22 febbraio 2014

In Ucraina l'Occidente apre un vaso di Pandora

di Giulietto Chiesa.
il manifesto.


L'assistente del segretario di Stato Victoria Nuland ha detto al National Press Club di Washington, lo scorso dicembre, che gli Stati Uniti hanno investito 5 miliardi di dollari (…) al fine di dare all’Ucraina il futuro che merita», così scrive Paul Craig Roberts sul suo blog. Lui è ex assistente al Tesoro degli Usa e dice cose documentate. E ho letto che la Nuland ha già scelto i membri del futuro governo ucraino per quando Yanukovic sarà stato spodestato (o fatto fuori). L’Ucraina potrà avere così «il futuro che merita».
Ma quale futuro merita l’Ucraina, gli ucraini? Per come stanno andando le cose nessuno: non ci sarà l’Ucraina. Nell’indescrivibile clangore delle menzogne che gronda dai media mainstream la cosa principale che manca in assoluto è la banale constatazione che Yanukovic, l’ennesimo «dittatore sanguinario» della serie, è stato eletto a larga maggioranza dagli ucraini. Nessuno ne contestò l’elezione quando sconfisse Viktor Yushenko, anche se fu un boccone amaro per chi di Yushenko aveva finanziato l’ascesa. E gli aveva perfino procurato la moglie. Pochi sanno che la seconda moglie di Yushenko si chiama Katerina Chumacenko, che veniva direttamente dal Dipartimento di Stato Usa (incaricata dei «diritti umani»). Ancora meno sanno che Katerina, prima di fare carriera a Washington, era stata uno dei membri più attivi e influenti dell’organizzazione neo-nazista OUN-B della sua città natale, Chicago. OUN-B sta per Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini di Stepan Bandera.
L’OUN-B, tutt’altro che defunta, ha dato vita al Partito Svoboda, il cui slogan di battaglie è «l’Ucraina agli ucraini», lo stesso che Bandera innalzava collaborando con Hitler durante la seconda guerra mondiale. Del resto Katerina era stata leader del Comitato del Congresso ucraino, il cui ispiratore era Jaroslav Stetsko, braccio destro di Stepan Bandera. Che è come dire che il governo americano si era sposato con i nazisti ucraini emigrati negli Usa, prima di mettere Katerina nel letto di Yushenko.
Anche di questo il mainstream non parla. Ma ho fatto questa digressione per dire che, certo, gli ucraini hanno tutto il diritto di essere scontenti, molto scontenti di Yanukovic. E di avere cambiato idea. Anche noi abbiamo tutto il diritto di essere scontenti di Napolitano o del governo, ma questo non significa che pensiamo sia giusto assaltare il Quirinale a colpi di bombe molotov prima e poi di fucili mitragliatori.
Essenziale sarebbe stato tenere conto di questi dati di fatto. Ma il piano, di lunga data, degli Stati Uniti era quello di assorbire l’Ucraina nell’Occidente. Se possibile tutta intera.
Sentite cosa scriveva nel 1997 Zbignew Brzezinski, polacco: «Se Mosca ricupera il controllo sull’Ucraina, con i suoi 52 milioni di persone e le grandi risorse, riprendendo il controllo sul Mar Nero, la Russia tornerà automaticamente in possesso dei mezzi necessari per ridiventare uno stato imperiale». Ecco dunque il perché dei 5 miliardi di cui parla la Nuland. Caduto Yushenko, in questi anni decine di Ong, fondazioni, istituti di ricerca, università europee e americane, e canadesi, hanno invaso la vita politica dell’Ucraina. Qualche nome? Freedom House, National Democratic Institute, International Foundation for Electoral Systems, International Research and Exchanges Board. E, mentre si «faceva cultura», e si compravano tutte le più importanti catene televisive e radio del paese, una parte dei fondi servivano per finanziare le squadre paramilitari che vediamo in azione in piazza Maidan. Che, grazie a questi aiuti, si sono moltiplicate.
Adesso emerge il Pravij Sector («Settore di destra» e «Spilna Prava»), ma il giornale polacco Gazeta Wiborcza ha parlato di squadre paramilitari polacche che agiscono a Maidan. E la piazza pullula di agenti dei servizi segreti occidentali: lo fanno in Siria, perché mai non dovrebbero farlo a Kiev? È perfino più facile: Yanukovic, dittatore sanguinario, appare più molle di Milosevic, altro strano dittatore sanguinario che si fece sconfiggere elettoralmente da Otpor (fondato e ampiamente finanziato dagli Usa). Tutto già visto. C’è solo un problema: Putin non è un pellegrino sprovveduto.
È questo il popolo ucraino? Certo sono migliaia, anzi decine di migliaia, a mostrare il livello della rabbia popolare contro un regime inetto (non più inetto di quelli dei precedenti amici dell’Occidente, Kravchuk, Kuchma, Yushenko, Timoshenko), ma chi guida è chiaro perfino dalle immagini televisive. E questa è la ex Galizia, ex polacca, e la Transcarpazia.
Se crolla Yanukovic e prendono il potere costoro, sarà una diaspora sanguinosa. I primi ad andarsene saranno i russofoni dell’est e del nord, del Donbass dei minatori, che già stanno alzando le difese. E subito sarà la Crimea, che ha già detto quasi unanime che intende restare dalla parte della Russia, anche per tentare di salvarsi dalla furia antirussa di coloro che prenderanno il potere. È l’inizio delle secessioni, oggi perfino difficili da prevedere, dai contorni indefiniti, che produrranno non fronti militari ma selvagge rappresaglie all’interno di comunità che non saranno più solidali.
L’Europa, fedele esecutrice dei piani di Washington ha aperto il vaso di Pandora. Che adesso le esploderà tra le mani. I nuovi inquilini saranno di certo concordati (sempre che Putin abbia la garanzia che non sarà valicato il Rubicone dell’ingresso nella Nato), ma coloro che sono scesi in piazza armati hanno in testa un’idea di Europa molto diversa da quella che si figura Bruxelles. E quelli in buona fede che sono andati dietro i neonazisti – e sono sicuramente tanti – si aspettano di entrare in Europa domani. E saranno tremendamente delusi quando dovranno cominciare a pagare, e non potranno comunque entrare, perché nei documenti di Vilnius questo non è previsto.
L’unico tra i commentatori italiani che ha scritto alcune cose sensate è stato Romano Prodi, ma le ha scritte sull’International New York Times. Rivolto agli europei li ha invitati a non mettere nel mirino solo Yanukovic, bensì condannare anche i rivoltosi. E ha aggiunto: «Coinvolgere Putin», visto che tutte le parti hanno «molto da perdere e nulla da guadagnare da ulteriori violenze». Giusto ma ottimista. Chi ha preparato la cena adesso vuole mangiare e non si fermerà. E l’isteria antirussa è il miglior condimento per altre avventure.





19 febbraio 2014

Elezioni sarde, l'uomo senza collo e la voragine

di Pino Cabras.


A prima vista, il risultato delle elezioni regionali in Sardegna è leggibile innanzitutto come una sconfitta pesante del presidente uscente Cappellacci, poi come una vittoria del composito fronte del centrosinistra del neopresidente renziano Pigliaru, e infine come un risultato deludente per l'outsider Michela Murgia (sebbene per lei sia un risultato notevole dati i tempi brevi in cui è stato costruito). Ma se guardiamo le cose con sguardo più profondo scopriamo altri dettagli che possono far capire meglio il risultato.
Ho partecipato a questa battaglia elettorale candidandomi anche io nelle liste di Michela Murgia. Ho fatto leva su un impegno macroscopico e un budget microscopico. Ho strappato ad altre centinaia e centinaia di agguerriti candidati del collegio elettorale di Cagliari e provincia le preferenze di 208 anime. Sono proprio pochine, lo so, e non sono certo bastate, ma la cosa bella è che con diverse persone ho iniziato nuovi rapporti di collaborazione politica – e perfino promettenti amicizie - che non avrei mai scoperto senza l'esplorazione di talenti che si può concentrare in una campagna elettorale.
La corsa alle urne può essere affrontata in molti modi, io l'ho vissuta come un viaggio in cui si riscoprono i vecchi amici, si conoscono nuovi amici, e in cui ci si trova a sfidare gli istinti difensivi dei nemici.
In tutto il mese di campagna elettorale incontro le persone così, con contatti diretti e ravvicinati, uno per uno. Preferisco questo metodo a un generico volantinaggio. Distribuisco santini e volantini al mercato una sola volta, un sabato mattina, nella popolarissima via Quirra, a Cagliari. Mi aiutano compagni e amici di Alternativa. Sono davvero pochi i clienti del mercato che si lasciano avvicinare. Vediamo facce scavate dall'indigenza, le espressioni che riassumono anni di crisi e di abbandono in un corruccio. Le nostre frasi sul futuro si spengono di fronte all'evidenza delle loro solitudini, della vecchiaia precoce, della povertà non più nascosta pudicamente.
«Siete tutti ladri», ci dice più d'uno, mettendoci nello stesso sacco di chi vogliamo combattere. Hai voglia a spiegare le nuove liste, il nuovo progetto, l'onestà. Come il settanta per cento dei cittadini della Repubblica italiana, anche loro apprendono le notizie solo dalla televisione, e a queste proporzioni sembra ormai voler tendere la fuga degli elettori dalle urne. Non avevo avuto modo di incontrarli davvero per anni. Perciò non vogliono incontrarmi. Tutto qui.
Accanto a noi sgomitano anche i sostenitori di altri candidati di ogni schieramento, che ricevono i medesimi rifiuti. Solo uno sembra non agitarsi, e anzi la gente gli si avvicina. Alcuni lo insultano per qualche promessa mancata, ma ha la faccia di quelli che quando piove passano in mezzo alle gocce. Altri lo trattano con deferenza. Sembra non avere il collo, una testa incassata in un corpo da traffichino, un mezzo sorriso che nasconde imperturbabilità. Decido di sapere chi sia, e chiedo. Scuotono la testa increduli: «Come, non lo conosci?». Mi spiegano che è un consigliere comunale, che nel quartiere ha un pacchetto di 1300 voti e li spende in ogni elezione, per sé e per qualcuno più potente di lui, di destra o di sinistra, in un gioco di do ut des che mobilita non poche risorse. Di bocca in bocca passa la storia delle case popolari di una via lì vicina, alle quali, per ragioni sanitarie, l'uomo senza collo ha fatto cambiare i bagni in tutti gli appartamenti, ricevendone eterna gratitudine dagli abitanti e magnificandone la sua leggenda. Nel quartiere, sotto elezioni, alle vecchine con la pensione minima i galoppini pagano le bollette della luce, regalano casse di verdura, portano generi di conforto, e ai loro figli e nipoti disoccupati offrono lavoretti che durano qualche giorno. Lui sta lì per questo, al mercato. Io non so in quale piega del sottogoverno riuscirei mai a trovare la norma per blandire i clientes rifacendo la loro toilette. Lui lo sa, tutti sanno che lo sa.
Sardegna Possibile ha proposte bellissime per la riqualificazione urbana, e molti le hanno capite, ma non arrivano certo né ai 1300 clienti di quel consigliere comunale, né a quelli – molti di più - che non riesce ad accontentare e perciò lo disprezzano, associando al disprezzo tutto quello che puzza di politica. Mi avvicina un quarantenne che sbarca il lunario al mercato, con l'aria sveglia di chi sa trattare piccolissimi affari, ma parla con una rabbia secca, perché “i politici” li tratta con spregio: «se mi dai cinquanta euro porto i tuoi santini in tutte le case del quartiere dove la gente apre la porta solo se si fida». Gli dico che non ce li ho, e va via senza perdere altro tempo.
I colori della crisi si distribuiscono in migliaia di modi diversi nel mosaico dei quartieri, dei paesi e delle campagne, ma ovunque trovi sempre più gente che non vede più alcuna speranza che abbia il colore del gioco politico esistente. È una voragine sempre più vasta di non rappresentati, che riduce velocemente la porzione dell'elettorato che decide tutto, ormai una minoranza.
Chi vince vince, chi perde perde, e a chi è dentro quel gioco questo basta, fino a pronunciare dichiarazioni trionfalistiche. Eppure i dati sono evidenti: Forza Italia ha dimezzato l'elettorato, il PD ha perso un quarto degli elettori, le coalizioni dominanti hanno smarrito una marea di voti. Vince chi arretra di meno, un sorpasso all'incontrario, con una retromarcia turbo. La coalizione di Francesco Pigliaru, che per effetto della legge elettorale ha preso il 60 per cento dei seggi, li ottiene per essere arrivata prima con il 40 per cento dei voti espressi, che però corrispondono a meno del 25 per cento degli elettori complessivi. La democrazia non era nata in queste condizioni, non è mai stata come oggi. Chi non si allarma è un bieco irresponsabile. Voci autorevoli si levano per ammonire: questa è una vittoria fra le macerie.

Michela Murgia era consapevole di questa crisi e ha investito su una grande innovazione politica, la coalizione di Sardegna Possibile, che non voleva puntellare quel sistema (di suo già pronto a vincere fra le macerie), mentre voleva parlare alla “voragine” dei non rappresentati. Molti osservatori preconizzavano che con il nuovo sistema elettorale blindato che vige in Sardegna, elaborato da PD e Forza Italia, la terza forza sarebbe stata inevitabilmente ridimensionata, perché avrebbe funzionato l'eterno richiamo del “voto utile”: “non vorrete mica far vincere il governatore uscente e tenervelo per cinque anni? Votate noi, l'usato sicuro, anche se le ruote sono lisce, manca il parabrezza, facciamo fumo, ma sempre meglio di quel rottame di Ugo Merda”. Il richiamo ha funzionato su quella parte ancora sana dell'elettorato di centrosinistra, che però sente ormai la puzza inconfondibile dell'ennesima fregatura, essendo subito riprese le furibonde convulsioni di potere interne ai loro partiti, già il giorno dopo le elezioni. In questo quadro assurdo, un micro-partito della coalizione vincente, che ha preso lo 0,83% dei voti, ha eletto un consigliere.
Sardegna Possibile invece ha preso oltre il 10 per cento dei voti, strappandoli all'astensionismo, ma non ottiene nemmeno un consigliere. Siamo fuori dal consiglio regionale. La scommessa di conquistare la “voragine” al momento non è vinta, ma senza le nostre liste l'astensionismo avrebbe raggiunto livelli sconvolgenti. Rimane il compito immane di fare una ricognizione profonda e duratura di un'enorme terra di nessuno, che non vota più, ma potrebbe farlo, riconquistando la democrazia e rompendo la gabbia micidiale del bipolarismo. Non è questione solo sarda. Renzi e Berlusconi naturalmente vogliono impedirlo, prolungando le rendite di posizione del sistema “castale” al prezzo della distruzione dei partiti. A loro basta che si voti per il rito della democrazia, anche se a votare si rimane in pochi.
Ambire ad altro è anche una questione di sopravvivenza della democrazia.

14 febbraio 2014

Renzi il mentitore

di Pino Cabras.

Matteo Renzi è un mentitore pericoloso. Ha illuso milioni di elettori con la narrazione del Rottamatore, ma ha rottamato solo chi gli si opponeva, imbarcando ogni genere di boss e sotto-boss nella sua scalata (ai suoi comizi li trovi in prima fila).
Ha dichiarato solennemente di non voler andare a Palazzo Chigi senza legittimazione popolare, e intanto disegna ogni possibile scenario – incluso Palazzo Chigi - con un parlamento eletto con una legge incostituzionale, che Renzi vuole peraltro peggiorare con l'aiuto del Caimandrillo (con il quale – altra bugia per prendere i voti – diceva che non si potevano mai fare accordi).
Ogni linea di fiducia da lui ricevuta viene piegata verso il suo contrario.
Certo, Renzi ha un disegno. Ma questo disegno non è nelle mani di alcuno che gli abbia dato fiducia dal basso. È nelle mani dei veri potenti che detengono le cambiali politiche che Renzi ha firmato durante la fase ascendente della sua parabola.
In Sardegna qualche giorno fa il segretario del PD ha chiesto di dargli credito anche qui, candidando un renziano della prima ora come presidente della Regione. Dove finirebbe questo voto? Dove mai andrà il “voto utile” in mano a Renzi? In quale manovra di palazzo, in quale strategia dell'alta finanza verrebbe bruciato? In quale menzogna da Piano di rinascita democratica? Ogni complicità con il nuovo Sovversore dall'alto diventa intollerabile ogni minuto di più. In tanti saranno costretti ad aprire gli occhi, e a comprendere la differenza fra militanti e militonti. Ma hanno riflessi troppo lenti. La riscossa – a trent'anni dalla morte di Enrico Berlinguer - passerà da altre parti.









11 febbraio 2014

L'ALTERNATIVA C'E' - Il Cartoon delle elezioni sarde #SAR2014






DICONO CHE NON C'E' L'ALTERNATIVA.

La Sardegna è ciò che abbiamo, è la nostra casa. È terra, acqua, cibo. È bellezza. È patrimonio.
La casa dei nonni. La casa dei figli.
I troppo esperti ce la portano via pezzo dopo pezzo.
A loro i profitti. A noi i veleni.
La nostra casa non è un albergo di emiri, non è il prodotto interno lordo degli amici di Berlusconi e Renzi.
Vogliono continuare così, qui ed ora.
L'alternativa c'è.
Noi abbiamo altri traguardi. Ciò che è pubblico non è privato. Ciò che è bello non è di pochi. Ciò che lascia veleno si ripulisce. Ciò che dà lavoro è meglio del Job Act.
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Con i politici troppo esperti, si è impoverito anche l'uranio. Hanno riempito il giardino di casa di poligoni militari. Un po' di lavoro sotto il segno del cancro.
L'alternativa c'è.
Sospendere subito le attività militari. Chiudere i poligoni. Bonificare. C'è molto lavoro sotto il segno della pace.
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I politici, quelli con l'esperienza, hanno abbandonato le scuole. E ai ricercatori, hanno preferito gli spreconi. Non decidono loro, eseguono ordini da fuori.
L'alternativa c'è.
Un piano regionale per le scuole. Manutenzione, sicurezza, zero tagli di orario.
Portare a casa nostra chi ricerca il futuro.
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I politici, quelli con l'esperienza, hanno regalato le banche agli speculatori, e ora il credito è kaputt, vuole la nostra casa. Vogliono farci come in Grecia. Loro, ne sono capaci.
L'alternativa c'è.
Fare banche sarde, aiutare le imprese e l'autoimpiego. Il governo funziona quando conosce la moneta, e quando vuole la piena occupazione.
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Per una Sardegna Possibile, l'alternativa c'è.
Il 16 febbraio 2014 si elegge il nuovo presidente della Regione Sardegna e il nuovo consiglio regionale

Scegli Pino Cabras nella lista Comunidades, per Michela Murgia presidente

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Pino Cabras è candidato alle elezioni regionali nella lista Comunidades, per la coalizione Sardegna Possibile di Michela Murgia.
Sposato, due figli, laureato in scienze politiche, specializzato in relazioni industriali, quadro direttivo della SFIRS, è condirettore del sito www.megachip.info, autore di saggi di politica internazionale, co-fondatore del laboratorio politico Alternativa.

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3 febbraio 2014

La Sardegna che toglie le Basi alla guerra

di Pino Cabras.


Nelle polemiche elettorali di queste settimane, qualcuno ha smarrito gli argomenti seri. Il tema delle servitù militari in Sardegna, con il suo carico di sofferenze, morti, ingiustizie, devastazioni ambientali, è il più serio di tutti, il vero banco di prova per misurare serietà e coerenza in vista delle elezioni del 16 febbraio.


Pagliuzza e trave? Cinque metri e migliaia di kmq

Vedo molti commentatori in zona Pigliaru-Cappellacci con in mano la matita rossa. Annotano soddisfatti che Michela Murgia ha sbagliato nell'indicare il Bruncu Spina (1829 metri s.l.m.) come montagna più alta della Sardegna, in luogo di Punta La Marmora (1834 metri s.l.m.). Per cinque metri, centinaia di commenti. La vita è fatta di priorità.
Eppure, fra i campioni dei loro schieramenti, avrebbero potuto scoprire distrazioni geografiche ben più gravi. Avrebbero bisogno, loro sì, di un bel ripasso di geografia sarda, quella che conta, quella che scompare dai loro programmi, o si annacqua nella retorica, o si perde fra le minoranze pacifiste ininfluenti dei loro schieramenti (ben presidiati dai guardiani della Nato). La lacuna si misura in decine di migliaia di km quadri a mare, e in decine di migliaia di ettari a terra. Sono le superfici sottratte alla Sardegna per le attività militari, in una misura di gran lunga superiore al resto dei territori della Repubblica Italiana e senza paragoni in Europa. Cinque metri e migliaia di kmq, ecco le misure di pagliuzza e trave, nella Sardegna del 2014.
I poligoni militari dell’isola, oltre ai 14mila ettari di servitù, occupano 24mila ettari di demanio. In tutte le altre regioni messe insieme si raggranellano appena 16mila ettari. Qui si concentra dunque il 60% dei poligoni gestiti dalle forze armate italiane. La percentuale degli ordigni esplosi nelle esercitazioni sale all’80%, senza contare le esercitazioni di forze armate straniere non comprese in questo computo.
Sono numeri da paese occupato.
Gli effetti negativi riguardano non solo i poligoni, ma aree più vaste. Le polveri inquinanti viaggiano. Lo sa il vento. E in un paese occupato la regola è semplice: qui possono sperimentare in segreto ogni tipo di arma letale, affittando a caro prezzo le strutture, qui rimangono i veleni, ma i profitti volano via, altrove. I cosiddetti indennizzi di oggi sono spiccioli che d'ora in poi dovremo considerare un insulto.


Presenza militare massiccia e vita civile: una conciliazione impossibile

Nel periodo 2005-2010 ho fatto parte del Comitato Misto Paritetico sulle Servitù Militari (CoMiPa) della Sardegna, un tavolo istituzionale con il compito di esaminare i programmi delle installazioni militari per conciliarli con i piani di assetto territoriale della Regione. La legge 898/1976 che istituiva i CoMiPa - composti alla pari da sette rappresentanti dello Stato e sette della Regione - intendeva trovare un equilibrio fra esigenze molto diverse fra di loro. Alla fine della mia esperienza mi son reso conto che in Sardegna erano esigenze inconciliabili. Troppe le pretese dei militari, e troppo il loro potere, mentre erano senza schiena i partiti sardi.
Durante le riunioni e le tante missioni sul campo del CoMiPa, ho visto da vicino la mole sproporzionata del carico di attività e presenze militari che grava sulla Sardegna. L’impatto economico e ambientale è enorme: aree a perdita d’occhio off limits, rischi ambientali con sparuti controlli, superfici sottratte ad attività economiche connaturali a quei territori, popolazioni non coinvolte, accordi mai rispettati, altri accordi ancora segreti.
Un dato su tutti mi colpisce. Durante il dopoguerra, mentre tutti i comuni costieri sardi tendevano a raddoppiare la popolazione, il comune di Teulada la vedeva dimezzare, nonostante avesse alcune delle insenature più belle del Mediterraneo e una pianura nota come il Giardino, settemila fertilissimi ettari di paradiso agrario oggi ridotti a una landa devastata dai cingoli. I terreni furono espropriati e in molti casi ottenuti anche con l’inganno, quando ai contadini fu promesso – intanto che venivano caricati sui camion - che sui loro fondi sarebbe stata fatta la riforma agraria. Piccola pesca, un film di Enrico Pitzianti, racconta bene quel che rimane di questa piccola deportazione sconosciuta.
Il disastro ambientale registrato nell'ambito del poligono di Quirra, così come emerge dalle inchieste in corso, spiega che non c'è solo un problema di giustizia, ma una vera e propria emergenza, che richiede scelte politiche di grande portata. Quando la Germania fu riunificata, ottenne un programma comunitario per la riconversione economica e sociale delle aree dipendenti dalle produzioni e dalle presenze militari. Si trattava di vasti sistemi costruiti decennio dopo decennio, e furono riconvertiti in un tempo ragionevolmente breve, con consistenti risorse non solo nazionali. Perché internazionali erano state le cause di quel prolungato impatto militare.
In un altro emisfero, a Portorico, la dismissione di un grande poligono ha comportato la creazione di un Fondo da centinaia di milioni di dollari. Qualcosa di simile, e certamente molto più in grande, serve anche per la Sardegna, da subito. Più avanti vediamo come.
La chiusura della base per sommergibili nucleari USA di La Maddalena è avvenuta nei modi che sappiamo, e rappresenta il modo in cui non dovrebbe realizzarsi una vera riconversione. Dopo la fine dell’URSS sembrava più facile chiudere qualche base e allontanarci dall’Apocalisse nucleare. Viceversa la pressione militare non si allenta. Perché accade tutto questo? È una catena lunga di fatti e luoghi che va dal Mediterraneo all'Asia centrale, fra guerre, disordini, nuovi posizionamenti geopolitici. Le basi USA nel Vicino e Medio oriente sono cresciute anno per anno, la pressione sulla Russia è aumentata sempre di più, sin dentro il cuore dell’Asia, fino a un passo dal gigante risvegliato, la Cina, a sua volta avvisata che la pressione crescerà anche per essa. Per contro Russia e Cina danno segno di rispondere con un impressionante aumento delle spese militari e il rafforzamento della loro integrazione militare nella Shanghai Cooperation Organization.
Il fatto però è che il dio della guerra si vede scavare molta terra sotto i piedi dal dio del debito. Gestire un impero costa, e le enormi spese militari stridono con i tagli in altri settori. Si apre una contraddizione nella quale possiamo inserirci. È il momento storico giusto per cambiare il posto della Sardegna nel mondo, a partire dalla funzione militare.


Togliere le basi alla guerra

I candidati delle liste della coalizione che sostiene la candidatura di Michela Murgia alla presidenza della Regione Sardegna si sono confrontati in un focus group con gli attivisti che da anni si battono contro le basi e le servitù militari in Sardegna, nonché con i familiari delle vittime della “Sindrome di Quirra”. Ne è emerso un documento molto sintetico con obiettivi chiari e ben definiti, intitolato “La Sardegna toglie le basi alla guerra”. Ecco i punti in sintesi:
  • La Regione Sardegna in base alle leggi dello Stato richiede la sospensione immediata delle attività militari nelle quali si sono registrate patologie.
  • Convocazione di una commissione indipendente internazionale per la quantificazione dei danni economici, sociali, ambientali, sanitari e culturali.
  • La Regione si dovrà impegnare in tutte le sedi (compresa quella giudiziaria) per tutelare il popolo sardo e il suo territorio dai danni causati dalla presenza militare, anche attraverso campagne informative sui rischi.
  • Apertura della vertenza con le istituzioni italiane e sovranazionali per bonifiche, dismissione e riconversione.
  • La Regione dovrà gestire i fondi per la bonifica dovuti dall'inquinatore attraverso la creazione di una filiera integrata per nuove opportunità economiche.

Tutti i punti mi sembrano ugualmente importanti, ma attiro l'attenzione in particolare sul secondo e sul terzo punto, che mirano a un vero audit sui danni accumulati in sessanta anni e individuano un quadro di reati da perseguire. Una cosa che pochi sanno è che perfino gli stessi regolamenti Nato prescrivono che si bonifichino le aree interessate dopo ogni esercitazione. In Sardegna non sono mai stati applicati, generando un cumulo abnorme di bonifiche mai fatte. Si tratta di un fatto colossale, di portata internazionale. Già da solo basterebbe a svelare l'insensibilità e la complicità criminale di intere classi dirigenti italiane, molto attente a piazzare nelle classi dirigenti sarde un solido sistema collaborazionista, a sua volta attento a spegnere, annacquare, diluire le proteste.
Anche l'ultimo punto del programma merita molta attenzione. Finora abbiamo avuto poco lavoro sotto il segno del cancro. Ma possiamo creare tanto lavoro sotto il segno della pace.
Si dovranno promuovere progetti su scala internazionale:
progetti di recupero, riconversione e valorizzazione di siti militari dismessi e loro destinazione a vantaggio di imprese con piani coerenti o per finalità turistiche/ricreative e per interventi collaterali di infrastrutturazione, riassetto del paesaggio, piccoli interventi di abbellimento delle aree edificate, interventi di urbanizzazione primaria tesi a qualificare il tessuto urbano e ambientale (che non devono, però, rappresentare l'elemento preponderante dei progetti), e opere di urbanizzazione secondaria.
Obiettivi principali: Diversificare le attività economiche nelle zone dipendenti dal settore difesa, riconvertire l'economia ed agevolare l'adeguamento delle imprese sane, in tutti gli ambiti.1

Sono impegni che può perseguire soltanto una Sardegna governata senza gli ingombri dei politici appiattiti sulle esigenze degli occupanti militari.
Chi, da attivista anti-basi, si candida nelle liste di Cappellacci e Pigliaru avrà una sorta di diritto di tribuna che consentirà grandi declamazioni in materia, ma in mezzo a un deserto. Però non sposterà di un centimetro le coalizioni di Berlusconi e Renzi, che rimangono irremovibili macchine atlantiste, obbedienti agli ordini della Nato, e del tutto indifferenti ai nostri diritti.
L'unica novità potrà venire dalla forza che acquisirà lo schieramento che si raccoglie intorno alla candidatura di Michela Murgia alla Presidenza della Regione.
Il 16 febbraio l'alternativa c'è.


1 Azioni possibili:
          • Consulenza tecnica; costituzione di associazioni; azioni di cooperazione e creazione di reti informative; scouting risorse per risanamento, rinnovamento infrastrutturale e incentivazione di attività alternative.
          • Concorsi d’idee per la riqualificazione delle aree interessate.
          • Collegamenti con istituti e agenzie che a livello internazionale si occupano di riconversione dal militare al civile [ad esempio BICC – Bonn International Center for Conversion (creato dal governo del Nord Reno Westfalia); SIPRI – Stockolm Peace Reseach Institute; NCECD; OEA - Office of Economic Adjustment del Dipartimento della Difesa USA.