29 giugno 2016
Eurofalsità Post-Brexit
Siamo alle solite. Come tanti altri
quotidiani, la Repubblica manipola
fino alla falsificazione una notizia, per inserirla in una cornice che deve
confermare i luoghi comuni e le narrazioni di area piddina. Ieri centinaia di eurodeputati
hanno votato contro una risoluzione sostenuta da popolari, socialisti, liberali
e verdi, che intimava ai britannici di levare subito le tende dalla UE. Tra chi
si è opposto c’era, compattamente, tutta la sinistra che si riconosce nel
gruppo GUE/NGL (tra cui gli spagnoli di Podemos e i tedeschi della Linke, per
dire) e decine di esponenti del partito popolare, che si sono trovati a votare
assieme ad altre formazioni di opposizione anche di estrema destra. Chi
minimamente conosce la storia dei parlamenti sa che è una dinamica frequente e
normale, che non implica un’alleanza organica degli oppositori. Ognuno è contro
per ragioni sue.
Ebbene, la
Repubblica riduce tutto a una schermaglia in cui c’è il babau Nigel Farage e c’è il suo «grande
alleato», il M5S. Tanto è vero, dice l’articolista, che «tutti i deputati pentastellati
hanno votato con Farage». Notare la sottigliezza di quel “con”: si badi bene
che non hanno votato una risoluzione di Farage, ma una risoluzione presentata
dalla maggioranza, e hanno votato contro. Il cronista aggiunge: «Insieme a loro
Salvini, Le Pen e i conservatori inglesi». Nessuna menzione per gli altri,
nemmeno per il collega di Repubblica,
l’eurodeputato Curzio Maltese, che ha votato contro anche lui, come il suo
gruppo GUE. Anche lui, secondo questa logica, ha votato “con” Farage. Avremmo
diritto di saperlo, no?
Qualcuno obietterà: Il Movimento Cinque
Stelle e Farage fanno parte dello stesso gruppo nel Parlamento europeo, e
quindi sono culo e camicia. Obiezione respinta. In questi anni UKIP e M5S hanno
votato in modo difforme su un’infinità di materie, come se fossero due gruppi
parlamentari distinti. Il gruppo ufficiale è un contenitore senza il quale
sarebbero ingiustamente penalizzati nei lavori parlamentari. Possiamo criticarli
anche ferocemente per questa scelta, ma di fatto non sono alleati politici che
votano sempre insieme. Nella loro contrarietà alla maggioranza brussellese, in
questa specifica votazione, decine di formazioni politiche hanno portato
ciascuna le proprie ragioni differenziate. Anche M5S e UKIP hanno portato
ragioni molto diverse fra loro. Avremmo diritto di saperlo, no?
Nella coscienza degli elettori (e dei
lettori) tentati dalla fuga dai loro vecchi rifugi viene così depositato il
solito schema che assimila il mondo cinquestelle a una galassia fascistoide.
Non c’è posto per un resoconto più complesso e articolato, più onesto. Non c’è
posto per la verità.
Etichette:
Brexit,
Europa,
Europarlamento,
farage,
giornalismo,
informazione,
la Repubblica,
Linke,
M5S,
Podemos,
sinistra,
ukip
25 giugno 2016
Tra Europa e mare aperto, la Gran Bretagna ha scelto il mare aperto
#Brexit. Il voto britannico è una delle tante manifestazioni della grande crisi europea. Da un lato il colpo potrebbe essere riassorbito, dall’altro – poiché nulla sarà come prima – si aprono scenari inediti.
Fonte: http://www.pandoratv.it/?p=8919.
Etichette:
Brexit,
crisi europea,
espansione della NATO a est,
lavoro,
Pandora,
PandoraTV,
Pino Cabras,
Regno Unito,
UE
15 giugno 2016
Undici settembre, ha senso parlarne ancora?
di Riccardo Pizzirani.
Si avvicina il quindicesimo anniversario degli attacchi dell’undici settembre, ed il prevedibile picco d’interesse scatenerà la più banale e genuina delle domande: ha ancora senso continuare a parlare oggi di quei fatti?
da luogocomune.net.
Si avvicina il quindicesimo anniversario degli attacchi dell’undici settembre, ed il prevedibile picco d’interesse scatenerà la più banale e genuina delle domande: ha ancora senso continuare a parlare oggi di quei fatti?
Vediamo allora di colmare alcune delle lacune che i nostri media hanno lasciato, così da poter dare un efficace risposta a tale domanda.
A seguito degli attacchi dell’undici settembre il presidente Bush ha equiparato l’associazione terroristica Al Qaeda con una nazione nemica; questo ha permesso agli Stati Uniti di invocare l’articolo V del trattato della NATO (1), che afferma sostanzialmente che un attacco militare contro un membro della NATO è un attacco contro tutti, coinvolgendo gli alleati nelle azioni susseguenti.
Avendo ratificato quel trattato ed avendo accettato l’interpretazione statunitense e quella del Consiglio di Sicurezza ONU, la Repubblica Italiana è di fatto in stato di guerra contro Al Qaeda dall’undici settembre 2001.
La principale azione a cui abbiamo partecipato con la NATO è l’invasione, e la susseguente occupazione militare, della nazione dell’Afghanistan. Un paese piuttosto povero, martoriato dalle diverse occupazioni militari che ha subito nella sua storia recente, ultima delle quali da parte dell’Unione Sovietica, nazione che ha saputo allontanare proprio con l’aiuto delle milizie mujaheddin di quell’Osama Bin Laden che nel 2001 gli Stati Uniti d’America indicheranno come mandante degli attacchi che hanno subito.
Ma c’è anche una piccola ed importante digressione: nell’anno 2000, già liberi dall’occupazione russa, in Afghanistan sono saliti al potere i Talebani, che essendo dei fondamentalisti islamici compiranno tante azioni negative come distruggere statue e rappresentazioni di cultura millenaria afgana; tuttavia il gruppo si adopera anche per un’azione altrettanto positiva: distruggere le immense coltivazioni di oppio di cui la nazione è letteralmente ricoperta, in quanto l’uso di stupefacenti è contrario alla dottrina islamica.
L’oppio è l’ingrediente principale nella realizzazione dell’eroina, e come sappiamo la droga è in assoluto la merce a maggior rapporto di guadagno tra i costi di produzione e costi del prodotto finale: ai prezzi del 2002 stiamo parlando di 300$ spesi dal coltivatore per un kilogrammo di prodotto, che si traducono in 800$ come prezzo di vendita in Afghanistan, e che salgono fino a 16000$ nelle strade occidentali, ancor prima della conversione in eroina. (2)
Per capire appieno l’impatto delle azioni dei Talebani occorre anche ricordare che l’Afghanistan nel 2000 produceva tre quarti dell’intera produzione mondiale di oppio. (3)
Nel 2001, attraverso minacce, intimidazioni, e azioni dirette, i Talebani avevano ridotto la produzione di oppio in Afghanistan del 99%!
Quello che segue è un grafico tratto dallo studio sull’estensione in ettari dei campi dedicati alla produzione di oppio in Afghanistan, compiuto dall’UNODC (United Nations Office on Drugs and Crime - Ufficio droga e crimine delle Nazioni Unite) (4)
Poi nel 2002 la nazione è stata invasa dalla NATO, i talebani sono stati sostanzialmente sbaragliati, così come Al Qaeda, mentre si installava un nuovo governo delle tribu afgane ed è iniziata l’era dell’occupazione, che da noi si chiama “collaborazione”. E tutto è ripreso come e meglio di prima.
Vediamo allora il grafico completo, da cui è stato tratto il precedente:
La produzione di oppio è ripresa alla grande, e oggi, dopo 15 anni di presenza degli eserciti della NATO e con la piena collaborazione del compiacente governo locale, l’Afghanistan produce oltre il 90% dell’intera produzione mondiale di oppio.
I media Statunitensi, così attenti al rischio del terrorismo che proviene dall’Afghanistan, sono stati altrettanto disattenti riguardo gli altri rischi provenienti da quel paese, salvo poi stupirsi a cose fatte che l’utilizzo di eroina è tornato in auge negli Stati Uniti con quella che ora chiamano una “nuova epidemia di Eroina”: i dati ufficiali del CDC e della US Food and Drug Administration riportano un incremento del 90% nei casi di abuso o dipendenza dall’eroina nell’ultimo decennio. Le morti per overdose da eroina e oppiacei si sono quadruplicate tra il 2002 e il 2013, facendo (ad esempio) 8257 morti nel solo 2013.(5)
Questo mostra anche quanto fosse il reale interesse nel punire chi ha causato 4000 morti civili del 2001, quando la droga che riesce ad uscire dalla stessa nazione oggi ne causa più di 8000 all’anno.
Bene: i nostri soldati italiani sono lì, ora, in questo momento. E i fatti non cambiano semplicemente ignorandoli, negando lo stato di guerra, oppure chiamando un'occupazione militare “missione di pace”.
Ecco uno dei motivi per cui ha ancora senso oggi parlare di undici settembre.
Pure se uno dovesse credere a tutto il resto.
Riccardo Pizzirani (Sertes)
Fonti:
“Le Parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse, in Europa o nell'America settentrionale, costituirà un attacco verso tutte, e di conseguenza convengono che se tale attacco dovesse verificarsi, ognuna di esse, nell'esercizio del diritto di legittima difesa individuale o collettiva riconosciuto dall'art.51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate, intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l'azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l'impiego della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell'Atlantico settentrionale. Qualsiasi attacco armato siffatto, e tutte le misure prese in conseguenza di esso, verrà immediatamente segnalato al Consiglio di Sicurezza. Tali misure dovranno essere sospese non appena il Consiglio di Sicurezza avrà adottato le disposizioni necessarie per ristabilire e mantenere la pace e la sicurezza internazionali”
4 - https://www.unodc.org/documents/crop-monitoring/Afghanistan/Afg_Executive_summary_2015_final.pdf / http://www.latimes.com/science/sciencenow/la-sci-sn-heroin-use-rising-in-america-20150707-story.html
Tratto da: http://www.luogocomune.net/LC/index.php/24-11-settembre/4424-undici-settembre-ha-senso-parlarne-ancora
Etichette:
11 settembre 2001,
11/9,
Afghanistan,
droga,
Guerra in Afghanistan,
NATO,
oppio,
Riccardo Pizzirani,
taliban,
USA
7 giugno 2016
Il golpe di Hillary
Tecnicamente non è un colpo di Stato, certo, ma gli somiglia tanto.
Quel che si è compiuto in queste ore intorno alla candidatura di Hillary Clinton è abbastanza simile a quanto accade ovunque, nell’Occidente in crisi: le oligarchie hanno bisogno della cerimonia rassicurante e ratificante del voto, ma non vogliono che il suffragio popolare possa mai disturbare le loro decisioni.
Così non hanno aspettato che la California, il boccone più grosso del piatto elettorale delle primarie USA, potesse sconfiggere la sempre più traballante Hillary fiaccata dagli scandali, ed esprimere così una possibile alternativa nella persona del “socialista” Bernie Sanders.
Non volevano trovarsi in imbarazzo, con i cosiddetti “superdelegati” (i notabili di partito non espressi dal voto delle primarie) costretti a imporsi sulla volontà degli elettori solo a cose fatte, con un Sanders in grado di contestarli energicamente.
Perciò, le "cose fatte" le han volute fare loro: hanno proclamato la nomination in anticipo, hanno dettato la grande notizia al sistema mediatico mettendo a tacere il resto, e al diavolo gli elettori democratici.
Non c’è che dire, un bell’assaggio di quel che sarebbe una presidenza in mano alla candidata preferita da Wall Street e dai superfalchi neoconservatori.
In questo quadro il coro dei media occidentali non trova di meglio che esaltarsi per la “prima volta di una nomination di una donna”. C’è da capire la valenza del simbolo, ma Hillary non è un simbolo: è un individuo specifico, una personalità politica concretamente distinguibile per i suoi comportamenti, già sperimentata nel suo ruolo di Segretaria di Stato, quando ha preso decisioni politiche che hanno acceso nuove guerre. Il caos che ha voluto creare ha ucciso donne: innocenti e a migliaia. Potrebbero diventare milioni, se potesse applicare le sue idee sul Medio Oriente e sul rapporto fra Europa e Russia.
3 giugno 2016
False Flag - Sotto Falsa Bandiera
Il saggio “False Flag - Sotto Falsa Bandiera” di Enrica Perucchietti (Arianna Editrice, 2016) fa una rassegna dei
casi di “terrorismo sintetico” storicamente accertati e di quelli che sollevano
dubbi sulle reali dinamiche degli eventi. Di seguito la Prefazione che apre il
libro, a cura di Pino Cabras.
PREFAZIONE di Pino Cabras
Da sempre il potere proclama dei
valori, attraverso i quali si legittima, ma li nega con una parte delle sue
azioni, con le quali si rafforza.
È una questione che si ripropone nel corso del tempo. Niccolò Machiavelli affermava del Principe che «è molto più sicuro
essere temuto che amato, quando si abbia a mancare dell’uno de’ dua». Parlava
di un potere che all'occorrenza non esitava a mostrare senza maschera la sua
faccia più crudele, e guai ai vinti.
Nella
variante moderna il potere vuol farsi
amare dal popolo promettendo la democrazia, ossia il potere del popolo, ma usa
ugualmente la paura come strumento di governo, solo che ha
bisogno di attribuire ad altri l'intento di causarla, attraverso atti spesso
eclatanti. Ecco dunque le "false flag", aggressioni ricevute sotto
falsa bandiera, attentati terroristici da addossare a nemici veri o inventati,
contro i quali scatenare l'isteria dei propri media, che a sua volta trascina
interi popoli.
Le false flag aiutano il nucleo più
interno del potere a conquistare sufficiente consenso per imporre la disciplina
dettata dalla paura. Gli
diventa più facile restringere le libertà, neutralizzare e disperdere il
dissenso, pur esibendo ancora agli occhi dei popoli i simulacri delle vecchie
costituzioni. Come diceva il maiale Napoleone nella Fattoria degli animali di Orwell: «Tutti gli animali sono uguali,
ma alcuni sono più uguali degli altri». E oggi i governanti sembrano dirci:
«Tutte le libertà sono in vigore, ma alcune sono meno vigenti delle altre».
Il
prezzo da pagare può essere altissimo. Il preavviso passa attraverso i secoli e
ci viene da uno dei padri costituenti degli Stati Uniti d'America, Benjamin Franklin: «chi è pronto a dar
via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea
sicurezza non merita né la libertà né la sicurezza».
Il
libro che avete in mano ricostruisce una serie impressionante di vicende
diverse, attribuibili a differenti Stati e legate a circostanze storiche non
sempre connesse direttamente fra di loro, ma accomunate da un metodo che sembra
essere uno strumento essenziale della moderna "arte di governo". Enrica Perucchietti entra in dettaglio
sui misteri e le scoperte che rivelano da
un'altra prospettiva decine di incidenti
militari, attentati, azioni terroristiche: di fronte a tanti gialli
politici per i quali i governi forniscono su due piedi spiegazioni piatte, sprovviste
di profondità, riduttive, banali, riferite a killer solitari e a gruppi isolati
che non godrebbero di indecenti connivenze dentro gli apparati dello Stato fra
chi potrebbe bloccarli, l'autrice del saggio fa invece affiorare indizi, prove,
collegamenti clamorosi, fino a raccontare le storie che la censura di tipo
moderno aveva eclissato in mezzo alla sua immensa produzione di notizie
inutili.
Perciò
viene citato regolarmente il saggista statunitense Webster Tarpley, che ha coniato un concetto efficacissimo per descrivere
questo sistema, ossia «terrorismo
sintetico», che altro non è che «il mezzo con cui le oligarchie scatenano
contro i popoli guerre segrete, che sarebbe impossibile fare apertamente.
L'oligarchia, a sua volta, ha sempre lo stesso programma politico […] Il
programma dell'oligarchia è di perpetuare l'oligarchia».
In
tante pagine il vostro sguardo potrà posarsi su un secolo intero di vicende storiche innescate o favorite dalle
flase flag, fino a notare come queste diventino sempre più numerose. Episodi più lontani nel tempo, come
l'affondamento del Lusitania, l'incendio del Reichstag, l'incidente del
Tonchino, diventano - decennio dopo decennio - una prassi rodata e frequente,
che si moltiplica nel corso degli ultimi 15 anni.
E cosa
ha inaugurato quest'ultimo periodo? Esattamente la più spettacolare e
visionaria delle false flag, lo scenario apocalittico dell'11 settembre 2001.
Quel
che è venuto dopo - ossia la "guerra infinita", la "guerra al
terrorismo", lo spionaggio totalitario coperto dal Patriot Act e altre leggi
liberticide - una volta illuminato dalla luce terribile dell'11/9, si è avvalso
di una sorta di "terapia di mantenimento" a base di attentati piccoli
e grandi, perpetrati da gruppi di terroristi presso i quali sono sempre
riconoscibili l'ombra e l'impronta dei servizi segreti.
I servizi segreti sono il grande
convitato di pietra,
sempre più ingombrante eppure ancora sottovalutato
nelle analisi politiche, storiche e giornalistiche. Anche se gli apparati
di intelligence sono formalmente subordinati al potere politico ed esecutivo,
hanno risorse enormi in grado di sfuggire ai deboli criteri di trasparenza che
possono mettere in campo le eventuali commissioni parlamentari di controllo. Pertanto
sono capaci di costruire reti di interessi che in tutta autonomia possono
condizionare sia l'agenda politica sia l'agenda dei media. Settori interi di questi servizi giocano partite autosufficienti grazie
a budget incontrollabili ed enormi, in grado di mettere in campo forze
pervasive.
All'interno
di quello che certi politologi definiscono "lo Stato profondo" esistono settori
ombra del governo, dotati di proprie
catene di comando presso le forze armate, di budget non rendicontabili che
uniscono risorse pubbliche e autofinanziamento in simbiosi con le attività
criminali delle mafie, provvisti di
idee proprie in merito al modo di intendere l’interesse nazionale, portati a
costruire ogni tipo di rapporto con gruppi terroristici che poi manovrano con "leve
lunghe" e irriconoscibili.
Le
attività sono organizzate e adempiute mascherando ogni responsabilità riconducibile ai governi, tanto che
immense risorse sono spese per depistare e neutralizzare le eventuali scoperte
con il noto principio della «plausible
deniability», ossia la smentita
plausibile.
Ove
rimanesse ancora una notizia impossibile da smentire, la si potrà disinnescare grazie
all'immenso arbitrio in mano ai dirigenti dei media più importanti, che hanno
mille intrecci con il mondo dei servizi. Il giornalista tedesco Udo Ulfkotte, che ha a lungo lavorato
per la «Frankfurter Allgemeine Zeitung», uno dei principali quotidiani
tedeschi, ha scritto un saggio bestseller, Gekaufte
Journalisten ["Giornalisti venduti"], in cui rivela che per molti
anni la CIA lo aveva pagato per manipolare le notizie, e che questa è la consuetudine
ancora attuale nei media germanici. Tutto fa pensare che la consuetudine sia
identica anche altrove. Di certo non leggerete su «la Repubblica» una
recensione sul libro di Ulfkotte, mentre leggerete le geremiadi dei suoi
editorialisti su dove andremo a finire con questi complottisti, signora mia...
Come
spiegarsi altrimenti il silenzio che circonda certe notizie, che vengono pur date
per salvarsi la coscienza, ma non hanno un prosieguo, una campagna di
inchieste, nessun impegno? Eppure perfino Human Rights Watch (HRW) ha denunciato:
«L'agenzia FBI pagava dei musulmani
per compiere attentati». Secondo un'indagine su 27 processi e 215 interviste,
l'agenzia di intelligence interna americana «ha creato dei terroristi
sollecitando i loro obiettivi ad agire e compiere atti di terrorismo».
Notare
bene: «creato dei terroristi». In
che modo?
«In
molti casi il governo, usando i suoi informatori, ha sviluppato falsi complotti
terroristici, persuadendo e in alcuni casi facendo pressione su individui, per
farli partecipare e fornire risorse per attentati», scrive HRW. Per
l'organizzazione, metà dei casi esaminati fa parte di operazioni portate avanti
con l'inganno e nel 30% dei casi un agente sotto copertura ha giocato un ruolo
attivo nel complotto. «Agli americani è stato detto che il loro governo veglia
sulla loro sicurezza prevenendo e perseguendo il terrorismo all'interno degli
Stati Uniti», ha detto Andrea Prasow, vice direttore di HRW a Washington. «Ma
se si osserva da vicino si scopre che molte di queste persone non avrebbero mai
commesso crimini se non fossero state incoraggiate da agenti federali, a volte
anche pagate». La notizia, se non la vogliamo ignorare, è semplice e terribile:
gran parte degli attentati terroristici
sul suolo USA sono indotti dalla stessa organizzazione che li dovrebbe
combattere, cioè l'FBI.
Gli
organi di informazione che hanno lasciato appesa al nulla questa notizia impressionante,
sono gli stessi che per anni - ad ogni attentato avvenuto o sventato - avevano
ripetuto i comunicati dell'FBI senza chiedere spiegazioni. Queste veline diventavano titoli urlati in prima
pagina, notizie di apertura dei telegiornali. Quando la verità emerge, spesso
molti anni dopo, non gode certo degli stessi spazi, rimanendo confinata in
qualche insignificante pagina interna, in taglio basso. Chi aveva voluto
raggiungere un certo effetto con i titoli cubitali, lo aveva già ottenuto. Resta
viceversa la prima impressione dell'allarme, quando l'annuncio strillato e falso
si deposita nella coscienza di lettori e spettatori. Ed è per responsabilità di
questa informazione - che si è curata solo di aizzare (quando gli è stato comandato),
o di "sopire e troncare" (quando era comodo) - che ogni giorno ci è
stato depredato un pezzo di libertà, di sovranità, e infine imposto lo spionaggio totalitario della NSA,
l'agenzia che perfino di ciascun lettore di questo libro, in nome della
sicurezza, possiede tutte le tracce delle sue comunicazioni, tutte le e-mail, i
suoi orientamenti, i segreti personali. Ed è naturalmente in grado di ricattare ogni politico-maggiordomo occidentale, esposto al tempismo di qualche
scandalo che lo potrebbe colpire e affondare se dovesse ribellarsi ai padroni
dei segreti.
Enrica Perucchietti
ricompone un vasto mosaico di "false flag" che nell'insieme disegnano
un allarme sicurezza permanente che ha fatto da base giuridica e premessa politica delle
guerre di aggressione intraprese dal 2001 in poi, nonché delle leggi che
hanno consentito lo spionaggio di massa
indiscriminato oltre ad aver reintrodotto gli arresti extralegali assieme alla tortura.
In questo
quadro emerge chiaramente che il terrorismo
sintetico è un'interminabile catena di azioni in cui gli attori hanno sempre il fiato sul collo dell'intelligence,
che li manipola per i propri fini.
Quel che nel senso comune si chiama terrorismo è in prevalenza una forma di
manipolazione di massa, coperta da entità statali e usata con l'accordo dei pochi
proprietari della quasi totalità dei media mainstream,
i quali sono adibiti a organizzare a comando gli isterismi collettivi e a
rinfrescare la paura, ricordando certe vittime innocenti e dimenticandone
altre.
Nel saggio si
sottolinea ad esempio come ci sia una notevole compartecipazione tra servizi
segreti e gruppi islamisti, compresa l'ISIS/Daesh.
Enrica
Perucchietti pone la domanda che nella maggior parte dei nostri media è tabù: «Spuntando
dal nulla nel giro di pochi mesi, l’ISIS si è assicurata un gran numero di
risorse, armi, attrezzature multimediali high-tech e specialisti in propaganda.
Da dove provengono i soldi e le tecniche
di guerriglia?».
L’ISIS, cioè lo
Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Siria), è uno stato-non-stato che nel
costituire per definizione un’entità terrorista si prende il “diritto” di non attenersi
ad alcuna legalità, come se fossero i corsari
dei giorni nostri. Nell'epoca dei paradossi, gli USA - con buone ragioni - definiscono
l'ISIS e altre organizzazioni della galassia jihadista come “organizzazioni
terroriste”; ma quando sentiamo vecchi astri della politica imperiale
statunitense come Zbignew Brzezinski
e John McCain definire i jihadisti
come "i nostri asset", sembra quasi che definirli terroristi implichi
proprio il diritto-dovere di essere
terroristi. Catalogarli così somiglia quasi a una "lettera di
corsa" da parte della superpotenza nordamericana, simile a quelle
autorizzazioni con cui le potenze di un tempo abilitavano i corsari ad
attaccare e razziare navi di altre potenze.
Mentre i soldati "normali" sarebbero in una
certa misura esposti al dovere di rispettare le Convenzioni di Ginevra e altri elementi del diritto internazionale,
i terroristi/corsari, viceversa,
costituiscono una legione che infrange questi limiti nascondendo la catena
delle responsabilità. Quelli dell'ISIS condividono valori oscurantisti e l'uso
delle decapitazioni con la dinastia saudita che li appoggia e foraggia. Ma
siccome l'Arabia Saudita è «un'ISIS che ce l'ha fatta» - come dice il «New York
Times» - il ruolo della canaglia rimane comodamente attaccato solo alla manovalanza
di assassini che si rifà al jihadismo, senza estendersi ai mandanti occulti.
Ma poi è arrivato l'intervento
in Siria dell'aeronautica russa.
Gli aerei di Mosca hanno distrutto quasi tutte le
migliaia di autobotti con cui il petrolio razziato dai nuovi corsari veniva
smerciato in un paese NATO, la Turchia, proprio con il consenso di Ankara (altro
grande sponsor dell'ISIS). La mossa strategica di Mosca ha perciò aperto una
nuova fase che spinge molti paesi a porsi un semplice problema: che rapporto devo avere adesso con la Russia di Vladimir Putin, ora che i
miei alibi sono stati bruciati? Non è un caso che dopo l'intervento russo gli
attentati jihadisti, con tutto il loro tipico fumo di false flag, si stiano
intensificando drammaticamente, aumentando la pressione e il ricatto sui sistemi
politici di mezzo mondo e mostrandosi come una presenza ormai permanente della
scacchiera internazionale. Una scacchiera che possono demolire.
Sarebbe il
momento giusto per fare chiarezza, ma le istituzioni si chiudono a riccio, come
nel caso dell'inchiesta sulla strage di Charlie Hebdo: mentre emergevano
particolari inquietanti su quell'attentato e i suoi torbidi contorni, il
ministro degli interni francese, Cazeneuve, ha deciso che l'inchiesta doveva
essere subito insabbiata. Perché? “Segreto militare”. Il che implica - come il
lettore vedrà poi in dettaglio in questo saggio - che l'evento terroristico,
ancora una volta, andava oltre l'attentato "islamico", perché
erano coinvolti organi di Stato che agivano da complici, se non da
pianificatori dell’atto, corresponsabili quindi di un delitto che sacrificava
propri cittadini. Le nuove norme eccezionali
approvate in Francia si presentano come l'annuncio di una tendenza generale, e già ci sono le avvisaglie del fatto che queste
norme saranno usate per restringere le libertà e i diritti, ad esempio di
lavoratori o cittadini che manifestino per rivendicare migliori condizioni di
vita.
Gran
parte degli intellettuali - freschi reduci di un'indigestione
retorica di "Je suis Charlie" - non
leva una sola voce contro le restrizioni della libertà, nemmeno quando
toccano in modo massiccio un paese NATO come la Turchia, che ha praticamente
schiacciato un'intera generazione di giornalisti che osavano indagare sulle
complicità del governo con il terrorismo. Per colmo, accusandoli di terrorismo.
Occorre un risveglio intellettuale e morale che accompagni un rinnovamento
politico, occorre spostare il
pendolo del potere dalle istituzioni modellate dall'«eccezione» e dalla paura
verso le istituzioni ispirate alla sovranità popolare e alla corretta informazione.
Smascherare il sistema fondato sulle false flag non è una condizione
sufficiente per questo risveglio (che ha bisogno anche di coraggio e
partecipazione di massa). Ma rivelare ai molti cittadini obnubilati dalla bolla
mediatica dominante la verità sugli inganni che hanno subito è una condizione
necessaria per difendere e ampliare le proprie libertà. Questo è un buon punto di partenza.
Il formato ebook:
2 giugno 2016
Un allarme russo. (Appello contro il suicidio del mondo)
Noi qui
sotto firmatari siamo russi che vivono e lavorano negli USA. Stiamo assistendo
con crescente ansia a come le attuali politiche statunitensi e NATO ci stiano
portando verso una collisione pericolosissima con la Federazione Russa, così
come con la Cina.
Numerosi
rispettati patrioti americani, come Paul Craig Roberts, Stephen Cohen, Philip Giraldi, Ray McGovern
e molti altri hanno lanciato allarmi per il pericolo di un’incombente
Terza Guerra Mondiale. Ma la loro voce si è persa nel chiasso di mass media
zeppi di storie ingannevoli e inaccurate. Esse descrivono un’economia russa nel
caos e un esercito russo debole. Tutto senza prove.
Tuttavia
noi, conoscendo sia la storia russa sia lo stato attuale della società e delle
forze armate russe, non possiamo ingoiare quelle bugie. E ora riteniamo che sia
nostro dovere, in quanto russi che vivono negli USA, avvertire il popolo
americano che gli viene mentito e che noi dobbiamo dirgli la verità.
E la verità
è semplicemente questa:
se ci fosse una guerra con la Russia, gli Stati
Uniti verrebbero con certezza distrutti e molti di noi infine morirebbero.
Facciamo un
passo indietro e guardiamo in un contesto storico cosa sta avvenendo. La Russia ha sofferto moltissimo a causa
di invasioni straniere. Nella II
Guerra Mondiale ha perso 22 milioni di persone. Erano in maggioranza civili
perché la nazione era stata invasa. E i
Russi hanno quindi giurato di non permettere mai più un disastro simile.
Ogni volta
che la Russia è stata invasa è uscita vittoriosa. Nel 1812 Napoleone invase la Russia e nel 1814 Parigi era sotto gli zoccoli
della cavalleria russa. Il 22 giugno del 1941 la Luftwaffe di Hitler bombardava Kiev e il 9 maggio
1945 le truppe sovietiche dilagavano per Berlino.
Ma le cose
sono cambiate da allora. Se Hitler attaccasse oggi la Russia, sarebbe bello che
morto in 20 o 30 minuti, il suo bunker ridotto a una massa di macerie
incandescenti per l’impatto di un missile supersonico da crociera Kalibr
lanciato da una piccola nave russa da qualche parte nel Baltico. L’abilità
operativa delle nuove forze armate russe è stata dimostrate nel modo più
persuasivo durante le recenti azioni contro l’ISIS, al-Nusra e altri gruppi
terroristici operanti in Siria e foraggiati dall’estero.
Molto tempo
fa la Russia avrebbe dovuto rispondere alle provocazioni combattendo battaglie
di terra sul proprio territorio e poi lanciando una contro-invasione. Ma ora
questo non è più necessario. Le nuove
armi russe permettono una rappresaglia istantanea, non rilevabile, impossibile
da fermare e assolutamente letale.
Così, se
domani dovesse scoppiare una guerra tra gli USA e la Russia è assolutamente
garantito che gli USA sarebbero devastati. Come minimo non ci sarebbero più una
rete elettrica, internet, benzina, gas; non ci sarebbero più autostrade,
trasporti aerei o navigazione basata su GPS. I centri finanziari sarebbero in
rovina. Il Governo, ad ogni livello, cesserebbe di funzionare. Le forze armate
statunitensi che stazionano per tutto il globo non sarebbero più rifornite. Nella
peggiore delle ipotesi, l’intera massa continentale degli USA sarebbe coperta
da uno strato di polvere radioattiva.
Non lo
diciamo perché siamo allarmisti ma perché in base a tutto ciò che conosciamo,
siamo noi stessi allarmati. Se attaccata, la Russia non cederebbe,
contrattaccherebbe e annichilirebbe totalmente gli Stati Uniti.
La leadership statunitense ha fatto tutto
ciò che poteva per spingere la situazione sull’orlo del disastro. Innanzitutto
la sua politica antirussa ha convinto la
leadership russa che fare concessioni o negoziare con l’Occidente è del tutto inutile.
È sempre
più evidente che l’Occidente sosterrà ogni individuo, movimento o governo
antirusso. Siano essi gli oligarchi russi evasori fiscali, criminali di guerra
ucraini imprigionati, terroristi wahhabiti in Cecenia sostenuti dai Sauditi o
dissacratrici punk di cattedrali a Mosca.
Ora che la NATO,
in violazione alle sue precedenti promesse, si è espansa fino ai confini russi,
con le forze statunitensi dispiegate negli stati baltici a un tiro di
artiglieria da San Pietroburgo, la seconda città della Russia, i Russi non
hanno più modo di ritirarsi anche se lo volessero.
Non attaccheranno, ma nemmeno cederanno o si
arrenderanno. La leadership russa gode del sostegno di più
dell’80% della popolazione. Il restante 20% pensa invece che essa sia troppo
morbida con gli sconfinamenti dell’Occidente. La Russia non attaccherà mai per
prima, ma contrattaccherà e così una provocazione o anche solo un semplice
errore potrebbe scatenare una sequenza di eventi che finirebbe con milioni di
americani morti e gli USA in rovina.
A
differenza di molti Americani che vedono la guerra come una vittoriosa ed
eccitante avventura in terre esotiche, i
Russi odiano la guerra e ne hanno paura. Ma sono anche pronti a combatterla, e
si stanno preparando da anni a farlo. E la loro preparazione è stata la più
efficace.
A
differenza degli USA che sperperano un numero pauroso di miliardi in dubbi
programmi di armamento a sovracosto, come il caccia multiruolo F-35, i Russi
sono estremamente parsimoniosi con i loro rubli per la difesa e li fanno
fruttare almeno 10 volte di più rispetto alla gonfiata industria della difesa
americana.
Mentre è
vero che l’economia russa ha sofferto a causa del ribasso del prezzo
dell’energia, è però ben lontana dall’essere nel caos e un ritorno alla
crescita è atteso per il prossimo anno. Il senatore John McCain una volta ha definito la Russia “una pompa di benzina
mascherata da nazione”. Bene, mentiva. Sì, la Russia è il più grande produttore
mondiale di petrolio e il secondo esportatore, ma è anche il più grande
esportatore al mondo di cereali e di tecnologia per l’energia atomica. Ha una società avanzata e sofisticata come
quella degli Stati Uniti. Le forze armate russe, sia convenzionali sia nucleari,
oggi sono pronte a combattere. E sono più che all’altezza degli USA e della NATO,
specialmente se una guerra dovesse scoppiare in un qualsiasi punto vicino ai
confini della Russia.
Ma una
simile battaglia sarebbe suicida da entrambi i lati. Crediamo fermamente che
una guerra convenzionale in Europa abbia una forte probabilità di diventare
nucleare molto rapidamente e che ogni attacco nucleare di USA/NATO alle forze
russe o al territorio russo automaticamente scatenerebbe un contrattacco
nucleare russo sul continente statunitense.
Al
contrario di affermazioni irresponsabili fatte da alcuni propagandisti
americani, i sistemi di missili
antibalistici statunitensi sono incapaci di proteggere il popolo americano
da un attacco nucleare russo. La Russia ha i mezzi per colpire bersagli negli USA con armi a lunga gittata, sia nucleari che convenzionali.
L’unica
ragione per cui gli USA e la Russia si trovano oggi in rotta di collisione
invece di sciogliere tensioni e cooperare su un largo spettro di problemi
internazionali, è il rifiuto ostinato della
leadership statunitense di accettare la Russia come un partner alla pari.
Washington
è determinata a essere il “leader mondiale” e la “nazione indispensabile”,
persino se la sua influenza diminuisce costantemente nella scia di disastri
militari e di politica estera come l’Iraq, la Libia, la Siria, lo Yemen e
l’Ucraina.
Una
continuata leadership globale americana è qualcosa che la Russia, la Cina e la
maggioranza delle altre nazioni non hanno intenzione di accettare.
Questa
graduale ma evidente perdita di potere e influenza ha fatto diventare isterica
la leadership statunitense. E tra l’isteria
e la pulsione suicida basta un passo.
I leader politici americani dovrebbero essere messi sotto osservazione per
istinti suicidi.
La prima e
più importante cosa che facciamo è quindi lanciare un appello ai comandanti delle Forze Armate Statunitensi perché
seguano l’esempio dell’ammiraglio William
Fallon che interrogato su una possibile guerra all’Iran replicò: “No, finché ci sono io”.
Sappiamo
che non siete dei suicidi e che non avete intenzione di morire per un’arroganza
imperiale che ha perso i contatti con la realtà.
Se
possibile, vi preghiamo di dire al vostro staff, ai vostri colleghi e,
specialmente, ai vostri superiori civili che una guerra con la Russia non
avverrà finché voi sarete in carica.
Se proprio
non potete, almeno mantenete voi questa promessa, e dovesse mai arrivare il
giorno in cui quell’ordine suicida verrà dato, rifiutatevi semplicemente di
eseguirlo, con la motivazione che è criminale. Ricordatevi che per il Tribunale di Norimberga «Iniziare una guerra di aggressione … non è solo un crimine
internazionale; è il supremo crimine internazionale che differisce dagli altri
crimini di guerra solo in quanto accumula in sé il male del tutto». Da
Norimberga in poi lo “stavo solo eseguendo gli ordini” non è più una difesa
valida. Per favore non diventate criminali di guerra.
Facciamo
anche appello al popolo americano perché
intraprenda azioni pacifiche ma decise per opporsi
a ogni esca provocatoria contro la
Russia da parte di qualsiasi politico o qualsiasi partito che legittimi e
sostenga una politica di inutile scontro con una superpotenza nucleare che è
capace di distruggere gli Stati Uniti in
un’ora.
Parlate,
rompete la barriera della propaganda dei mass media e fate che i vostri
compatrioti americani siano consapevoli dell’immenso pericolo di uno scontro
tra la Russia e gli USA.
Non c’è
nessuna ragione effettiva perché gli USA e la Russia si debbano considerare
avversari. Lo scontro attuale è interamente il risultato della visione estremista del movimento
neoconservatore i cui membri si sono infiltrati nel governo federale
statunitense e che considerano ogni nazione che rifiuta di obbedire ai loro
dettami un nemico da schiacciare.
Grazie ai
loro sforzi senza sosta, più di un milione di innocenti sono già morti nella ex
Jugoslavia, in Afghanistan, in Libia, in Iraq, Siria, Pakistan, Ucraina, Yemen,
Somalia e in molte altre nazioni - tutto per la loro insistenza maniacale che
gli USA devono essere un impero mondiale, non una nazione regolare e normale, e
che ogni leader nazionale deve inchinarsi a loro o essere spodestato.
In Russia
la forza irresistibile del movimento neocon
ha alla fine incontrato un oggetto inamovibile. Devono essere costretti a fare marcia indietro prima che
ci distruggano tutti.
Siamo
assolutamente e categoricamente certi che la Russia non attaccherà mai gli USA
o nessun membro della UE; che la Russia non ha interesse a ricreare l’Unione
Sovietica e che non c’è nessuna “minaccia russa” o “aggressione russa”. Molti
dei recenti successi economici russi hanno molto a che fare con lo scioglimento
delle vecchie dipendenze sovietiche, cosa che ha permesso di perseguire una
politica di “prima la Russia”.
Ma siamo
altrettanto certi che la Russia se attaccata, o anche solo minacciata di un
attacco, non recederà e la leadership russa non starà a guardare.
Con grande
tristezza e con cuore pesante onoreranno il dovere su cui hanno giurato e
scateneranno una barriera nucleare dalla quale gli Stati Uniti non si
riprenderanno mai più.
Anche se
tutta la leadership russa fosse uccisa da un first strike, la cosiddetta
“Mano Morta” (Dead Hand, cioè il sistema “Perimeter”) lancerebbe automaticamente
sufficienti bombe nucleari da cancellare gli USA dalla mappa politica.
Crediamo
che sia nostro dovere fare tutto ciò che possiamo per prevenire una simile
catastrofe.
Eugenia V
Gurevich, PhD
|
Dmitri
Orlov
|
The Saker (A. Raevsky)
|
Traduzione per Megachip a cura di
Piotr.
Nota del traduttore
Il sistema Perimeter
è un po’ come il famoso “Ordigno Fine Di Mondo” (Doomsday machine)
immaginato dal genio di Stanley Kubrick in “Il dottor Stranamore”.
L’esistenza di
questo sistema in epoca sovietica non venne reso pubblico. Ad esso si poteva
adattare perfettamente il dialogo surreale tra il dottor Stranamore e
l’ambasciatore sovietico:
Stranamore: «Perché?
Insomma, lo scopo dell’ordigno “Fine di mondo” è perduto se si tiene segreto.
Perché non lo avete detto al mondo, eh?»
Ambasciatore: «Doveva
essere annunciato a congresso di Partito, Lunedì. A Kisov piace fare sorprese!»
Riesumato nel
2009 e ammodernato nel 2011 prevede che in caso di attacco e di isolamento di Perimeter
dal resto del Paese (le due condizioni necessarie e sufficienti per armarlo),
sia lanciato un contrattacco nucleare automatico. Il sistema è in grado di
analizzare non solo la situazione militare mondiale ma anche quella politica.
Etichette:
Europa,
guerra atomica,
Guerra Fredda,
guerra mondiale,
guerra nucleare,
missili,
NATO,
NATO-Russia,
nucleare,
Russia,
Stranamore,
USA,
USA-Russia
Iscriviti a:
Post (Atom)