29 settembre 2016

Disastro ferroviario in Algeria. Lo sapevate?


di Pino Cabras.
da Megachip.
Immagine tratta da Ennahar TV

Il 24 settembre, solo pochi giorni fa, in Algeria, un brutto incidente ferroviario ha causato un morto e centinaia di feriti. La notizia è passata inosservata in gran parte del mondo, tranne brevi richiami qua e là, come nel Mirror britannico.

In Italia addirittura nessun cenno. Ho controllato con i motori di ricerca: nada de nada, nisba.

Viceversa, l’incidente di oggi del treno in New Jersey, pur avendo la stessa esatta magnitudine di quello algerino, ha avuto lo squillante richiamo di notizia di apertura in quasi tutti gli organi di informazione dell’Occidente, compresi i telegiornali nostrani. Giovanna Botteri ci ha immancabilmente aperto il Tg3, ma lei lo aprirebbe anche se cadesse un albero a Kansas City.

Il messaggio trasmesso quindi non è: “c’è stato un incidente”; bensì: “solo le cose che succedono negli Stati Uniti sono importanti”.

Le altre storie, le altre visioni del mondo, le altre sofferenze, le altre speranze, le altre ragioni politiche, saranno riferite solo se i media occidentali daranno il permesso, volta per volta, secondo le loro convenienze e i propri pregiudizi. Persino la tv russa in lingua inglese, RT, oggi apre con il disastro del New Jersey, perché la nota di fondo che si suona a Ovest ha una forza preminente che si impone anche sulle abitudini di un'emittente che sa suonare un’altra musica. RT peraltro non ha bucato la notizia algerina.

Questo modo occidentale di narrare le storie ha tante applicazioni, specie in materia di guerra. Oggi ci fanno vedere i bambini che muoiono fra le macerie di Aleppo per commuoverci e indignarci, proprio quando l’esercito siriano guadagna terreno a danno dei jihadisti, quelli che il senatore USA John McCain chiama i nostri “asset”. Le nostre lacrime vengono manovrate con cinismo assoluto, perché gli stessi media non mostravano le vittime quando venivano mietute da tali impresentabili alleati, come del resto non mostrano le stragi saudite in Yemen, fatte con le nostre bombe.

Parlare di un incidente ferroviario locale come di una notizia mondiale è dunque un ingranaggio che fa parte di un meccanismo, di un sistema di pensiero funzionale alla guerra. Chi decide come farci percepire il diverso peso di ogni parte del mondo decide anche come farci percepire le guerre. Un direttore di TG costa meno di un F35, ma bombarda molto di più prima ancora che si combatta la battaglia finale.




26 settembre 2016

La guerra, Giovanna Botteri e i collegamenti mancanti


di Pino Cabras.
da Megachip.



Tg3 del 25 settembre, l'ennesimo servizio di Giovanna Botteri. Alla giornalista del Tg3 viene riservato un ruolo bizzarro: essere di fatto non la corrispondente da New York, ma dal Resto del Mondo, comunque via New York. 

Quel che accade nel pianeta appare o scompare nelle sue cronache secondo il suo arbitrio (o secondo l'arbitrio di chi le passa le carte nella sua sede). 

Fare o non fare certi collegamenti fra i diversi fatti conferisce alla giornalista un potere enorme: i fatti esistono anche senza di lei, ma la conoscenza dei fatti e i loro collegamenti reciproci esistono solo se lei li racconta. E lei non li racconta. Riferisce solo un punto di vista, quello della CIA, l’organizzazione più attenta alla qualità del giornalismo occidentale.

Ieri parlava di Aleppo. In questi giorni c’è un’offensiva del governo siriano per liberare la seconda città della Siria dalla morsa delle formazioni jihadiste alleate delle potenze NATO, che per lunghi anni l’hanno parzialmente occupata e per il resto assediata. I tanti morti di questa battaglia sono solo gli ultimi di una vicenda pluriennale, su cui Botteri ha taciuto. La corrispondente non entra nemmeno nei labirinti della vicenda. Per lei, come per tutti gli sponsor delle formazioni jihadiste, i russi hanno “rotto la tregua” e stanno compiendo niente meno che un “genocidio”. 

Non sto a ricordare che la tregua l’ha rotta l’attacco aereo statunitense di Deir ez-Zor (che ha massacrato la guarnigione siriana che resisteva all'ISIS e si è accompagnato a una puntualissima offensiva della stessa ISIS, e su cui Botteri non ha detto né ai né bai). Né sto a ricordare quanto si abusi della parola genocidio per patrocinare la propaganda di una parte in guerra e ‘hitlerizzare’ il nemico (un trucco criminale che funziona sempre).

Attiro invece l’attenzione sul collegamento che Giovanna Botteri – colpevolmente – non fa né oserà mai fare. Mentre le grandi potenze occidentali stigmatizzano le perdite di vittime civili in Siria e le attribuiscono ad Assad e a Putin, in questi giorni quelle stesse potenze battono ogni record nel fornire armi di ogni tipo all’Arabia Saudita, cioè il principale finanziatore e fornitore di ISIS e simili. È quella stessa Arabia Saudita che sta anche bombardando selvaggiamente la popolazione civile dello Yemen, proprio in queste ore, come fa da due anni in qua. Da quando il premio Nobel della pace Barack Obama è alla Casa Bianca, gli USA hanno dato all’Arabia Saudita la bellezza di 115 miliardi in armamenti, cui si aggiungono le forniture di bombe sardo-tedesche che partono dall’aeroporto a 10 km da casa mia.
 Decine di migliaia di morti e milioni di senzatetto non scandalizzano le potenze che aiutano i massacratori. E perciò non scandalizzano Giovanna Botteri, che non ne parla, impedendo a milioni di persone di avere una visione completa del quadro. 

Fino a prova contraria, lo stipendio a Giovanna Botteri lo paghiamo noi, non la CIA. E allora, perché ci propone soltanto il punto di vista della CIA?
Mi dicono che faccio domande ingenue. Ma preferirei che le sue veline venissero lette direttamente da un funzionario della CIA. Disintermediare per risparmiare.


22 settembre 2016

Virginia Raggi contro il ceto politico-affaristico criminale

di Pino Cabras.

C'erano pochi dubbi sulla causa principale delle difficoltà che ha dovuto affrontare la sindaca di Roma Virginia Raggi nei suoi primi mesi alla guida dell'Urbe: non le carenze pur notevoli della classe dirigente che lei ha portato al Campidoglio, ma i difetti della classe dirigente contro cui fa fronte, un ceto affaristico-politico criminale fra i più avidi del pianeta, al potere da generazioni. Dire no alle Olimpiadi a Roma è, semplicemente, dire no a un potere sfrenato e finora senza contrappesi che ormai ha un unico progetto: arraffare.

Guardiamoci negli occhi senza dar retta alla solita retorica vuota con cui quel potere vuole fregarci: il rimpianto delle occasioni perdute, le glorie di una vetrina planetaria, i soldi che daranno un'anima a mille betoniere e mille gru, il PIL futuro, il soffio vitale delle Grandi Opere. O addirittura lo spirito olimpico in persona.

Andiamo sul concreto, invece, e valutiamo bene tutti i disastrosi precedenti, così guardiamo soprattutto negli occhi degli imprenditori tipici di queste opere e negli occhi dei politicanti e giornalisti corrotti che li accompagnano. Tutti questi personaggi dovrebbero trovare, chissà dove, le qualità per elevarsi sopra quei precedenti. Tuttavia, né i precedenti italiani né quelli di altri paesi offrono alcun appiglio. Abbiamo a che fare con gente che non è in grado di elevarsi sopra alcunché. Quei precedenti li tengono giù per terra: non c'è "Grande Opera" degli ultimi trent'anni in Italia - fra quelle che hanno sfruttato qualche circostanza "eccezionale" e richiamato miliardi in deroga a procedure ordinarie - che non abbia prodotto più debiti e più tangenti, con ben pochi benefici per i cittadini e molta sofferenza per le casse pubbliche.

Nel mondo, non si trovano casi di Olimpiadi - tranne poche peculiari eccezioni, non certo ripetibili nell'Italia di oggi - che negli ultimi decenni non abbiano inflitto colpi terribili al bilancio delle città interessate. Quando il sacrificio economico alla fine riusciva a non contare, era perché dietro c'era anche un progetto politico vero. La voragine di quaranta miliardi di dollari di Pechino, ad esempio, serviva a far dire ai cinesi: "ciao mondo, eccoci qui, siamo quasi la prima potenza, abbiamo un sacco di cose da raccontarci!"

Cos'avrebbe avuto invece da raccontare al mondo la Roma del "generone" del XXI secolo, una volta fatto l'ennesimo buco miliardario?

Cos'avrebbe garantito nella gestione del denaro pubblico una classe dirigente nazionale che non sa sfruttare nemmeno i miliardi dei fondi europei?

A cosa sarebbero state sottratte queste risorse? Qualcuno dimentica che l'Italia non batte moneta, ma prende a prestito una moneta "straniera" che le costa tanto e la porta a tagliare via via le spese sociali. Da quando c'è l'euro, le Olimpiadi estive si sono tenute una sola volta nell'eurozona: in Grecia. Dobbiamo aggiungere altro?

Facciamola breve. Nelle condizioni attuali delle classi dirigenti italiane, fare il processo alle intenzioni è puro realismo: quelli che volevano imporre le Olimpiadi le avrebbero usate per un'immonda mangiatoia, avrebbero ridotto il comune di Roma a un rimorchio trainato dalle scelte dei palazzinari, senza che gli amministratori eletti potessero decidere le alchimie e le aree da trasmutare da ruggine a oro zecchino.

Sul corpo dell'eterna capitale corrotta, dell'eterna nazione infetta, avrebbe avuto inoltre buon gioco ad adagiarsi una delle organizzazioni più purulente del capitalismo planetario, il movimento olimpico attuale. Per inerzia si pensa ancora a De Coubertin. Realismo vorrebbe che per descriverlo si ripassasse invece l'abc del giornalismo antimafia.

Tutto questo non significa per forza "ordinaria amministrazione". Sono emerse persino proposte molto immaginifiche per progettare un'Olimpiade più sobria, più popolare, da finanziare con una moneta complementare, come ha proposto Nino Galloni. Per quanto detto fin qui, è tuttavia irrealistico usarla nel caso delle Olimpiadi (in mano a poteri che non hanno di questi programmi), mentre la misura di una moneta complementare avrebbe molte applicazioni per fare opere utili, piccole e diffuse. Pensiamoci, non solo per Roma.

20 settembre 2016

GRATTACIELI DELLE BUGIE - Servizio di Rossiya1 sull'11 settembre

PANDORA TV - Speciale.

Il primo canale russo ha prodotto, trasmettendola in prima serata, un’inchiesta sull’11 settembre 2001. 

Oltre a interviste a Giulietto Chiesa, Richard Gage e altri esperti sui mega-attentati di New York e Washington, il servizio mette in luce analisi e fatti nuovi.
Il ruolo delle esercitazioni militari e la costituzione di giganteschi fondi neri per centinaia di miliardi di dollari.



Traduzione di Geraldine DTK.


18 settembre 2016

ISIS Air Force: gli aerei di Obama fanno strage di soldati siriani

di Pino Cabras.
da Megachip.
ARTICOLO AGGIORNATO IL 18 SETTEMBRE 2017, h.9:30, dopo l'attentato a Manhattan


Siamo di fronte a una svolta drammatica nella situazione internazionale. Un gravissimo episodio militare con una strage in Siria avviene lo stesso giorno in cui qualcuno tenta una strage a New York. La bomba di Manhattan, dato il luogo, attira più attenzione e distrae verso altre tensioni, al prezzo di trenta feriti. Ma sono le bombe in Siria a cambiare lo scenario.

Nel pieno dell'incerta tregua negoziata da Russia e USA, un attacco aereo a sorpresa, condotto dalle forze aeree della "coalizione" a guida statunitense, ha colpito con bombe al fosforo le posizioni dell'esercito siriano nei pressi della città orientale di Deir ez-Zor, intorno alle ore 17 di sabato 16 settembre, uccidendo oltre un'ottantina di soldati

Per singolare e perfetta coincidenza, dopo il bombardamento è scattata immediatamente un'offensiva delle forze di Daesh (ISIS), tese a riconquistare posizioni strategiche in una delle aree chiave per la tenuta territoriale dello pseudo-Califfato. L'offensiva jihadista è stata bloccata con un ulteriore costo in termini di vite umane pagato dall'esercito di Damasco.
Altra "coincidenza": si intensificano nel Sud della Siria gli attacchi israeliani all'esercito siriano impegnato in operazioni militari contro milizie jihadiste legate ad Al-Qa'ida.

Per capire la gravità della situazione, si consideri che la Russia ha convocato una riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza dell'ONU per discutere del bombardamento di Deir Ez-Zor, che - a quanto conferma il portavoce del Ministero russo della Difesa, Igor Konachenkov - è stato condotto da due cacciaF-16, due aerei di attacco al suolo A-10 e un drone, tutti entrati dalla frontiera irachena.
Da parte americana, il CentCom (il Comando Centrale degli Stati Uniti) ha dichiarato che si è trattato di un errore perché «la Siria ha una situazione sul terreno complessa con varie forze militari e milizie che combattono in prossimità».
I militari siriani dichiarano che non se la bevono, e accusano gli USA di essere l'aviazione di Daesh.
Mosca inizia dapprima con una dichiarazione circospetta e fa notare che - come minimo - gli USA agiscono con irresponsabilità: «Se l'attacco aereo è stato causato da dalle coordinate errate di obiettivi, allora si tratta di una diretta conseguenza della ostinata mancanza di volontà della parte americana di coordinarsi con la Russia nelle sue azioni contro i gruppi terroristici in Siria», ha sottolineato Konashenkov, lasciando uno spiraglio all'interpretazione dell'aggressione come un errore, seppure criminalmente colposo.
Tuttavia, con il passare delle ore, le accuse russe diventano molto esplicite e dirette.
La portavoce del Ministero degli Esteri, Maria Zakharova, ha dichiarato all'emittente Rossiya 24 : «Se già precedentemente potevamo dubitare che la Casa Bianca proteggesse il Fronte Al-Nusra, ora, dopo l'attacco aereo contro l'esercito siriano, possiamo trarre una conclusione inquietante per il mondo intero: la Casa Bianca protegge Daesh».
Mosca - nell'osservare una serie infinita di doppiogiochismi sulla vicenda siriana - ha sempre presenti le prime reazioni di due grandi vecchi dell'imperialismo USA, Zbigniew Brzezinski eJohn McCain: entrambi, non appena era iniziato l'intervento russo in Siria, nell'autunno del 2015, imputavano a Mosca di "distruggere i nostri asset". Dove gli asset, le risorse, erano i jihadisti che venivano armati in mille modi, direttamente o indirettamente, dagli USA e i loro alleati.

Una parte delle classi dirigenti washingtoniane non vuole rinunciare a usare l'ISIS e le altre formazioni jihadiste come propria risorsa strategica
O il presidente Barack Obama è complice diretto di questa scelta o non controlla i suoi falchi. In entrambi i casi Washington ci porta sull'orlo della catastrofe. Può bastare l'abbattimento legittimo di altri aerei coinvolti in simili provocazioni per scatenare uno scontro diretto con conseguenze terribili. Altro che tregua.


Nel frattempo l'ambasciatrice USA all'ONU, il super falco Samantha Power, scrive una dichiarazione direttamente col mitra. Dice che la richiesta di convocare il Consiglio di Sicurezza dell'ONU è solo un trucco e che l'ISIS è colpa di Damasco e di Mosca. Power fa il nome di Assad e attacca la Russia. Ma in realtà il suo bersaglio è il segretario di Stato Kerry, che ha negoziato la pace in Siria. Pronuncia il suo discorso a Manhattan, e le sue parole si confondono fra le sirene delle ambulanze di New York.

Siamo in buone mani.


11 settembre 2016

15 anni dopo l'11/9: sulla fisica dei crolli dei grattacieli



L'11 settembre 2001, il mondo ha assistito al crollo totale di tre grandi grattacieli in acciaio. Da allora, gli scienziati e gli ingegneri stanno lavorando per capire perché e come questi disastri strutturali senza precedenti si sono verificati.
di Steven Jones, Robert Korol, Anthony Szamboti e Ted Walter.


Nota della Redazione di Europhysics News*
«Questo pezzo è un po' diverso dai nostri soliti articoli puramente scientifici, in quanto contiene alcune congetture. Tuttavia, data la tempistica e l'importanza della questione, riteniamo che questo articolo sia sufficientemente tecnico e interessante da meritare la pubblicazione per i nostri lettori. Ovviamente, la responsabilità del contenuto di questo articolo è in capo agli autori.»

*  Europhysics News è la rivista della comunità dei fisici europei. È posseduta dalla European Physical Society e prodotta in cooperazione con EDP Sciences. È distribuita a tutti i soci individuali e a numerosi abbonati istituzionali. È distribuita in 25mila copie per numero.


Nell’agosto del 2002, il National Institute of Standards and Technology (NIST) ha lanciato quella che sarebbe diventata un'indagine lunga sei anni sui tre disastri costruttivi che si sono verificati l’11 settembre 2001 (11/9): i ben noti crolli delle Torri Gemelle del World Trade Center (WTC) avvenuti quella mattina e il meno conosciuto crollo avvenuto nel tardo pomeriggio, quello dell’Edificio 7 del World Trade Center, di 47 piani, che non era stato colpito da un aeroplano. Il NIST ha condotto la sua indagine basata sulla premessa dichiarata che «le Torri e l’Edificio 7 del WTC [erano] gli unici casi noti di collasso strutturale totale di grattacieli presso i quali gli incendi avessero avuto un ruolo significativo». In effetti, né prima né dopo l’11/9 degli incendi hanno mai causato il crollo totale di un grattacielo in acciaio, né lo ha fatto un qualsiasi altro evento naturale, con l'eccezione del terremoto del 1985 di Città del Messico, che rovesciò un edificio per uffici di 21 piani. In alternativa, l'unico fenomeno in grado di far crollare completamente tali edifici è stato tramite una procedura nota come demolizione controllata, nella quale esplosivi o altri dispositivi sono utilizzati per abbattere una struttura in modo intenzionale.
Sebbene il NIST abbia infine concluso dopo diversi anni di indagine che tutti e tre i crolli dell’11/9 erano principalmente dovuti a incendi, quindici anni dopo l'evento un numero crescente di architetti, ingegneri e scienziati rimangono non convinti da questa spiegazione.


Prevenire i disastri dei grattacieli
I grattacieli in acciaio hanno subito incendi di grandi dimensioni senza dover subire il crollo totale per quattro motivi principali:
1) Gli incendi tipicamente non sono abbastanza caldi né durano abbastanza a lungo in ciascuna singola area da generare abbastanza energia in grado di riscaldare i grandi elementi strutturali fino al punto in cui cedano (la temperatura alla quale l'acciaio strutturale perde abbastanza forza da cedere dipende dal fattore di sicurezza utilizzato in fase di progettazione. Nel caso del WTC 7, per esempio, il fattore di sicurezza era generalmente pari a 3 o superiore. Qui, si sarebbe dovuto perdere il 67% della forza per farne derivare il cedimento, il che avrebbe richiesto che l'acciaio venisse riscaldato sino a circa 660 °C);
2) La maggior parte dei grattacieli hanno sistemi antincendio di soppressione (spruzzatori d’acqua), che impediscono ulteriormente a un incendio di rilasciare energia sufficiente a riscaldare l'acciaio fino a uno stato critico di cedimento;
3) Gli elementi strutturali sono protetti da materiali ignifughi, che sono progettati per impedire loro di raggiungere temperature di cedimento entro periodi di tempo specificati;
4) i grattacieli in acciaio sono progettati per essere sistemi strutturali altamente ridondanti. Pertanto, se si verifica un cedimento localizzato, esso non finisce per causare un crollo sproporzionato dell’intera struttura. Nel corso della storia tre grattacieli in acciaio sono noti per aver subito crolli parziali a causa di incendi; nessuno di questi ha portato a un crollo totale. Innumerevoli altri grattacieli con struttura in acciaio hanno sperimentato grandi incendi di lunga durata senza subire un crollo né parziale né totale (vedi, per esempio, le figure 1A e 1B) [1].

FIG. 1: Il WTC 5 è un esempio di come i grattacieli con struttura in acciaio si comportano tipicamente durante incendi di grandi dimensioni. È bruciato per più di otto ore, l’11 settembre 2001, e non ha subito un crollo totale (Fonte: FEMA).

FIG. 2: Il WTC 7 è caduto in modo simmetrico e con accelerazione in caduta libera per un periodo di 2,25 secondi durante il suo crollo (Fonte: NIST).

Oltre a resistere ai sempre presenti carichi gravitazionali e agli incendi occasionali, i grattacieli devono essere progettati per resistere a carichi generati durante altri casi: in particolare, forti venti e terremoti estremi. Progettare per i fenomeni di venti forti e per gli eventi sismici richiede principalmente che la struttura abbia la capacità di resistere a carichi laterali, che generano sollecitazioni sia di trazione che di compressione nelle colonne, dovute alla flessione, Le seconde poi vanno combinate con sollecitazioni di compressione indotte dalla gravità dovute ai carichi verticali. Solo quando l’acciaio è diventato diffusamente prodotto in quantità industriale è stata raggiunta la capacità di resistere a grandi carichi laterali e la costruzione di grattacieli è diventata possibile. L'acciaio è sia molto forte che duttile, il che gli permette di resistere alle sollecitazioni di trazione generate dai carichi laterali, a differenza dei materiali fragili, come il calcestruzzo, che sono deboli in tensione. Sebbene il calcestruzzo venga oggi usato in alcuni grattacieli, il rinforzo in acciaio è necessario praticamente in tutti i casi.
Per consentire la resistenza dei carichi laterali, i grattacieli sono spesso progettati in modo tale che la percentuale di carico delle loro colonne usata per carichi verticali è relativamente bassa. Le colonne esterne delle Torri Gemelle, ad esempio, utilizzavano solo circa il 20% della loro capacità di sopportare carichi verticali, lasciando un ampio margine per i carichi laterali supplementari che si verificano in presenza di venti forti ed eventi sismici [2].
Poiché gli unici carichi presenti durante l’11/9 dopo l'impatto degli aerei erano la gravità e il fuoco (non c'erano forti venti quel giorno), molti ingegneri sono rimasti sorpresi per il fatto che le Torri Gemelle siano crollate completamente. Le torri, infatti, erano state progettate specificamente per resistere all'impatto di un aereo di linea, come spiegò l'ingegnere strutturale capo, John Skilling, in un'intervista al Seattle Times a seguito dell’attentato con bomba del 1993 al World Trade Center: «La nostra analisi ha indicato che il problema più grande sarebbe il fatto che tutto il carburante (dall'aereo) verrebbe riversato all'interno dell'edificio. Ci sarebbe un incendio terribile. Parecchia gente rimarrebbe uccisa», dichiarò, ma aggiunse: «La struttura dell'edificio sarebbe ancora lì.» Skilling proseguì dicendo che non riteneva che una singola auto bomba da 200 libbre [90 kg] riuscirebbe a buttare giù né a fare gravi danni strutturali a ciascuna delle Torri Gemelle. «Tuttavia», aggiunse, «Non sto dicendo che degli esplosivi appropriatamente applicati - cariche cave - di una tale magnitudine non possano fare una quantità enorme di danni .... Immagino che se si disponesse del massimo esperto in questo tipo di lavoro e gli si desse l'incarico di demolire questi edifici con esplosivi, scommetterei che ce la farebbe». In altre parole, Skilling riteneva che l'unico meccanismo che avrebbe potuto far crollare le Torri Gemelle era una demolizione controllata.


Tecniche di demolizione controllata
La demolizione controllata non è una pratica nuova. Per anni era prevalentemente attuata con gru che facevano dondolare pesanti palle di ferro per rompere semplicemente degli edifici in piccoli pezzi. Di tanto in tanto, c’erano strutture che non potevano essere demolite in questo modo. Nel 1935, le due torri Sky Ride, alte 191 metri, della Esposizione universale del 1933 a Chicago sono state demolite con 680 kg di termite e 58 kg di dinamite.
La termite è un incendiario contenente un combustibile fatto di polvere metallica (di solito alluminio) e di un ossido di metallo (di solito ossido (III) di ferro o "ruggine"). Alla fine, quando ci furono a sufficienza grandi edifici in acciaio e muratura che dovevano essere abbattuti in modo più efficiente ed economico, l'uso di cariche cave di taglio è diventato la norma. Poiché le cariche cave hanno la capacità di concentrare l'energia esplosiva, possono essere collocate in modo da tagliare diagonalmente le colonne in acciaio in modo rapido e affidabile. In generale, la tecnica usata per demolire grandi edifici implica il tagliare le colonne di una superficie sufficiente dell'edificio per far sì che la porzione integra sopra quella zona cada e schiacci sé stessa nonché qualsiasi cosa rimanga sotto di essa.
Questa tecnica può essere realizzata in un modo ancora più sofisticato, fissando una successione di tempi in cui le cariche esplodano in sequenza in modo che le colonne più vicine al centro vengano distrutte prima. Il cedimento delle colonne interne crea all'esterno una spinta verso l'interno e causa il fatto che la maggior parte dell'edificio sia trascinato verso l'interno e verso il basso mentre i materiali vengono schiacciati, mantenendo così i materiali frantumati entro un’area in qualche modo alquanto limitata, spesso addirittura all’interno della «impronta» dell'edificio. Questo metodo viene spesso definito come «implosione».

FIGURA. 3: il frame finale del modello computerizzato del WTC 7 a cura del NIST mostra grandi deformazioni verso l'esterno niente affatto osservate nei video (Fonte: NIST)


Il caso del WTC 7
Il crollo totale del WTC 7 alle ore 17:20 dell’11/9, mostrato in fig. 2, è degno di nota perché ha ben esemplificato tutte le caratteristiche che suggellano un’implosione: l'edificio è precipitato in caduta libera assoluta per i primi 2,25 secondi della sua discesa su una distanza di 32 metri ovvero otto piani [3].
Il suo passaggio dalla stasi alla caduta libera è stato improvviso, accadendo in circa mezzo secondo. È caduto simmetricamente verso il basso. La sua struttura in acciaio è stata quasi completamente smembrata e depositata in gran parte all'interno dell’impronta dell'edificio, mentre la maggior parte del suo cemento è stata polverizzata in minuscole particelle. Infine, il crollo è stato rapido, essendosi verificato in meno di sette secondi. Data la natura del crollo, qualsiasi indagine aderente al metodo scientifico avrebbe seriamente preso in considerazione l'ipotesi della demolizione controllata, quando non avrebbe addirittura iniziato con essa. Invece, il NIST (così come la Federal Emergency Management Agency (FEMA), che aveva condotto uno studio preliminare prima dell'indagine NIST) ha iniziato con la conclusione predeterminata secondo cui il crollo fu causato dagli incendi. Cercare di dimostrare questa conclusione predeterminata era apparentemente difficile. Lo studio di nove mesi della FEMA si è concluso dicendo che «le specifiche degli incendi nel WTC 7 e il modo in cui essi hanno causato il crollo dell'edificio rimangono ignoti in questo momento. Sebbene il carburante diesel totale nei locali contenesse un’enorme energia potenziale, l'ipotesi più accreditata ha solo una bassa probabilità che si verifichi». Il NIST, nel frattempo, dovette rimandare il rilascio della sua relazione sul WTC 7 da metà 2005 al novembre 2008. Ancora nel marzo 2006, dell’investigatore capo del NIST, il Dr. Shyam Sunder, si registrava questa dichiarazione: «In verità, io non lo so davvero. Abbiamo avuto difficoltà a capirci qualcosa sull’Edificio numero 7».
Per tutto il tempo, il NIST era irremovibile nell’ignorare la prova che confliggeva con la sua conclusione predeterminata.
L'esempio più notevole è stato il suo tentativo di negare che il WTC 7 avesse subito una caduta libera. Quando venne pressato su questa materia nel corso di una conferenza tecnica, il dottor Sunder respinse l’obiezione dicendo: «[un] periodo a caduta libera consisterebbe in un oggetto che non ha componenti strutturali sottostanti.» Ma nel caso del WTC 7, affermò, «c'era una resistenza strutturale che veniva assicurata». Solo dopo essere stato sfidato da un insegnante di fisica delle superiori, David Chandler, e dal professore di fisica Steven Jones (uno degli autori di questo articolo), che avevano misurato la caduta in un video, il NIST ammise un periodo di 2,25 secondi di caduta libera nella sua relazione finale.
Eppure il modello computerizzato del NIST non mostra tale intervallo di caduta libera, né il NIST tenta di spiegare in che modo il WTC 7 non avrebbe potuto avere «nessuna componente strutturale sottostante» per ben otto piani. Invece, il rapporto finale del NIST fornisce uno scenario contorto che implica un meccanismo di rottura senza precedenti: ossia la dilatazione termica delle travi del piano che spingono via dalla sua sede una trave adiacente. Il presunto distacco di questa trave ha quindi presumibilmente causato una cascata di otto piani di cedimenti dei pavimenti, che, combinati con il cedimento di altre due connessioni delle travi – anch’esso legato alla dilatazione termica – ha lasciato una colonna fondamentale senza supporto lungo nove piani, facendo sì che la colonna si deformasse. Questo cedimento di una sola colonna presumibilmente innescò il crollo dell'intera struttura interna, lasciando l'esterno non supportato come un guscio vuoto. Presumibilmente le colonne esterne a quel punto si piegarono lungo un intervallo di due secondi e l'intera parte esterna cadde in simultanea come una sola unità [3].
Il NIST è stato in grado di arrivare a questo scenario solo omettendo o travisando caratteristiche strutturali critiche nella sua modellazione al computer [4].
La correzione anche di uno solo di questi errori rende l’avviamento del crollo raffigurato dal NIST indiscutibilmente impossibile.
Eppure, anche in presenza degli errori di partenza che risultavano favorevoli alla sua conclusione predeterminata, il modello computerizzato del NIST (vedi Fig. 3) non riesce a replicare il crollo osservato, mostrando invece grandi deformazioni verso l'esterno che non sono affatto osservate nei video e che non mostrano invece nessun intervallo di caduta libera. Inoltre, il modello termina, senza alcuna spiegazione, in meno di due secondi, all’interno di un collasso di sette secondi. Purtroppo, la modellazione computerizzata del NIST non può essere verificata in modo indipendente poiché il NIST ha rifiutato di rilasciare una gran parte dei suoi dati di modellazione sulla base del fatto che così facendo «potrebbe mettere a repentaglio la sicurezza pubblica».


Il caso delle Torri Gemelle
Mentre il NIST ha cercato di analizzare e modellare il crollo del WTC 7, non lo ha fatto nel caso delle Torri Gemelle. Secondo le stesse parole del NIST, «L'obiettivo dell’indagine era la sequenza degli eventi dal momento dell'impatto dell'aereo fino all'inizio del collasso per ciascuna torre ... Questa sequenza è indicata come la “probabile sequenza del crollo”, ancorché ricomprenda ben poca analisi del comportamento strutturale della torre dopo che le condizioni per l'inizio del crollo sono state raggiunte e il crollo diventava inevitabile» [5].
Pertanto, il rapporto definitivo sul crollo delle Torri Gemelle non contiene alcuna analisi del motivo per cui le loro parti inferiori non siano riuscite ad arrestare o addirittura rallentare la discesa delle sezioni superiori - che il NIST ammette siano «venute giù sostanzialmente in caduta libera» [5-6] - né spiega i vari altri fenomeni osservati durante i crolli. Quando un gruppo di firmatari ha presentato una richiesta formale di correzione chiedendo al NIST di effettuare tale analisi, il NIST ha replicato che non riusciva «a fornire una spiegazione esauriente del crollo totale», perché «le modellazioni computerizzate non [erano] in grado di convergere su una soluzione». Tuttavia, il NIST fece una cosa, nel tentativo di giustificare la sua affermazione sul fatto che i piani inferiori non sarebbero stati in grado di arrestare né rallentare la discesa delle sezioni superiori in un crollo guidato dalla forza di gravità. A pagina 323 del documento NCSTAR 1-6, il NIST ha citato un articolo di un professore di ingegneria civile, Zdeněk Bažant, e del suo studente laureato Yong Zhou, che era stato pubblicato nel gennaio 2002 [7], che, secondo il NIST, «ha affrontato la questione del perché si sia verificato un crollo totale» (come se quella domanda fosse naturalmente al di fuori della portata della propria indagine). Nel loro documento, Bažant e Zhou sostennero che ci sarebbe stato un colpo potente quando la parte superiore in caduta impattò sulla sezione inferiore, causando un carico amplificato sufficiente per avviare la deformazione nelle colonne. Sostennero inoltre che l'energia gravitazionale sarebbe corrisposta a 8,4 volte la capacità di dissipazione di energia delle colonne durante la deformazione. Negli anni successivi, i ricercatori hanno misurato la discesa della sezione superiore della WTC 1 (la Torre Nord, ndt) e hanno scoperto che non ha mai subito una decelerazione: cioè non vi fu alcun potente colpo improvviso [8-9].
Dei ricercatori hanno anche criticato l'uso da parte di Bažant dell'accelerazione di caduta libera lungo la prima fase del crollo, quando le misurazioni mostrano in realtà che corrispondeva a circa la metà dell’accelerazione di gravità [2].
Dopo la caduta per un piano, le misurazioni mostrano una velocità di 6,1 m/s anziché la velocità di 8,5 m/s che avrebbe causato la caduta libera. Questa differenza di velocità raddoppia in effetti l'energia cinetica, perché è una funzione del quadrato della velocità.
Inoltre, i ricercatori hanno dimostrato che la massa di 58x106kg che Bažant ha utilizzato per la massa della sezione superiore era il carico massimo del progetto, non l'effettivo carico di servizio pari a 33×106 kg [10].
Insieme, questi due errori ingigantirono l'energia cinetica della massa in caduta di 3,4 volte. Inoltre, è stato dimostrato che la capacità di dissipazione dell’energia delle colonne utilizzata da Bažant era almeno 3 volte troppo bassa [2].
Nel gennaio 2011 [11] Bažant e un altro suo studente laureato, Jia-Liang Le, hanno tentato di respingere la critica sulla mancanza di decelerazione sostenendo che ci sarebbe stata una perdita di velocità pari ad appena circa il 3%, che sarebbe stata troppo piccola per poter essere osservata, data la risoluzione della fotocamera. Bažant e Le hanno inoltre sostenuto che la perdita di velocità della conservazione della quantità di moto sarebbe stata solo dell'1,1%. Tuttavia, sembra che Le e Bažant abbiano erroneamente utilizzato una massa della sezione superiore pari a 54,18×106 kg e una massa del piano impattato di soli 0,627×106 kg, che contraddiceva la massa del piano di 3,87×106 kg che Bažant aveva usato nei documenti precedenti. La prima massa del piano è rappresentativa solamente della soletta in cemento, mentre la seconda massa del piano comprende tutti gli altri materiali presenti su quel piano. Il solo correggere questo dato aumenta la perdita della velocità della conservazione della quantità di moto di oltre 6 volte, fino a un valore del 7,1%. Inoltre, la dissipazione dell'energia della colonna si è dimostrata essere molto più significativa rispetto a quanto accampato da Bažant. I ricercatori hanno conseguentemente fornito dei calcoli che dimostrano che un crollo naturale sopra un piano non solo rallenta, ma in realtà si arresterebbe dopo uno o due piani di caduta (vedi Fig. 4) [2, 10].

FIGURA 4: Il grafico qui sopra [10] mette a confronto la misurazione di David Chandler [9] della velocità della linea del tetto del WTC 1 con il calcolo errato di Bažant [11] e con i calcoli di Szamboti e Johns con l’utilizzo di valori di input corretti per la massa, l'accelerazione attraverso il primo piano, la conservazione della quantità di moto, e il momento plastico (il momento flettente massimo che una sezione strutturale può sopportare). I calcoli mostrano che - in assenza di esplosivi – la sezione superiore del WTC 1 si sarebbe arrestata dopo essere caduta per due piani (fonte: Rif. [10]).


Altre prove inesplicate
La meccanica del crollo di cui sopra è solo una frazione delle prove disponibili che indicano che gli impatti aerei e gli incendi che ne derivarono non hanno causato il crollo delle Torri Gemelle. Dei video dimostrano che la parte superiore di ciascuna torre si disintegrò entro i primi quattro secondi del crollo. Dopo quel punto, nemmeno un video mostra le sezioni superiori che si è supposto siano discese fino a terra prima di essere schiacciate. Video e fotografie mostrano anche numerose scariche ad alta velocità di detriti che vengono espulsi da sorgenti puntiformi (vedi Fig. 5).

FIGURA 5: Scariche ad alta velocità di detriti, dette anche “squibs”, furono espulse da sorgenti puntiformi nel WTC 1 e WTC 2, così come da un tratto da 20 a 30 piani più in basso del fronte del crollo (Fonte: Noah K. Murray).

Il NIST li definisce come "sbuffi di fumo", ma non riesce ad analizzarli in modo appropriato [6]. Il NIST non fornisce una spiegazione nemmeno per la polverizzazione a mezz'aria della maggior parte del calcestruzzo delle torri, lo smembramento quasi totale dei telai in acciaio, né l'espulsione di tali materiali fino a 150 metri in tutte le direzioni. Il NIST aggira la questione della presenza ben documentata di metallo fuso in tutto il campo di detriti e afferma che il metallo arancione fuso che si è visto colare fuori dal WTC 2 per sette minuti prima del crollo fosse alluminio proveniente dall’aeroplano combinato con materiali organici (vedi Fig. 6) [6].

FIGURA 6: Il metallo fuso è stato visto colare fuori dal WTC 2 ininterrottamente per i sette minuti che precedono il suo crollo (Fonti: WABC-TV, NIST).

Eppure degli esperimenti hanno dimostrato che l'alluminio fuso, anche in miscela con materiali organici, ha un aspetto argenteo: il che suggerisce che il metallo fuso arancione fosse invece emanato da una reazione con la termite utilizzata per indebolire la struttura [12].
Nel frattempo, del materiale nano-termitico che non ha subito reazione è stato da allora scoperto in diversi campioni indipendenti di polvere del WTC [13].
Per quanto riguarda ciò che hanno riferito i testimoni oculari, di circa 156 testimoni, tra cui 135 primi soccorritori, sono stati documentati degli interventi in cui hanno affermato di aver visto, sentito, e/o percepito esplosioni prima e/o nel corso dei crolli [14].
Che le Torri Gemelle siano state abbattute con esplosivi sembra essere stata l'opinione prevalente iniziale tra la maggior parte dei primi soccorritori. «Ho pensato che stesse esplodendo, in realtà», ha dichiarato John Coyle, un comandante dei vigili del fuoco. «Ciascuno credo che a quel punto ancora pensasse che queste cose siano state fatte saltare» [15].


Conclusione
Vale la pena ripetere che gli incendi non hanno mai causato il crollo totale di un grattacielo in acciaio prima o dopo l’11/9.
Abbiamo dunque assistito a un evento senza precedenti per ben tre volte distinte l'11 settembre 2001? Le relazioni del NIST, che hanno tentato di sostenere questa conclusione improbabile, non riescono a convincere un numero crescente di architetti, ingegneri e scienziati. Al contrario, le prove sono schiaccianti in favore della conclusione secondo cui tutti e tre gli edifici sono stati distrutti con demolizione controllata. Date le implicazioni di vasta portata, è moralmente imperativo che questa ipotesi sia oggetto di un'indagine veramente scientifica e imparziale da parte delle autorità competenti.


Gli autori


Steven Jones è un ex professore ordinario di fisica alla Brigham Young University. I suoi principali interessi di ricerca sono stati nei settori della fusione, dell'energia solare, e dell’archeometria. È autore o co-autore di svariati articoli che documentano le prove di temperature estremamente elevate durante la distruzione del World Trade Center e le prove della presenza nella polvere del WTC di materiale nano-termitico che non ha subito reazione.


Robert Korol è professore emerito di ingegneria civile alla McMaster University dell’Ontario, Canada, ed è inoltre membro della Canadian Society for Civil Engineering e dell’Engineering Institute of Canada. I suoi principali interessi di ricerca sono stati nei settori della meccanica strutturale e delle strutture in acciaio. Più di recente, ha intrapreso una ricerca sperimentale sulla resistenza post-cedimento di colonne in acciaio a forma di H e nell’assorbimento di energia associata con la polverizzazione di pavimenti in calcestruzzo.


Anthony Szamboti è un ingegnere di progettazione meccanica con oltre 25 anni di esperienza di progettazione strutturale nel settore aerospaziale e della comunicazione. Dal 2006, è stato autore o co-autore di una serie di documenti tecnici sui crolli dei grattacieli del WTC che sono stati pubblicati nel Journal of 9/11 Studies e nell’ International Journal of Protective Structures.


Ted Walter è il direttore della strategia e sviluppo per Architects & Engineers for 9/11 Truth (AE911Truth), un'organizzazione no-profit che rappresenta oggi oltre 2.500 architetti e ingegneri. Nel 2015, è stato autore del saggio dell’AE-911Truth Beyond Misinformation: What Science Says About the Destruction of World Trade Center Buildings 1, 2, and 7 (trad.: “Oltre la Disinformazione: ciò che la scienza dice a proposito della distruzione del World Trade Center Edifici 1, 2 e 7”). Ha conseguito un Master in Public Policy presso la University of California, Berkeley.


Riferimenti e note

[2] G. Szuladziński and A. Szamboti and R. Johns, International Journal of Protective Structures 4, 117 (2013).
[6] NIST: Questions and Answers about the NIST WTC Towers Investigation (Updated September 19, 2011).
[7] Z. Bažant, Y. Zhou, Yong, Journal of Engineering Mechanics 128, 2 (2002).
[8] A. Szamboti and G. MacQueen, The Missing Jolt: A Simple Refutation of the NIST-Bažant Collapse Hypothesis, Journal of 9/11 Studies (April 2009).
[9] D. Chandler, The Destruction of the World Trade Center North Tower and Fundamental Physics, Journal of 9/11 Studies (February 2010).
[10] A. Szamboti and R. Johns, ASCE Journals Refuse to Correct Fraudulent Paper Published on WTC Collapses, Journal of 9/11 Studies (September 2014).
[11] J.-L. Le and Z. Bažant, Journal of Engineering Mechanics 137, 82 (2011).
[12] S. Jones, Why Indeed Did the WTC Buildings Collapse Completely? Journal of 9/11 Studies (September 2006).
[13] N. Harrit et al., Open Chemical Physics Journal (April 2009).
[14] G. MacQueen, Eyewitness Evidence of Explosions in the Twin Towers, Chapter Eight, The 9/11 Toronto Report, Editor: James Gourley (November 2012).
[15] Fire Department of New York (FDNY): World Trade Center Task Force Interviews, The New York Times (October 2001 to January 2002).



Traduzione per Megachip a cura di Pino Cabras.