27 dicembre 2010

I «Fatti» e i «fatti» di un'Italia ibernata

di Pino Cabras – da Megachip.


Chissà cosa direbbe di Wikileaks il personaggio misterioso nascosto dietro la sigla G.P., l’uomo oscuro che attraversa le vicende di E’ già sera, tutto è finito, un romanzo pubblicato nel 2010. Lui, G.P., è sempre loscamente puntuale all’appuntamento con gli avvenimenti più importanti del momento. Il personaggio pronuncerebbe anche ora una frase che ripete spesso: «Ci sono Fatti con la maiuscola e fatti con la minuscola. Io mi occupo di quelli con la minuscola». Esiste qualcuno in grado di pronunciare una frase come questa, apparentemente innocua e dimessa, in realtà segnata da una volontà di potenza spietata e nascosta. Qualcuno che a questa frase intende dare senso fino in fondo, mentre passano i decenni, le stragi restano impunite, e i segreti più pesanti non trovano nemmeno una personalità ambigua, che so, un Julian Assange, un Massimo Ciancimino, che li possa sbloccare.
Oltre ai personaggi che emergono oggi dalle inchieste o dalle rivelazioni giornalistiche concesse dal mainstream, scopriamo nel corso del racconto personaggi più in ombra, da raccontare con il passo epico di un intreccio fra mondi lontani. egiaseraQuesto è il passo ambizioso dell’opera prima di Tersite Rossi, lo pseudonimo che riveste le quattro mani dei giovani autori Marco Niro e Mattia Maistri.
“E’ già sera, tutto è finito” (Pendragon, 2010), già alla terza edizione, avrebbe molti elementi per essere un libro “alla moda”, oggi che si sta di nuovo riflettendo sugli anni 1992-1994, quando crollò la cosiddetta Prima Repubblica, un passaggio drammatico della storia civile e politica italiana, che ha triturato vite, carriere, movimenti politici, speranze, il tutto in mezzo a stragi, tensioni, ricatti e misteri. Il libro nel 2010 è stato il primo, ne sono seguiti almeno una decina, tutti concentrati a capire quel passaggio cruciale, le trattative Stato-mafia, le trame, i segreti sigillati, ecc.
Eppure è anche un romanzo necessariamente “fuori moda”, perché testardamente non vuole piegarsi a un solo punto di vista generazionale né presentarsi come gli instant book.
C’è sì lo sguardo inevitabile all’Italia di oggi, un Paese che proprio a partire da quel triennio maledetto è inceppato dall'ibernazione tossica della Seconda Repubblica e del suo dominus miliardario. Ma percepiamo anche l’immedesimazione con chi si affacciava alla vita pubblica nei primi anni novanta, come il gruppo di attivisti di un piccolo paese del Nordest.
Vediamo la storia di Antonio Castellani, giornalista d’inchiesta che vuole portare in modo dolente tutte le consapevolezze di un figlio del Sud che si era affacciato al Sessantotto, uno che sa tutto della terra e di un’antica cultura contadina, e perciò conserva un distacco rispetto al cortocircuito borghese in cui si sviluppano le storie e i riflussi post-sessantottini, in un ciclo storico lungo, quasi interminabile.
Si intersecano tante Storie e storie, con la maiuscola e la minuscola, dalla corruzione della politica locale al crollo della sinistra, dalle velenose propaggini dell’implosione jugoslava alla menzogna sistematica dei media, dalle grandi trame intessute dagli spaventosi burocrati della paura, fino alle piccole pavidità che le fanno attecchire. Il tutto è raccontato lungo diversi piani temporali, con diverse visuali e mentalità che convergono verso la crisi che poi paralizza il Paese con le bombe e la paura.
La speranza che si spegne nei giovani attivisti si consuma in provincia, a Gazzolino, in quel Nordest italiano che rappresenta uno dei luoghi fondamentali in cui si esaurisce una parabola storica che sembrava impennarsi sulle ali della crescita economica, ma poi si ripiega su se stessa fino a rispecchiare un declino inesorabile, dapprima morale e poi anche pienamente economico.
E lì viene rappresentato l’inizio della distruzione della partecipazione democratica, nel momento in cui la Casta si chiude, si rende catafratta, espellendo un’intera generazione che voleva portare ideali, e idee. Il precariato disperato di questi anni – una generazione perduta - è originato anche dalla distruzione delle formazioni sociali in cui si svolgeva la personalità dei cittadini. Le tante Gazzolino d’Italia hanno composto una catastrofe politica che finora nessuno aveva provato a raccontare.
Le macchinazioni violente di G.P. somigliano invece alla presenza del misterioso “signor Franco” delle trame stragiste di cui oggi cominciamo a sapere appena qualcosa dopo tanti anni, nelle cronache.
Antonio, cronista di razza, giornalista investigativo vecchio stile, ci fa arrivare la parte migliore del suo mestiere, perché fa nomi e cognomi. Attraverso di lui, anche il romanzo fa nomi e cognomi, coraggiosamente. L’appendice finale del libro è un ottima guida anche per i futuri storici. Può esserlo già oggi per i cronisti.
Non è un caso che questa narrazione sia stata apprezzata da Massimo Carlotto, essendogli molto congeniale il registro “noir” con cui il testo di Tersite Rossi racconta quel che il giornalismo non riesce più a raccontare.
“È già sera, tutto è finito” inizia a colmare un deficit di comprensione sul potere che ha modellato l’Italia degli ultimi decenni, più di quanto potrebbero colmarlo le singole “rivelazioni”, e perfino più delle inchieste della magistratura. Non c’è da illudersi in questa materia. Come ha ricordato Aldo Giannuli, «quando si deve ricostruire una vicenda terribilmente complicata ed articolata come le stragi, dove entrano in gioco gruppi eversivi ed apparati dello Stato, agenti stranieri e uomini politici d’alto livello, il processo esige centinaia di testimoni, valanghe di documenti, decine e decine di perizie, una pioggia di sequestri, intercettazioni ecc.», con un impatto che la struttura del processo penale prevista dal codice non regge, essendo «pensato per casi molto circoscritti, con pochi testi, due o tre perizie, pochi imputati».
La comprensione di questo periodo non potrà essere quindi solo giudiziaria, né solo giornalistica, né soltanto strettamente storiografica. Aiutano di più gli approcci che si rifanno al «Cos'è questo golpe? Io so» di Pier Paolo Pasolini.
Quel tipo di denuncia in forma d’arte, di racconto di vita e di caratteri, di adesione più piena a una verità storica, con Tersite Rossi prova ad aggiornarsi, e a tenere così al corrente la nostra possibilità di dire «Io so», ancora una volta.

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