15 marzo 2015

Siria, la retromarcia dell'ambasciatore mutante


di Pino Cabras.
da Megachip.


Davvero curioso leggere l’altalenante autocritica pronunciata dall’ex ambasciatore USA in Siria, Robert Ford. In Italia ne ha parlato SpondaSud.it, senza che i grandi media italiani riprendessero queste notevoli dichiarazioni, che il lettore potrà leggere almeno in coda a questo articolo. Robert Ford è uno degli esempi più riusciti di quella nuova specie di ambasciatori che risponde a Washington, e che ha perfettamente descritto il generale Fabio Mini, il quale afferma che il Dipartimento di Stato USA «ormai non dirige più la diplomazia delle feluche e dei party e che nel rispetto della convenzione di Vienna dovrebbe astenersi dall’interferenza negli affari interni degli altri paesi. In realtà non dirige neppure diplomatici. Gli ambasciatori si atteggiano a spie e hanno adottato le tecniche della CIA dei tempi di Pinochet e dei narcos intervenendo direttamente nella politica e negli affari dei paesi di accreditamento»[1].
E come intervengono, questi ambasciatori mutanti? Il generale Mini non usa mezzi termini: «Mettono in campo tutti gli strumenti di pressione e sovversione disponibili: vecchi e nuovi, soft e hard, pubblici e privati, manovrando e manipolando persone e opinioni con i social media, con la corruzione dei funzionari, l’intervento di mercenari, di organizzazioni non governative, di Stati terzi. La cosiddetta public diplomacy si è mescolata alle operazioni militari speciali, alle connessioni con le reti criminali e malavitose, con gli estremisti e con i terroristi. La chiave è la provocazione di eventi che appaiono spontanei e che possono essere attribuiti ad altri. Sono operazioni lunghe nella preparazione e istantanee nell’esecuzione.»
Per finanziare queste attività l’ambasciatore di nuovo tipo non attinge a risorse ministeriali, ma preferisce «cercare sponsor esterni e alimentare attività criminali che procurano denaro come i traffici di droga, di reperti archeologici e di armi, come le rapine o, in maniera più raffinata, sostenendo l’alta finanza nell’appropriazione di imprese e industrie da affidare a propri rappresentanti scelti per diventare leader politici».
Mini scriveva a ridosso dei primi mesi della crisi ucraina, e la sua rappresentazione riusciva a effigiare bene anche quel che è successo in Ucraina, con la sequela di soft power, propaganda, destabilizzazione e guerra.
Ma va benissimo anche per ritrarre la figura di Robert Ford. Ne avevamo parlato, Simone Santini e io, in un articolo del 2012, intitolato «Siria, prima che spari la "tecnica"», nel quale prevedemmo fin troppo esattamente una situazione in cui gli jihadisti in Toyota sarebbero diventati gli atroci protagonisti degli eventi. Lì c’era anche un ritratto non convenzionale di Robert Ford:
« Chi ha guidato la mano degli squadroni della morte?
Sarebbe interessante chiederlo a Robert Ford, l'ambasciatore USA a Damasco. Prima dell'incarico nella capitale siriana Ford era stato assistente di John Negroponte quando questi era ambasciatore a Baghdad e anche lì imperversavano gli squadroni della morte, esattamente come in Honduras ai tempi in cui faceva l'ambasciatore, e da lì organizzava la guerra sporca dei Contras del Nicaragua, oltre ad addestrare le forze speciali e i torturatori di tutto il "cortile di casa" del Sud America.
Uno sguardo ravvicinato alle violenze in Siria fa sorgere domande terribili sulle narrazioni ufficiali di chi oggi dà la caccia ad Assad come ieri a Gheddafi.»

Oggi Ford tiene ancora i piedi in più staffe, sogna sempre di poter cambiare le sorti della Siria armando oppositori non jihadisti, e nello stesso tempo, in modo politicamente contraddittorio e insostenibile, propone che l’opposizione prenda parte «ai negoziati per una soluzione della crisi senza chiedere la partenza di Assad come condizione preliminare a qualsiasi compromesso». Era un’impostazione negoziale che - duecentomila vittime fa - le persone di buon senso proponevano inascoltate, mentre le grandi macchine della propaganda coprivano Ford e ‘hitlerizzavano’ Assad.
L’Impero del Caos ora forse si accorge che il Caos soffia più forte dei suoi schemi.


Siria, ex ambasciatore USA: ‘L’opposizione si è comportata barbaramente’


L’ex ambasciatore Usa, in Siria, Robert Ford, ha riconosciuto per la prima volta che l’opposizione siriana ha usato pratiche barbariche contro i civili fedeli al presidente siriano Bashar al Assad.
In un’intervista con la rivista americana Foreign Policy, Ford ha lanciato un appello all’opposizione affinché rinunci alla partenza del presidente Assad come precondizione per una soluzione della crisi siriana.
Ford, da sempre molto critico con il presidente Assad, a sorpresa, ha invitato i gruppi di opposizione a collaborare con l’esercito siriano nella protezione dei civili.
Secondo Ford, «la strategia degli Stati Uniti non funziona, da qui la necessità di istituire un piano alternativo».
I principali punti del piano possono essere riassunti come segue:
– I gruppi armati di opposizione addestrati recentemente devono obbedire solo al loro comando.
– L’opposizione armata deve rinunciare agli atti barbarici contro i civili fedeli al presidente Assad.
– L’opposizione deve tagliare tutti i rapporti con il Fronte al Nosra, affiliata alla rete di al-Qaeda.
– Non si devono attaccare i cristiani e le altre minoranze.
– È necessario che l’opposizione cooperi con l’esercito siriano nel proteggere le aree.
– L’opposizione deve prendere parte ai negoziati per una soluzione della crisi senza chiedere la partenza di Assad come condizione preliminare a qualsiasi compromesso.
E, infine, Ford non ha dimenticato di chiedere alla Turchia di chiudere le frontiere per impedire l’afflusso delle milizie dell’Isis e di Al Nosra verso la Siria.



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[1] Da “La strana coppia Russia-Cina figlia delle manipolazioni e degli errori di Obama” di Fabio Mini, su Limes 8/2014 “Cina-Russia-Germania unite da Obama”.

8 marzo 2015

#CharlieHebdo, uno dei killer era quasi cieco. E non è uno scherzo

di Marcello Foa

Quando si dice il caso. La scorsa settimana ho comprato «L’Obs», grande settimanale francese, attratto dal titolo di copertina: Rivelazioni, come hanno preparato gli attentati, riferita ovviamente alla strage nella redazione di «Charlie Hebdo» e al sequestro nel supermercato Cacher.
Bell’articolo, intenso, ricostruisce, attingendo a fonti giudiziarie e di polizia, i 12 giorni che hanno preceduto gli attentati di Parigi. In realtà quasi tutto l’articolo è dedicato a Amedy Coulibaly, mentre i riferimenti ai fratelli Kouachi sono limitati a poche righe, eppure sono, giornalisticamente, le più interessanti.

Un passaggio in particolare. Lo traduco tale quale.
“A Reims le giornate sono lunghe e monotone per Said Kouachi. Il fratello cadetto di Cherif, 34, anni, non lavora. Non sa fare nemmeno i lavoretti di casa. “Non sapeva stringere nemmeno una vite”, testimonia uno dei suoi cognati, che non si ricorda di avere con lui nemmeno una discussione. D’altronde, non gli si conoscevano amici. Il futuro killer di Charlie Hebdo si sposta poco. Una malattia degli occhi gli impedisce di superare l’esame di guida: senza occhiali, non vede niente a meno di un metro. Durante la giornata prega, va in moschea, si occupa di suo figlio e di sua moglie, handicappata”.
Mi fermo. Rileggo. Sì, ho letto bene.

L’uomo mascherato che abbiamo visto sparare all’impazzata nelle vie attorno a «Charlie Hebdo», urlando “Siamo di Al-Qa'ida e veniamo dallo Yemen”, che ha giustiziato il poliziotto a terra o comunque si è mosso con estrema agilità a supporto del fratello, il terrorista che con straordinaria precisione e freddezza ha ammazzato una dozzina di persone nella redazione, era un uomo sedentario, straordinariamente impacciato, diciamola tutta, un imbranato, e soprattutto era quasi orbo, al punto che le autorità francesi gli negarono la patente anche con l’ausilio degli occhiali.

Non vedeva una mazza, ma ha dimostrato di essere un cecchino infallibile.

Com’è possibile?

Io risposte certe non ne ho ma non posso che aggiungere un altro dubbio alla lista di quelli che, a distanza di due mesi dal massacro, non sono stati chiariti.



Fonte: http://blog.ilgiornale.it/foa/2015/03/07/charlie-hebdo-uno-dei-killer-era-quasi-orbo-e-non-e-uno-scherzo/.

6 marzo 2015

Le armi USA e l'ascesa nazista in Ucraina


di Glenn Greenwald.
The Intercept. 


James Clapper, il massimo funzionario della sicurezza nazionale di Obama e direttore della National Intelligence, chiede di armare le forze ucraine: chi verrebbe rafforzato in realtà?
 


È facile dimenticare che, appena due anni fa, il presidente Obama era deciso a bombardare la Siria e a rovesciare il regime di Assad, e che organismi dell’establishment statunitense avevano lavorato alla creazione delle basi su cui si fondava quella campagna. La NPR (National Public Radio) cominciò scrupolosamente a pubblicare relazioni di funzionari statunitensi anonimi secondo cui la Siria aveva accumulato grandi quantità di armi chimiche; il New York Times riportò che Obama stava «incrementando gli aiuti ai ribelli e raddoppiando gli sforzi per radunare una coalizione di paesi allineati per abbattere Assad con la forza»; il segretario di Stato John Kerry sottolineò che la destituzione forzata di Assad era «una questione di sicurezza nazionale» nonché «una questione di credibilità degli Stati Uniti d'America».
Coloro che si opponevano alla campagna di bombardamenti contro il “cambiamento di regime” anti-Assad sostenevano che, mentre alcuni ribelli erano siriani qualsiasi, i “ribelli” armati e legittimati dagli Stati Uniti (cioè, gli unici combattenti di fatto contro Assad) erano in realtà estremisti violenti e anche terroristi legati ad Al-Qa'ida o peggio. Coloro che argomentavano tutto ciò venivano sistematicamente additati come sostenitori di Assad perché si dava il caso che questo fosse lo stesso ragionamento che faceva Assad, cioè che i combattenti più efficaci contro di lui erano jihadisti e terroristi.
Ma nel momento in cui si è reso necessario giustificare il coinvolgimento degli Stati Uniti in Siria, questo discorso a Washington è stato rapidamente trasformato da tabù in saggezza popolare. Gli Stati Uniti ora bombardano la Siria, naturalmente, ma anziché combattere contro Assad, il dittatore siriano è (ancora una volta) alleato e partner dell'America. La base logica per la campagna di bombardamenti americana è la stessa cui Assad si è a lungo richiamato: che quelli che combattono contro di lui sono peggio di lui perché sono legati ad Al-Qa'ida e ISIS (anche se per anni gli americani hanno finanziato e armato quelle fazioni e i più stretti alleati degli USA nella regione continuano a farlo).
Una dinamica simile è in atto in Russia e Ucraina. Ieri James Clapper − il massimo funzionario della sicurezza nazionale di Obama e direttore della National Intelligence − ha detto in una commissione del Senato «che sostiene l’armamento delle forze ucraine contro i separatisti filorussi», come ha riportato il Washington Post. Gli USA hanno già fornito aiuti “non letali” alle forze ucraine, e Obama ha detto che sta valutando di armarle. Chi, esattamente, verrebbe rafforzato?
Da tempo il presidente russo Vladimir Putin ha detto che gruppi ultranazionalisti, fascisti e anche neonazisti hanno guidato il colpo di Stato dell’anno scorso in Ucraina e il conseguente regime di Kiev. Anche la testata giornalistica televisiva Russia Today fa spesso riferimento al «ruolo attivo che gruppi di estrema destra hanno giocato sul versante filogovernativo in Ucraina a partire dal violento colpo di Stato dell’anno scorso».
Per questo motivo, evidenziando che armare il regime di Kiev rafforzerebbe i fascisti e i neonazisti, chiunque sarebbe immediatamente accusato di essere un propagandista di Putin: esattamente come sono stati accusati di essere propagandisti di Assad quelli che sostenevano che i migliori combattenti contro Assad erano affiliati di Al-Qa'ida (finché questa non è diventata la posizione ufficiale del governo degli Stati Uniti). I resoconti dei media americani rappresentano costantemente il conflitto in Ucraina come una nobile lotta combattuta da amanti della libertà: i democratici filooccidentali di Kiev contro gli aggressivi oppressori separatisti dell’est “sostenuti dai russi”.
Ma proprio come era vero in Siria, mentre alcuni partecipanti al colpo di Stato ucraino erano ucraini normali in lotta contro un regime corrotto e oppressivo, le dichiarazioni sui teppisti fascisti che capeggiano la lotta per il governo di Kiev sono in realtà vere. Lo scorso agosto, scrivendo di politica estera dall'Ucraina orientale, Alec Luhn ha fatto queste osservazioni:

«Le forze filorusse hanno detto che stanno combattendo contro i nazionalisti e i “fascisti” ucraini, e nel caso dell’Azov e di altri battaglioni queste affermazioni sono sostanzialmente vere... Il battaglione Azov, il cui emblema comprende anche il "Sole Nero", simbolo occulto usato dalle SS naziste, è stato fondato da Andriy Biletsky, capo dei gruppi neonazisti di Assemblea Sociale Nazionale e Patrioti dell'Ucraina».

Nel mese di settembre, Shaun Walker – il corrispondente da Mosca per il Guardian ha raccontato la sua esperienza di giornalista aggregato alle forze − schierate con Kiev − del battaglione Azov, che ha definito «la forza più potente e affidabile dell'Ucraina sul fronte contro i separatisti». Mentre ha liquidato come “gonfiati” gli avvertimenti russi secondo cui questi gruppi cercano di fare pulizia etnica in tutta l’Ucraina, Walker ha descritto «le tendenze di estrema destra, anche neonaziste, di molti dei suoi membri», e ha evidenziato che «Amnesty International ha chiesto al governo ucraino di indagare sulle violazioni dei diritti e sulle possibili esecuzioni da parte di Aidar, un altro battaglione». La principale preoccupazione di Walker era che queste milizie fasciste, una volta sconfitti i separatisti, intendessero mantenere il controllo di Kiev per imporre la propria visione ultranazionalista su tutto il paese.
Da quando è avvenuto il colpo di Stato di Kiev, questi fatti spiacevoli riguardanti le forze filogovernative sono stati per lo più ignorati dalla maggior parte dei resoconti dell’establishment mediatico USA, lasciando una manciata di commentatori a rilevarli. Nel gennaio dello scorso anno, durante il colpo di Stato, Seumas Milne del Guardian ha dichiarato che il racconto della moralità occidentale sull’Ucraina – democrazia/combattenti contro Putin/oppressori − «riporta solamente il legame più superficiale con la realtà» e che, invece, «i nazionalisti di estrema destra e i fascisti sono stati al cuore delle proteste e degli attacchi contro edifici governativi». La britannica Channel 4 ha parlato del ruolo centrale svolto da estremisti di destra ultranazionalisti in quel colpo di Stato, rilevando che il senatore John McCain si è recato nella capitale ucraina [vedi foto sopra] e ha condiviso il palco con i peggiori elementi fascisti. Justin Raimondo di antiwar.com da molto tempo sta denunciando «l’ascesa di un movimento di massa autenticamente fascista nei corridoi del potere a Kiev», rilevando che, lungi dall'essere un pugno di elementi marginali, «gli attivisti dei due principali partiti fascisti in Ucraina − Svoboda e ‘Settore Destro’ – forniscono agli insorti il nerbo necessario per prendere il controllo di edifici governativi a Kiev e in tutta l'Ucraina occidentale».
Questi fatti sono ormai talmente evidenti che anche le organizzazioni occidentali più mainstream sono ora costrette a rilevarli. La scorsa settimana, Vox ha pubblicato un articolo di Amanda Taub sui «circa trenta di questi eserciti privati che combattono dalla parte ucraina», i cui «combattenti sono accusati di gravi violazioni dei diritti umani, tra cui rapimenti, torture ed esecuzioni senza un regolare processo». Sebbene sostenga che le milizie operino in gran parte autonomamente rispetto al governo centrale di Kiev, Taub rileva comunque la loro progressiva centralità nella lotta contro i separatisti e ne riconosce anche l'uso esplicito da parte dei funzionari di Kiev:

«Le milizie hanno anche guadagnato più potere perché il governo ucraino, guidato dal nuovo presidente Petro Poroshenko, ha portato i loro amici nelle alte sfere. Per esempio, Arsen Avakov − il ministro degli Interni di Poroshenko − è stato in precedenza il leader del blocco politico dell'ex primo ministro Yulia Timoshenko in Ucraina orientale. Ha un'alleanza di lunga data con i membri del battaglione Azov, un'organizzazione di estrema destra i cui aderenti hanno una storia di propaganda antisemita e idee neonaziste. Avakov ha usato la sua posizione per sostenere il gruppo, arrivando a nominare Vadim Troyan − un vice-leader dell’Azov − capo della polizia per l'intera regione di Kiev. E anche il leader dell’Azov, Andriy Biletsky, è ora un membro del Parlamento».

Ieri The Intercept ha pubblicato il reportage di Marcin Mamon sul ruolo che gli jihadisti stanno giocando nel conflitto per conto del governo di Kiev.
La propaganda mediatica statunitense ha cercato non solo di glorificare il regime di Kiev sopprimendo tutti questi elementi, ma ha anche attivamente demonizzato i separatisti come poco più che pedine controllate da Putin. Infatti, come Max Seddon del sito web d’informazione BuzzFeed descrive in un eccellente articolo da una roccaforte separatista in Ucraina orientale, quelli che combattono contro Kiev hanno una serie di considerevoli rimostranze contro il governo ucraino abbastanza indipendenti da qualsiasi agenda di Putin, compresa la violenza contro i civili e l’antico disprezzo per gli abitanti dell’est del paese:

«Proprio in quelle aree in cui l’Ucraina sta lottando per riconquistarle, il pressoché costante bombardamento dell’artiglieria e un blocco economico paralizzante hanno irrigidito gli atteggiamenti a un punto di non ritorno. Quasi ogni giorno un bombardamento esige la vita di civili: la madre di qualcuno, un marito, un figlio. E ogni giorno la riconciliazione tra i milioni di cittadini ucraini di qui e il governo ucraino appare sempre più lontana».

A prescindere da qualsiasi altra cosa, questo è l'ennesimo caso in cui il governo USA − seguito come sempre dal suo supporto mediatico − fabbrica un racconto morale manicheo per giustificare il proprio coinvolgimento e il militarismo. Così mentre gli Stati Uniti hanno passato anni a finanziare e armare esattamente gli elementi estremisti che dichiarano di voler combattere − in Libia, in Siria, e molto prima di questo in Afghanistan – attrezzando militarmente le forze ucraine, hanno dato potere a una squadra mostruosa di fascisti ed espliciti simpatizzanti nazisti. Il colpo di stato in sé, che il governo degli Stati Uniti ha sostenuto, quasi certamente ha fatto esattamente questo.
Si può discutere se conferire forza a questi delinquenti sia una qualità o un errore: non è certo raro per gli Stati Uniti il fatto di armare e sostenere deliberatamente elementi fascisti e altri tiranni assortiti che si pensa possano favorire gli interessi americani (si veda l’articolo odierno di David Ignatius in cui sostiene che il dittatore egiziano, il generale Abdel Fata Sisi, è malvagio come Mubarak quando si tratta di violazioni dei diritti umani, tuttavia gli Stati Uniti devono continuare fermamente a sostenerlo affinché conservi la "stabilità"). Ma almeno, quando gli Stati Uniti vanno a letto con regimi come quello saudita o quello egiziano, la maggior parte delle persone capisce il tipo di alleato che ha abbracciato. Nel caso dell'Ucraina, questi fatti sono stati quasi del tutto esclusi dal discorso principale. Ora che il funzionario capo della sicurezza nazionale di Obama chiede espressamente di armare tali forze, è vitale che si capisca la vera natura degli alleati dell'America in questo conflitto.

Foto: Sergei Chuzavkov/AP, via The Intercept
Email dell’autore: glenn.greenwald@theintercept.com

Traduzione per Megachip a cura di Emilio Marco Piano.
Link alla versione italiana: http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=116784&typeb=0&Le-armi-USA-e-l-ascesa-nazista-in-Ucraina.