – dice Tamrazian - «non era tale da consentire un libero lavoro di ricerca». Il secondo motivo è che lo stesso Tamrazian si accorge, dopo alcuni mesi di lavoro, che le posizioni degli altri membri del team sono già «pregiudizialmente orientate in direzioni che non corrispondono agli elementi fino a quel momento raccolti». Per cui, come si suol dire, Tamrazian prende cappello e se ne va, sebbene l'ammontare della “commissione” NATO fosse cospicuo, oltre 200 mila dollari complessivi. Quale fu il risultato dell'indagine? Tamrazian mi dice che non ebbe più alcuna informazione in merito, ed è comprensibile essendosene escluso. Ma, ciò che sembra più strano, e lo è, consiste nel fatto che non si ha notizia delle conclusioni del team dell'Istituto Kurciatov, né di quelle del Politecnico di Delft. Chissà dove sono andate a finire.


Ed ecco il testo del professor Ashot Tamrazian:



Le teorie dei rischi e il crollo delle torri del World Trade Center di New York”



Chi conosce poco, conosce con precisione”


La questione fondamentale della teoria del rischio e dei sistemi del suo controllo è questa: “E cosa sarebbe successo se ...?”

Qui si prende in esame qualsiasi tipo di domande teoriche, purché non siano palesemente prive di senso e purché non contraddicano le leggi note della fisica.



Premessa

Il precedente più illustre di una vicenda analoga risale a 400 anni fa. Dopo molti secoli di osservazioni gli uomini poterono dimostrare ciò che appariva contrastare l'osservazione immediata: la Terra ruotava attorno al Sole e non il contrario, come si era creduto fino a quel momento.


Dove stava il problema? Stava nella modalità dell'esperimento. Cioè le persone osservavano ciò che si vedeva e costruivano la teoria sulla base del fatto triviale che ciò era visibile. Se ci si fosse posto il problema nella forma classica della teoria del rischio, allora tutto sarebbe divenuto chiaro.


Qui l'analogia è chiara. Al posto del Sole mettiamo l'aereo, e al posto della Terra mettiamo il grattacielo. La parte visibile dell'esperimento è rappresentata dal colpo inferto all'edificio dall'aereo. Si tratta di un evento incontestabile! Su questa base l'intero flusso del pensiero scientifico e politico è andato nella direzione sbagliata.


Naturalmente perché ciò avvenisse in modo così unanime c'è voluta l'azione di una vasta lobby politica che così ha voluto che fosse. Ma non tutto il male viene per nuocere. Numerose teorie sono sorte su questo problema, numerose conferenze si sono tenute, dalle quali si è creato un notevole sviluppo delle scienze dell'edilizia e in generale ingegneristiche.

Diverse questioni pratiche connesse con la tenuta di edifici di grande altezza, che hanno permesso di accrescere la sicurezza delle nuove costruzioni, di prolungare il periodo di vita delle stesse, sono emerse.

Anche se, per ora nessuno è in grado di trarre conclusioni in fase di progettazione.


La maggioranza degli osservatori inclina a pensare che la causa dei crolli sia stata l'incendio. Questo tema viene sviluppato però fino all'assurdo, affermando allo stesso tempo che la gente che si salvò poté farlo a causa della tenuta della struttura, nonostante l'effetto combinato dell'urto dell'aereo e degl'incendi che succedettero.


Ma è questo che è accaduto? Di esempi di aerei che impattano contro edifici non ce ne sono molti. Ma non ce n'è neanche uno che abbia prodotto un crollo con quelle caratteristiche. Tuttavia poniamoci la domanda iniziale: “E se, invece....?


Cioè: e se fosse che il crollo degli edifici si fosse verificato non solo a causa del colpo inferto dall'aereo e degli incendi successivi?


Analizziamo la situazione.

In realtà che cosa abbiamo?

Quello che abbiamo visto e cioè:

  1. Azione. Impatto dell'aereo (velocità dell'aeromobile, massa, quantità di carburante a bordo); incendio (temperature, tempo).

  2. Oggetto dell'azione. Disponiamo di tutti i dati sulle caratteristiche degli edifici e della loro progettazione.

  3. Reazione dell'oggetto all'azione. Dopo un'ora circa crollo totale dei due edifici (crollo perfettamente verticale, senza segno di piegamenti laterali).


Compito a). Azione. Ciò che abbiamo visto ha le caratteristiche dell'evidenza. Può essere calcolato. Qui sono possibili diverse variazioni di calcolo. Si possono aumentare, volendo, l'intensità e la potenza delle influenze esercitate.

Compito b) . Oggetto dell'azione. Rappresenta una situazione data, alla quale possono essere sovrapposte diverse ipotesi, legate alla sua progettazione, al periodo di sfruttamento dell'edificio, al degrado dei componenti. Tra queste le caratteristiche dei materiali di sostegno, la disposizione delle colonne metalliche, lo schema di costruzione. Tutto ciò è valutabile, seppure la tenuta dei materiali ha una sua incertezza, legata alla rapidità d'invecchiamento. Anche qui sono possibili manipolazioni dei dati, per esempio diminuendo i calcoli concernenti la resistenza dei materiali da costruzione utilizzati. Tutte queste varianti sono ben previste dalla teoria del rischio. L'obiettivo è quello di ottenere edifici altamente affidabili quanto a sicurezza. Tutti gli elementi implicanti accrescimento dei fattori di peso, pressione etc e quelli implicanti diminuzione della tenuta dei materiali sottoposti a sforzo e usura sono fissati nelle norme di costruzione con grande rigore.


Compito c). Reazione dell'oggetto. La definirei deterministica. Tutti hanno potuto vedere le immagini del crollo, per altro girate con alto livello di professionalità, quasi che fossimo di fronte a un esperimento scientifico.


È sulla base di questi dati di partenza che si impostano diversi metodi di calcolo sul comportamento degli edifici. L'obiettivo è di individuare, e dimostrare le cause del crollo e una descrizione attendibile dei motivi dello stesso. Si tratta di compiti scientifici logici e chiari


Ma per raggiungere l'obiettivo, nel caso che qualcosa non funzioni, può succedere che si introducano elementi arbitrari. Cioè che si manipolino i coefficienti di tenuta.

Solo in questo modo è stato possibile, infatti, ottenere risposta sulla causa (presentata come un dato non discutibile) e sulla presunta descrizione del crollo. E tutto ciò, probabilmente, è stato fatto con le migliori intenzioni.


Primo postulato. Lo schema di calcolo dell'edificio è costituito da una barra omogenea verticale fissata ad una estremità e libera all'altra. L'azione è creata da un impulso laterale, con conseguente incendio ad un'altezza definita e con determinata temperatura. La reazione dell'oggetto consiste nella perdita parziale della capacità di sostegno delle strutture rimaste immuni dall'urto al livello in cui esso si è verificato. Gli sviluppi successivi sono il crollo sopra e sotto la zona d'urto, sotto forma di effetti secondari. Ed è tutto.


Secondo postulato. Il fuoco si diffonde verso il basso (?!) e annienta le strutture portanti della costruzione per l'intero suo perimetro (?!). Si verificano grandi crolli, la frantumazione dell'edificio nei piani alti (cosa che, per altro non si vede nelle riprese televisive). Ma i movimenti già rallentati del crollo vengono fermati in un primo momento dalla resistenza delle parti inferiori (non compromesse, ndr) di sostegno dell'edificio.


Terzo postulato. Il movimento delle parti superiori dell'edificio comincia ad affondare nelle strutture delle parti inferiori (a mo' di stantuffo) e dilania l'edificio in direzione trasversale e, a questo punto, acquista velocità precipitando verso il basso. Una descrizione che corrisponde a ciò che si è visto, ma tremendamente fantastica, pur nella sua esatta interpretazione della scena. Infatti per ottenere un quadro del genere si è dovuto ampliare il volume dei crolli iniziali, aumentare la temperatura dell'incendio e, in modo davvero “scientifico” diminuire i coefficienti di tenuta dell'edificio, in verità non di molto perché fondati sull'indebolimento dovuto all'età dei materiali. Ma questo argomento svolge davvero un ruolo secondario in una tale precisione descrittiva da tiratore scelto.


Insomma le teorie sono state dimostrate, l'obiettivo è raggiunto.


Ma togliendo anche solo qualche mattone l'intera costruzione del modello non regge alla prova.


Per esempio la rappresentazione di una caduta libera della parte superiore al luogo dell'impatto, simile a uno stantuffo, verso il basso, come se le parti dell'edificio ancora sano non esistessero del tutto.


E ancora: è noto che il coefficiente dinamico di caduta è, in questo caso, 1,2. Cioè quando due corpi (come quelli in questione, parte superiore e inferiore dei grattacieli, ndr) entrano in collisione – e si tenga presente che la parte inferiore dell'edificio rappresenta dal 75 all'80% del totale – non può avvenire che il corpo di massa inferiore penetri nell'altro più grosso. Oltretutto si tratta di un colpo già “attenuato” perché l'oggetto contundente non è già più compatto ma in via di sbriciolamento.


Applicando i postulati della teoria dei rischi, il nostro schema descrittivo produce altri risultati.


Per ottenere una descrizione corrispondente a ciò che si è visto è necessaria soltanto una cosa: in presenza di un urto relativamente debole è necessario per forza di cose ipotizzare che la solidità della parte inferiore delle torri fosse assai più ridotta di quanto descritto nelle relazioni ufficiali.


Non siamo nell'ambito di ipotesi ma di semplice calcolo aritmetico.


Non è essenziale riportare qui questi calcoli ma, per carità di Dio, non tiriamo fuori l’invecchiamento della struttura. Porto come esempio le lastre di cemento armato degli edifici kruscioviani abbattuti negli anni scorsi a Mosca, Si trattava di pannelli all’incirca della stessa età degli edifici del WTC, il cui livello di degradazione strutturale risultò superiore del 40-50% rispetto alle previsioni progettuali.

(…)


Alla luce di quanto fin’ora detto sorge una domanda: ma come è stato possibile ciò che è successo? Perfino nell’ipotesi che non uno ma due aerei colpissero una sola torre, nemmeno in quel caso vi sarebbe stato un crollo totale degli edifici. Secondo i nostri calcoli sarebbero stati necessari come minimo quattro aerei di quelle dimensioni.


La teoria del rischio non si ferma qui.

Se, come siamo costretti a ipotizzare per spiegare il crollo, negli edifici in questione avvennero gravi riduzioni della tenuta strutturale della costruzione al di sotto del livello dell’incendio, allora sorge una domanda: quando è avvenuto questo mutamento? Prima o dopo l’impatto? (Preciso che la domanda circa il “come” ciò sia avvenuto qui non interessa).


La risposta, l’unica possibile, è che questi mutamenti possono essere intervenuti soltanto dopo l’impatto, poiché in presenza di tali mutamenti (evidentemente indotti artificialmente) l’edificio sarebbe crollato comunque, anche senza l’impatto dell’aereo.


Ecco il punto centrale. E allora l’impatto dell’aereo è stato un modo per sviare l’attenzione dell’osservatore dall’analisi dei dati reali.


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