26 dicembre 2011

Draghi e i vampiri

di Pino Cabras – da Megachip.

 
Solo gli illusi, purtroppo ancora tanti e inguaribili, potevano sperare che il recente inserimento delle punte di diamante di Goldman Sachs nel cuore della sfera pubblica europea – Draghi, Monti e Papademos - non si sarebbe tradotto in una cuccagna per le banche e in una rovina per le classi medie.
Nessuno però arrivava a pensare che i protagonisti potessero essere così spudorati.
Ma finché avremo presidenti come Napolitano e copertine dell’Espresso che fanno di Napolitano “l’uomo dell’anno”, lo scandalo sarà sopito e troncato. Cos’è successo?
Mettiamola così. Ci viene imposto uno “stato di eccezione” che – dicono – deve “cambiare tutto”: niente di quanto abbiamo è acquisito, e ogni nostra sicurezza sociale deve poter precipitare dalla sera al mattino, per salvarci.
Viceversa, nessuna urgenza può scalfire le regole immutabili della Banca Centrale Europea. Ci descrivono il sacro.
E il sacerdote Mario Draghi lo ripete: non può prestare soldi agli Stati, non può comprare i buoni del Tesoro. Il debito non può essere ingoiato in modo diretto dalla sua moneta creata dal nulla. Può esserlo però in un modo indiretto, ad esempio prestando mezzo trilione di euro alle banche, affinché queste corrano ad acquistare i buoni dei PIIGS, maledetti maiali-cicala. Con l’idea che le banche paghino alla BCE un tasso dell’1%. E che gli Stati paghino alle banche interessi ben più corposi, fino al 7% e oltre: lucro per le banche, tagli per lo stato sociale, insostenibilità economica. L’Italia di Monti e Napolitano, insomma. L'Europa di Draghi.
Ma è possibile che nessuno si ribelli a questo controsenso? Cioè all’assurdità di essere impiccati al profitto preteso da chi dovrebbe solo fallire (se il famoso mercato esistesse davvero)?
Nel mondo alla rovescia ci dicono invece che non può esistere una cosa che funzionerebbe in modo più semplice e ci toglierebbe il cappio dal collo: da Francoforte potrebbero prestare quel mezzo trilione direttamente agli Stati, a tassi di interesse bassissimi. Agli Stati sarebbe risparmiato l’affanno di procacciarsi quella provvista sui mercati offrendo tassi d’interesse elevatissimi (insostenibili anche per un’economia in boom, figuriamoci per una in recessione). Lo spettro del default imminente e lo spettro dei rating sarebbero così debellati, e senza chiamare i ghostbusters. Specie se questi ghostbusters, i banchieri, sono essi stessi dei morti viventi, in termini di credito. Alle casseforti di Francoforte – per loro prodighe - le banche non hanno infatti da offrire granché in garanzia, se non “collaterals” buoni per pulirsi il culo. Ma Draghi non solleva nemmeno un sopracciglio.
E nemmeno Monti, che si è premurato di controgarantire la loro papiraglia - scoperta come una cabriolet - con un impegno del governo italiano.
È come la guerra: mentre nell’ordinamento civile la regola è non uccidere, in guerra è l’opposto. Allo stesso modo, la guerra dei signori banchieri mette in pratica comportamenti che normalmente sarebbero sanzionati con leggi penali. Per lorsignori, niente manette della guardia di finanza, il rischio è semmai di diventare uomini dell’anno.
E se tanto mi dà tanto, il quadro delle garanzie messo in moto dal governo Monti, lungi dal far calare il debito, lo ha incrementato, perché quel che dovevano garantire le banche lo garantiamo noi, in aggiunta a quanto già ci strozzava. Congratulazioni.
È il capolavoro di un’ideologia apparentemente anti-statalista, che arriva all’assurda intransigenza di non prestare a basso interesse agli Stati (le regole sacre della BCE), perché troppo comodo, troppo poco liberista. Ma che prevede che lo Stato copra tutte le acrobazie speculative terminali dei superfalliti.
Poi è successo che dall’Eurotower un fiume di liquidità si è dovuto ugualmente riversare a comprare titoli di stato lungo la sponda sud dell’Euro: le banche non si stanno scapicollando per acquistarli. Se il lupo non perde il vizio, punteranno ancora a qualche alchimia derivata per imbellettare i propri attivi, mostrarsi apparentemente più solvibili, e chiedere ancora più soldi, perché mezzo trilione di euro è ancora poco per le loro voragini.
Come a dire: i mercati non sono mercati. Siamo allo statalismo più assistenziale e classista che si sia mai visto, riverniciato con un’ideologia liberista. Centinaia di milioni di individui e famiglie, milioni di storie, intere classi, interi insediamenti sociali costruiti nel corso di generazioni, dovrebbero essere sacrificati al più costoso, inutile e disordinato programma assistenzialistico della storia, volto a salvare l’attuale assetto della finanza.
Le banche, il cui mestiere sarebbe assistere con prestiti e affidamenti chi investe sul futuro, non sganciano più nulla e anzi sono foraggiate. Una mostruosità.
L’obiezione che il denaro facile ha spinto gli Stati a indebitarsi troppo può essere abbattuta da una contro-obiezione: e il denaro facile elargito alle banche non le spinge forse a debiti che sono perfino multipli di quelli degli Stati? E c’è di peggio. Gli Stati, ormai colonizzati dai banchieri, coprono esattamente quel superdebito con garanzie che nessuno giustificherebbe a cuor leggero, se non Letta Letta.
Nel 2012 le scommesse impossibili appariranno nude: come calcola Aldo Giannuli, «nell’anno prossimo, fra titoli sovrani, obbligazioni di enti pubblici minori, corporate bond (debiti d’impresa), obbligazioni bancarie, scadono titoli per 11.000.000.000.000 (undicimila miliardi) di dollari. Faccio grazia degli spiccioli. Ve l’ho scritto con tutti i 12 zeri per farvi apprezzare la cifra in tutta la sua imponenza: si tratta di poco meno di un sesto del Pil mondiale e di circa l’11% dell’intero debito mondiale.»
Non saranno i giochetti degli ometti di Goldman Sachs che potranno salvarci dal debito. Prima ricollocheremo i loro comportamenti nell’ambito del penale, prima avremo speranza di risorgere.

18 dicembre 2011

La Depressione, la Distruzione Creatrice e la Guerra

di Felice Fortunaci – da Megachip.


Christine Lagarde, direttrice del FMI, va nel solco di quanto detto più volte negli ultimi tempi anche dalla cancelliera tedesca Angela Merkel. Due fra le figure istituzionali più potenti del mondo hanno dato via libera al ritorno della parola Depressione, e a tutte le paure economiche e politiche da essa richiamate.  Chi ha responsabilità pubblica a quel livello non accenna alla "possibilità" di un depressione se non c'è la concreta prospettiva di una "reale" depressione. La depressione, a differenza della recessione, non si presenta come una fase “ciclica” fra le tante del sistema capitalistico. È invece una notevole flessione di lungo periodo nelle attività economiche, per giunta in più economie di vari paesi.

Le preoccupazioni che nascono da una recessione vengono lenite dall’invocazione di una “ripresa”. Quando questa “ripresa” viene attesa invano come il Godot di Beckett in un mare di frasi assurde, allora è pienamente una “depressione”. Soprattutto se alla durata interminabile si accompagnano incrementi massicci e anomali dei tassi di disoccupazione, drammatiche strette creditizie collegate a crisi bancarie e finanziarie sistemiche, cali produttivi, fallimenti non solo di privati ma di debiti sovrani, nonché riduzioni nel commercio internazionale. Più la deflazione.
Ecco, la depressione, è uno scenario che sconvolge assetti politici e ne crea di nuovi. L’ultima volta in Occidente portò a tassi del 30% di disoccupazione, e al diffondersi dei fascismi.
Come se ne uscì è controverso nella storia disegnata dagli economisti, anche se molti pensano che avesse ragione Schumpeter. Si organizzò una «distruzione creatrice» (quando si dice "si" organizzò non ci si immagini qualcuno che fa piani segreti: si arrivò per la forza delle spinte cieche degli interessi e delle dinamiche intrinseche ai sistemi geografici - politici - economici e culturali).
La distruzione fu la Seconda Guerra Mondiale, la creazione furono i successivi gloriosi trent’anni, quel periodo che va dal 1945 al 1975 (o poco prima).
Identificare se si tratti di recessione o depressione cambia la percezione delle cose. Se ci illudiamo che sia recessione avremo anche noi quella sorta di fiducia messianica («tanto poi le cose s'aggiustano») che va da Mario Monti a Vendola, fino a insinuarsi addirittura in chi anima i Comitati No Debito.
Se invece interpretiamo quel che accade con lo schema della depressione economica, le implicazioni sono molto più spaventose.
S'impone infatti un problema grosso ed imminente, la sparizione del lavoro e del reddito, la base stessa della cittadinanza.
Un problema sistemico che le ideologie neoliberali aggravano, ma che si pone come un enigma irrisolto anche per chi critica il sistema economico e politico. La macchina non funziona più, e non funziona per tutti.
La Grande Depressione che seguì il 1929 fu effettivamente risolta solo con la II Guerra Mondiale, non con il keynesismo, che venne attuato dopo, nei primi decenni del ciclo sistemico di accumulazione statunitense aperto da Bretton Woods.
La Grande Depressione del 1929 era il secondo atto della crisi sistemica del ciclo di accumulazione ad egemonia britannica. La crisi di questo ciclo iniziò con la Grande Depressione 1873-1896, che sfociò nella finanziarizzazione della Belle Epoque e poi nella I Guerra Mondiale (preludio alla seconda).
Il concetto di distruzione creatrice di Schumpeter è stato visto tipicamente come un fatto economico. Si distrugge, così si può ricreare: si distrugge il vecchio così si può creare il nuovo, ad esempio con l'innovazione.
Ma ha anche un’altra valenza (che però era solo implicita nell'economista Schumpeter):  è anche una distruzione di un assetto geopolitico mondiale per dar luogo a un assetto differente.
In entrambi i casi si ha a che fare con il meccanismo, vitale per il capitalismo, di «conquista di “esternalità”».
Queste esternalità sono nella Società (forza-lavoro), nella Natura (trasformata in innovazione di prodotto), ancora nella Natura per accaparrarsi le materie prime, nella Geografia per conquistare mercati e risorse.
Ebbene, oggi queste esternalità sono in evidentissima crisi. Scarseggiano. Sono insufficienti per limiti naturali (picco del petrolio, inquinamento, etc.), difettano per via di limiti geopolitici (enormi spazi geografici - e quindi naturali - sono sotto la giurisdizione di enormi stati-nazione continentali, India, Cina, Russia, Brasile, e delle loro aree d'influenza).
Per farla breve, se vogliamo fare un paragone, con le bolle di Reagan-Clinton (bolla finanziaria e bolla new economy) abbiamo vissuto una seconda Belle Epoque finanziaria. Poi le bolle sono scoppiate. Hanno tentato di rigonfiarsi succhiando dai debiti sovrani.
Dopo l'11 settembre 2001 è come se fossimo arrivati alla I Guerra Mondiale (Afghanistan, Iraq, Libia, Yemen, Somalia, Siria, e il resto della tabella di marcia del Pentagono spifferata dal generale Wesley Clark).
E allora, quant’è grande ed estesa questa Depressione? Ogni crisi sistemica è in scala più alta delle precedenti, ogni crisi sistemica ha bisogno di maggiori risorse delle precedenti per essere risolta capitalisticamente, ogni crisi sistemica ha però a disposizione minori risorse fisico-socio-geografiche delle precedenti.
Ne segue che potremmo essere di fronte ad una III Guerra Mondiale prima di quanto si possa pensare.
O si affronta di petto il problema assieme a chi ne è più consapevole, oppure faremo solo i buoni samaritani movimentisti. Nessun proposito politico ed economico può ignorare in quale quadro geopolitico andrà a collocarsi. Richard K. Moore avverte: «È una scacchiera multi-dimensionale, e con una posta in palio cosi alta, si può esser certi che il tempismo delle varie mosse sarà attentamente coordinato. E dalla forma complessiva della scacchiera, sembra che ci avviciniamo alla fine del gioco.»


Fonte: http://www.megachip.info/tematiche/kill-pil/7361-la-depressione-la-distruzione-creatrice-e-la-guerra.html.

9 dicembre 2011

Il Rigor Montis non è la soluzione



Per il debito ci sono alternative, e servono subito! Alcuni esempi.



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