25 ottobre 2016

Il linguaggio prezioso della Costituzione. Ecco perché #iodicoNo

Mio intervento sul "RefeRenzum" Costituzionale, da ospite della manifestazione del M5S organizzata ad Assemini (CA) il 22 ottobre 2016.





9 ottobre 2016

Trump-Hillary. Sesso, finanza e videotapes

di Pino Cabras.
da Megachip.

Una breve riflessione per contribuire a contestualizzare la notizia del giorno.

Mentre il coro dei media tira fuori uno scheletrino dall'armadio di Donald Trump facendolo diventare un delitto mondiale, passa del tutto in secondo piano la rivelazione di Wikileaks con le ributtanti trascrizioni dei discorsi a pagamento che Hillary Clinton pronunciava presso i pezzi grossi di Wall Street, ai quali teneva a dire: "Mi sento molto lontana dalla classe media". E intanto prometteva loro l'esatto opposto di quanto promette al popolo bue: la protezione incondizionata dei super-ricchi. Per questi servigi si calcola che abbia ricevuto quasi 26 milioni di dollari.

Mi pare che la politica USA sia in una crisi drammatica, con due candidati alla presidenza squallidissimi e deboli, laddove l'unico centro di comando con effetti decisionali veri, al momento, risiede al Pentagono, e l'unica fonte di legittimazione vera risiede nel denaro della grande finanza

Piccolo problemino aggiuntivo, che si perde nel coro russofobo dei media: il Pentagono è in mano a gente che sta prendendo decisioni che rendono possibile sin d'ora una guerra fra USA e Russia
Che - capite bene - non è come le altre guerre.





8 ottobre 2016

Quei finti video di Al-Qa'ida e l'informazione

di Marcello Foa.

Il commento pubblicato in prima pagina sul «Corriere del Ticino» del 5 ottobre sui falsi video di Al-Qa'ida  ha avuto una risonanza enorme, per la quale ringrazio i lettori. Non a tutti è piaciuto, com'è normale. Alcuni hanno chiesto dei chiarimenti sulla manipolazione dei video, che sono ovviamente ben lieto di fornire.
Ricordiamo brevemente i fatti: per 5 anni il Pentagono ha stipulato un contratto con una società di PR britannica, la Bell Pottinger, per operazioni di propaganda e di guerra piscologica in Iraq, in cambio di un compenso colossale: 540 milioni di dollari
Un videomaker, Martin Wells, ha svelato l'esistenza di questo programma al Bureau of Investigative Journalism. 
Le attività erano diverse ma le più sensibili erano due, cosiddette di propaganda grigia e nera: la produzione di finti servizi televisivi, poi diffusi alle emittenti della regione, e di filmati di propaganda, che venivano falsamente attribuiti ad Al Qa'ida
Alcune immagini erano girate in proprio («Mandavamo squadre di operatori a effettuare filmati in bassa definizione degli attentati di Al Qa'ida», ricorda Wells), in altri casi venivano usati filmati esistenti. 
La propaganda nera si tramutava in un video in apparenza «di Al Qa'ida» di 10 minuti, inciso su dei CD che poi venivano lasciati furtivamente dai marines durante i raid nelle case e nei villaggi, e dotati di un codice che consentiva di tracciare chi li guardava al computer e di trasmettere l'indirizzo IP tramite Google Analytics. Un'operazione di intelligence, che è stata ripetuta numerose volte.
E qui nascono i problemi. Perché negli ambienti jihadisti sono circolati per anni filmati autentici di Al Qa'ida e altri che sembravano di Al Qa'ida ma che erano stati prodotti dalla società britannica Bell per conto del Pentagono. Filmati che, come ci hanno ripetuto all'infinito gli esperti, solitamente finiscono sul web, nella chat riservate, nei siti dei fanatici islamisti che, ad esempio, il famoso SITE della cacciatrice di jihadisti Rita Katz monitora costantemente, producendo scoop poi ripresi non solo dai media mediorientali ma anche, e talvolta soprattutto, da quelli occidentali. 
Ma i video diffusi – nel periodo 2006-2011 – erano davvero tutti di produzione di Al Qa'ida? O ne aveva le sembianze ma in realtà era un'elaborazione del Ministero della difesa americano? E cosa contenevano quei messaggi?
L'inchiesta del Bureau non chiarisce tutti i dettagli. Interpellate, le autorità americane si rifiutano di fornire spiegazioni più precise, ma ammettono che «la Bell lavorava per l'Information Operations Task Force (IOTF), producendo materiale che in parte è stato comunicato alle forze della coalizione citando la fonte e in parte nascondendola». Dunque traendo in inganno non solo i seguaci jihadisti ma gli stessi alleati. E conseguentemente anche i media.
Il Pentagono insiste che il materiale era «truthful» ovvero attendibile o veritiero, ma è ben diverso dall'affermare che fosse vero
Inoltre l'inchiesta afferma che la società inglese lavorava in un'operazione militare riservata «coperta da numerosi accordi segreti» e che la Bell Pottinger riportava al Pentagono, alla CIA e al National Security Council. Le attività più sensibili dovevano ricevere l'ok del generale Patraeus.
Come ho spiegato nel mio commento, non c'è da stupirsi per queste attività; rientrano nelle attività di intelligence. Il punto è che nell'era della comunicazione globale e di internet non sono limitate al teatro di guerra, ma finiscono per contagiare anche i media in tutto il mondo, influenzando le nostre opinioni pubbliche, che non possono accettare a cuor leggero che un filmato di Al Qa'ida possa essere in realtà una produzione del Pentagono. 
Non dopo aver avuto la prova che la guerra in Iraq contro Saddam Hussein è stata proclamata sulla base di accuse inventate. È una questione di credibilità; e quella americana, purtroppo, è da tempo fortemente incrinata.


5 ottobre 2016

Quei filmati di Al-Qa'ida? Li faceva il Pentagono

di Marcello Foa.
I video di Al-Qa'ida? Così falsi da sembrare veri e commissionati non da Bin Laden, ma dal Pentagono, per il tramite dell'agenzia di PR britannica Bell Pottinger che per almeno cinque anni ha lavorato in Iraq su mandato del Dipartimento della difesa americano ottenendo un compenso di oltre 100 milioni di dollari all'anno. Totale: 540 milioni di dollari, una cifra esorbitante.

Sì, sì, avete letto bene: certi filmati di Al-Qa'ida erano "made in USA". A rivelarlo è il Bureau of Investigative Journalism in un'ottima inchiesta appena pubblicata sul web, incentrata sulla testimonianza di un video editor, Martin Wells, che quei filmati li ha fatti in prima persona, e riscontri nei documenti ufficiali.


La storia è intrigante, quasi da film. Siamo a Londra. Wells, un video operatore free lance, nel maggio del 2006 viene contattato con la prospettiva di un contratto in Medio Oriente e al primo colloquio si accorge che il committente è molto particolare. Non è la solita società di produzione ma l'ambiente in cui viene accolto è militare; anzi di intelligence militare. Viene scortato da guardie armate all'ultimo piano di un palazzo. Il colloquio è breve e gli comunicano subito l'assunzione perché hanno fatto delle verifiche sul suo conto e lo hanno trovato «pulito». Tempo 48 ore e si trova a Baghdad in una base ultraprotetta, una centrale dove vengono pianificate operazioni di guerra psicologica, in gergo le psyops, alcune delle quali tradizionali. 
"Dovevamo produrre filmati "bianchi" ovvero nei quali la fonte era dichiarata, tendenzialmente si trattava di spot contro Al Qa'ida", spiega Wells.
Ma altre operazioni erano decisamente meno trasparenti. 
"La seconda tipologia era 'grigia': finti servizi giornalistici che poi venivano mandati alle Tv arabe". 
E poi c'era quella "nera" in cui la paternità dei video era "falsamente attribuita". Insomma false flag, che Wells spiega così: "Producevamo finti filmati di propaganda di Al-Qa'ida, secondo regole e tecniche precise; dovevano durare dieci minuti ed essere registrati su dei CD, che poi i marines lasciavano sul posto durante i loro raid, ad esempio durante un'incursione nelle case di persone sospettate di terrorismo. L'obiettivo era di disseminare questi video in più località, possibilmente lontani dal teatro di guerra perché scoprire filmati di quel genere in località insospettabili avrebbe aumentato il clamore e l'interesse mediatico". 
Dunque non solo a Baghdad, ma anche "in Iran, in Siria (prima della guerra) e persino negli Stati Uniti".
Capito? Certi angoscianti scoop che rimbalzavano sul web o in Tv in realtà erano fabbricati a tavolino da una società di PR britannica all'interno di una base statunitense in Iraq. E vien da sorridere pensando che poi erano la CIA o la Casa Bianca a certificarne l'autenticità.
Wells conferma modalità che gli esperti di spin conoscono bene. Il mandato viene affidato da un governo a società di consulenza esterne per aggirare la legge, evitare il controllo di commissioni parlamentari e proteggere le istituzioni nell'eventualità che queste operazioni vengano scoperte e denunciate dalla stampa, cosa che peraltro non accade quasi mai. 
I fatti svelati dal Bureau of Investigative Journalism infatti risalgono al periodo 2006-2011; nel frattempo la Bell Pottinger è passata di mano e le truppe americane si sono ufficialmente ritirate dall'Iraq. Lo scoop è sensazionale ma difficilmente assumerà rilevanza internazionale perché riguarda un passato lontano e infatti la maggior parte dei grandi media lo ha ignorato.
Intendiamoci. Il fatto che in un contesto di guerra, seppur particolare come quella al terrorismo, si possano concepire operazioni di questo tipo non sorprende. Lo insegnano, da secoli, Sun Tzu e Machiavelli. Il problema è che di solito sono limitate al teatro di guerra, mentre negli ultimi anni hanno assunto una valenza globale
Quella propaganda non è rivolta solo agli iracheni e agli attivisti di Al Qa'ida ma anche ai cittadini del resto del mondo, persino agli americani nonostante la legge statunitense lo vieti espressamente. Ed è diventata sistematica
Sappiamo che la guerra in Iraq è stata proclamata su accuse inventate a tavolino. Sappiamo che i report sull'andamento della lotta ai taliban in Afghanistan sono stati falsificati per anni ingigantendo i successi dell'esercito americano, sappiamo delle manipolazioni mediatiche di alcuni drammatici episodi del conflitto in Siria e sappiamo anche che alcuni filmati dell'ISIS sono stati postprodotti e manipolati, in certi casi anche con risvolti comici, come quello in cui i terroristi scorrazzano per il deserto iracheno su un pick-up con le insegne di un idraulico del Texas.
La frequenza e l'opacità di questi episodi pone un problema di fondo, molto serio: quello dell'uso e soprattutto dell'abuso delle tecniche di psyops, che non può diventare un metodo implicito di governo attraverso il condizionamento subliminale ed emotivo delle masse. Non nelle nostre democrazie.

4 ottobre 2016

Grillo ha bisogno di Pizza, altro che storie

di Pino Cabras.



Mi posso permettere di parlare con molta libertà del Movimento Cinque Stelle, nell'ora in cui questo perde Federico Pizzarotti, proprio lui, il suo primo sindaco di una città capoluogo, con tanto di saluto finale sprezzante di Beppe Grillo

Mi posso permettere tanta libertà perché ho combattuto contro i giudizi ingiusti che per anni sono stati espressi contro i cinquestelle, sia i giudizi di quelli che avevano interessi - spesso loschi - da difendere, sia quelli dei troppo pigri intellettualmente (quelli cioè che vedono il fascismo dove non c'è e non si accorgono di chi ha difeso in Parlamento la Costituzione contro la riforma Boschi-Verdini). 
Molti amici del MoVimento sanno che nel difenderli ho affrontato rimproveri e persino qualche insulto per solo amore della verità. 

Nel caso della vicenda di Pizzarotti la vedo molto semplice: a Parma nel 2012 si è prodotto per la prima volta lo schema che poi si è ripetuto uguale identico in tante altre città: un sistema di potere locale corrotto fino al marciume e imperniato sul PD - alla fine di un disastro che ha divorato le casse comunali - viene sconfitto al ballottaggio da una forza che non spunta come un fungo, ma viene da anni di opposizione senza sconti. 
Per il M5S votano insieme elettori di sinistra (disgustati e in fuga dal sistema imploso) ed elettori di destra che non voterebbero mai per quella sinistra. 
A Parma va dunque al governo un gruppo dirigente che si trova a gestire una catastrofe finanziaria senza avere una pregressa esperienza amministrativa, ma che sa rimboccarsi le maniche e identifica le priorità civiche all'interno della cornice delle leggi, senza dover rispondere ai ricatti paralizzanti del vecchio sistema di potere parassitario. 
Non riesce a fare tutto quel che vorrebbe, perché non tutto è nelle competenze azionabili dal Comune, ma se la cava decisamente bene. Certo, sul nuovo sindaco pesano i vecchi debiti, ma il solo fatto di essersi liberato dei parassitismi politici che c'erano prima di lui offre a Pizzarotti margini di manovra mai visti. Quei debiti li riduce del 45%, e il suo comune scala persino alcune delle classifiche che contano per giudicare la qualità della vita di una città rispetto a centinaia di altre. Accade addirittura che Parma, dapprima sull'orlo della bancarotta, riesca a diventare in pochi anni la 18° città italiana per stabilità economica

Insomma, Pizzarotti funziona, e funziona bene.

Quel che non funziona è il rapporto con la macchina politica che detiene il marchio del M5S, ossia il nucleo aziendale diBeppe Grillo e della famiglia Casaleggio, così come non funziona il rapporto con la seconda cerchia dell'emergente forza politica (il Direttorio). Ogni tanto il blog di Grillo nei confronti del "Pizza" scrive due o tre righe, sempre più fredde. È evidente che lui non è un tipo governabile con direttive dall'alto, perché possiede la pertinacia minuziosa e pragmatica di certi amministratori vecchio stampo, che hanno studiato i regolamenti fino a spremerne l'anima, gente che non convinci se prima non studi anche tu. 

Nel frattempo molti altri comuni vengono conquistati dal M5S. Stesso schema: municipi con una lunga storia di amministrazioni piddine spaventosamente tarlate vengono espugnati da liste con il marchio cinquestelle che riescono a vincere i ballottaggi e mettono sindaci non ricattabili dai vecchi poteri. 
L'arcipelago delle realtà locali pentastellate viene tenuto insieme sempre più a fatica da un movimento politico che - per non volersi dotare di regole da partito tradizionale - si trova a gestire le questioni politiche con regole evanescenti, meccanismi di garanzia troppo dipendenti dall'arbitrio di pochi, norme di inclusione-espulsione giuridicamente insostenibili. A peggiorare le cose ci si mette un Direttorio che - a dispetto del nome - non sembra ambire a dirigere il rapporto con le realtà locali, tranne eccezioni: i problemi minori, trascurati, diventano grandi e scavano solchi anche sul piano umano.
Fra questi problemi ci sono piccole grane giudiziarie che i sindaci del M5S subiscono quasi sempre perché il PD spodestato cerca una riscossa in tribunale. Anche qui, lo schema si ripete: gli esponenti del PD presentano degli esposti praticamente infondati, ma scritti abbastanza bene da costringere i magistrati a indagare e a far recapitare un "avviso di garanzia" all'amministratore pentastellato di turno. 
Se funziona bene la comunicazione fra l'amministratore e i livelli apicali del M5S, il MoVimento è garantista e attende che l'amministratore sia scagionato (come quasi sempre accade). 
Se quella comunicazione invece non funziona bene, come nel caso di Pizzarotti, il Movimento lo sospende e non revoca la sospensione nemmeno quando il sindaco di Parma viene prosciolto. Fino all'assurda cavillosità dell'ultima cosa che Grillo trova da dire a Pizzarotti: la richiesta dei «documenti che gli sono stati richiesti il 6 giugno e che non ha mai fornito». Dopo i balbettii di Di Maio sulle vicende romane, trattati con ben altra indulgenza, l'unica cosa che Grillo ha dire su un amministratore che esce pulito è questa pedanteria, riferita per di più a un regolamento interno che sarà sostituito proprio perché in tutta evidenza non funzionava. 
Allora traduciamo le cose in termini politici: nessuna norma avrebbe mai potuto dimostrare che Pizzarotti si comportava in contrasto con regole e azioni tipiche del M5S né il capo poteva espellerlo senza compiere violazioni della legge passibili di strascichi giudiziari. Così lo si è tenuto nel limbo, per spingerlo ad espellersi da solo, senza dargli una risposta che fosse una, nel merito, in modo pubblico, trasparente, conforme alle aspettative tanto decantate quando tutto doveva andare in streaming.
Era così insostenibile l'autonomia parmense? A me pare che la nomenklatura pentastellata abbia commesso un errore politico madornale che finirà per pagare a caro prezzo, tagliando fuori voci democratiche e creative. L'ultima cosa che serve a chi vuole costruire un'opposizione forte oggi e un governo popolare e pluralista domani.