31 ottobre 2011

Per una nuova indagine sull’11 settembre 2001

di Giulietto Chiesa - ilfattoquotidiano.it.
Mike Gravel, ex senatore dell’Alaska (noto per avere rivelato al mondo i Pentagon Papers, che documentarono l’inganno del Golfo del Tonchino, con cui l’America fu portata in guerra contro il Vietnam) e Ferdinando Imposimato, magistrato di gran parte delle inchieste italiane più scottanti contro l’eversione terroristica, annunciano due sensazionali iniziative:
- il primo con l’avvio di una procedura che potrebbe consentire di istituire, negli Stati Uniti, una Commissione d’inchiesta per riaprire il “caso” dell’11 settembre, dotata di poteri inquirenti e in grado di interrogare “sotto giuramento”;
- il secondo per chiamare l’Amministrazione Bush a difendersi, tra l’altro, dall’accusa di “concorso in strage” di fronte al Tribunale Penale Internazionale dell’Aja.
Lo faranno insieme, in pubblico, a Roma, il 3 novembre, alle ore 11 nella Sala delle Bandiere della rappresentanza dell’Unione Europea a Roma, via IV novembre, invitati da Gianni Vattimo, dall’ex senatore Fernando Rossi e dal sottoscritto (per inciso gli unici tre parlamentari italiani che hanno dichiarato in questi anni di non credere alla versione ufficiale della tragedia).
Immaginando le inevitabili geremiadi sul “complottismo” (ma definire Gravel e Imposimato in questo modo non sarà facile), vorrei qui riportare alcune citazioni di ben noti non complottisti DOC. Eccole:
Governatore Thomas Kean, presidente della Commissone ufficiale sull’11 settembre: “Noi pensiamo che la Commissione, in molti modi, fu costituita in modo tale da farla fallire. Perché non avemmo abbastanza denaro, non avemmo abbastanza tempo, e fummo nominati dalle più faziose persone a Washington”.
Membro del Congresso Lee Hamilton, co-presidente della stessa Commissione: “Io non credo un solo minuto che noi abbiamo ottenuto tutte le cose vere (…) La Commissione è stata istituita perché fallisse (…) la gente dovrebbe cominciare a porsi delle domande sull’11/9 (…)”.
Il commissario Timothy Roemer: Eravamo estremamente frustrati per le false dichiarazioni che stavamo ascoltando”.
Il senatore Max Cleland (che si dimise dalla Commissione in segno di protesta): “E’ uno scandalo nazionale”.
John Farmer, ex Procuratore generale del New Jersey, che guidò lo staff degl’inquirenti: “A un certo livello nel governo, a un certo momento (…) ci fu una qualche intesa, di non dire la verità su ciò che era accaduto (…) Io fui sbalordito per la così grande differenza tra la verità e il modo in cui essa veniva raccontata (…) I nastri dicevano una storia radicalmente diversa da quella che ci veniva raccontata, a noi e al pubblico per ben due anni (…) C’erano interviste fatte dal centro di New York della Federal Aviation Administration la notte del 9/11, ma quei nastri vennero distrutti. I nastri della CIA sugli interrogatori furono distrutti. La vicenda del 9/11, per dirla con un eufemismo, è stata distorta e fu completamente diversa da come andò effettivamente”.
L’incontro di Mike Gravel e Ferdinando Imposimato con giornalisti e parlamentari, italiani e europei, èaperto al pubblico.

24 ottobre 2011

Scoperta la rete capitalista che governa il mondo

di Andy Coghlan e Debora MacKenzie - newscientist.com.

Tratto da www.megachip.info.
 
Mentre le proteste contro il potere finanziario travolgono il mondo in questa settimana, la scienza sembrerebbe confermare i peggiori timori dei contestatori.
Un’analisi delle relazioni che sussistono fra 43mila corporation multinazionali ha identificato un gruppo relativamente piccolo di società, specialmente banche, che esercitano un potere sproporzionato sull’economia globale.  
I presupposti di questo studio hanno richiamato alcune critiche, ma gli analisti di sistemi complessi contattati da New Scientist sostengono che si tratta di uno sforzo originale inteso a sbrogliare i fili del controllo sull’economia globale.
Sostengono inoltre che se si avanzasse ulteriormente la spinta di tale analisi, essa sarebbe di aiuto per identificare i modi in grado di rendere il capitalismo globale più stabile.
L’idea che pochi banchieri controllino una grande porzione dell’economia globale potrebbe non essere una notizia agli occhi movimento Occupy Wall Street di New York né a quelli dei contestatori di altre parti (vedi le foto). Tuttavia, questo studio, condotto da un trio di teorici dei sistemi complessi presso il Politecnico Federale di Zurigo in Svizzera, è la prima ricerca che va oltre le ideologie, per identificare empiricamente una simile rete di potere. L’opera combina la matematica collaudata nel modellare i sistemi naturali con dati aziendali completi, per fare una mappa delle proprietà fra le multinazionali.
«La realtà è talmente complessa che dobbiamo rifuggire i dogmi, sia che si tratti di teorie cospirazioniste o di libero mercato», afferma James Glattfelder. «La nostra analisi è basata sulla realtà».
Studi precedenti avevano rilevato che un piccolo gruppo di multinazionali possedeva grosse fette dell’economia mondiale, ma essi includevano nella ricerca soltanto un numero limitato di aziende e omettevano le forme di proprietà indiretta, cosicché non erano in grado di descrivere quanto tutto ciò influisse sull’economia globale – né se, ad esempio, la rendessero più o meno stabile.
Il team di Zurigo invece è in grado: hanno estratto da Orbis 2007 – un database che classifica 37 milioni fra società e investitori di tutto il mondo – tutte le 43.060 multinazionali e le partecipazioni azionarie incrociate che le collegano. Quindi hanno costruito un modello che rappresentava quali società ne controllavano altre tramite reticoli azionari, e lo hanno abbinato ai ricavi di esercizio, per mappare infine la struttura del potere economico.
Il lavoro, che sarà pubblicato su «PloS One», ha individuato un nucleo centrale di 1.318 società con proprietà incrociate (vedi figura). Ognuna delle 1.318 aveva vincoli con almeno altre due o tre ulteriori società, e di media erano connesse a 20. Per di più, sebbene rappresentassero il 20% dei ricavi di esercizio a livello globale, i 1.318 evidenziavano di possedere complessivamente attraverso le loro quote azionarie la maggioranza della proprietà mobiliare mondiale e dell’industria manifatturiera– cioè dell’economia reale” – che rappresenta un ulteriore 60% dei ricavi di esercizio globali.
Quando gli studiosi hanno ulteriormente districato la ragnatela degli assetti proprietari, hanno scoperto che il grosso risaliva a una «super-entità» di 147 società ancora più strettamente annodate fra di loro – la cui proprietà era a sua volta interamente detenuta da altri membri della «super-entità» – che controllava il 40% di tutta la ricchezza nel reticolo.
«In effetti, meno dell’1 per cento delle società risulta in grado di controllare il 40 per cento dellintero intreccio», sostiene Glattfelder. La maggior parte è costituita da istituti finanziari. La Top 20 comprende: Barclays Bank, JPMorgan Chase & Co, nonce il Goldman Sachs Group.
L’esperto di macroeconomia John Driffill della University of London, afferma che il valore di quest’analisi non sta tanto nel vedere se un piccolo gruppo di persone controlli l’economia globale, quanto nelle suggestioni in merito alla stabilità economica.
La concentrazione del potere in sé non è né buona né cattiva, afferma il team zurighese, mentre le strette interconnessioni del nucleo centrale lo possono essere. Come ha potuto apprendere il mondo nel 2008, tali reti sono instabili. «Se una società si trova a patire delle difficoltà», dice Glattfelder, «il problema si propaga».
«È sconcertante vedere quanto le cose siano davvero connesse», concorda George Sugihara della Scripps Institution of Oceanography di La Jolla, California – un esperto di sistemi complessi che è stato consulente della Deutsche Bank.
Yaneer Bar-Yam, capo del New England Complex Systems Institute (NECSI) mette in guardia sul fatto che l’analisi presume che la proprietà equivalga al controllo, cosa che non sempre è vera. La maggior parte dei titoli azionari è in mano a gestori di fondi che possono controllare o meno le società che in parte posseggono. L’impatto di tutto questo sul comportamento del sistema, afferma Bar-Yam, richiede ulteriori analisi.
È cruciale, per via dell’identificazione dell’architettura del potere economico globale, che l’analisi possa aiutare a renderlo più stabile. Nell’identificare i tratti vulnerabili del sistema, gli economisti potranno suggerire misure in grado di impedire che futuri crolli si diffondano lungo l’intera economia.
Glattfelder sostiene che occorrerebbero regole antitrust globali, che ora esistono solo a livello nazionale, al fine di limitare le super-connessioni tra multinazionali. Bar-Yam dichiara che l’analisi suggerisce una possibile soluzione: per scoraggiare questo rischio, le imprese dovrebbero essere tassate per eccessiva interconnettività.
Una cosa però sembra non armonizzarsi con alcune delle asserzioni dei contestatori: questa super-entità è improbabile che sia il risultato di una cospirazione intesa a governare il mondo. « simili strutture sono comuni in natura», dichiara Sugihara.
In qualsiasi sistema a rete, i nuovi entrati si connettono preferibilmente a componenti già altamente interconnessi. Le multinazionali comprano azioni fra di loro per ragioni di affari, non per dominare il mondo. Se la connessione tende a raggruppare insiemi di società, così fa anche la ricchezza, ricorda Dan Braha del NECSI: «in analoghi modelli, il denaro fluisce verso i membri che hanno già le maggiori connessioni».
Lo studio di Zurigo, ribadisce Sugihara, «costituisce una solida prova del fatto che le semplici regole che disciplinano le multinazionali danno origine spontaneamente a gruppi fortemente connessi». O, come Braha precisa: «L’affermazione di Occupy Wall Street sul fatto che l'1 per cento della gente detiene la maggior parte della ricchezza riflette una fase logica dell’auto-organizzazione dell’economia».
Così, la super-entità potrebbe non derivare da una cospirazione. La vera questione, sostiene il gruppo di ricerca di Zurigo, è se possa esercitare un potere politico concertato. Driffill ha l’impressione che 147 sono ancora troppi per sostenere l’esistenza di collusioni. Braha sospetta che si sfidino sul mercato, ma agiscano insieme sugli interessi comuni. Resistere a modifiche alla struttura della rete potrebbe essere uno di tali interessi comuni.

Le prime 50 fra le 147 società superconnesse.

1. Barclays plc
2. Capital Group Companies Inc
3. FMR Corporation
4. AXA
5. State Street Corporation
6. JP Morgan Chase & Co
7. Legal & General Group plc
8. Vanguard Group Inc
9. UBS AG
10. Merrill Lynch & Co Inc
11. Wellington Management Co LLP
12. Deutsche Bank AG
13. Franklin Resources Inc
14. Credit Suisse Group
15. Walton Enterprises LLC
16. Bank of New York Mellon Corp
17. Natixis
18. Goldman Sachs Group Inc
19. T Rowe Price Group Inc
20. Legg Mason Inc
21. Morgan Stanley
22. Mitsubishi UFJ Financial Group Inc
23. Northern Trust Corporation
24. Société Générale
25. Bank of America Corporation
26. Lloyds TSB Group plc
27. Invesco plc
28. Allianz SE 29. TIAA
30. Old Mutual Public Limited Company
31. Aviva plc
32. Schroders plc
33. Dodge & Cox
34. Lehman Brothers Holdings Inc*
35. Sun Life Financial Inc
36. Standard Life plc
37. CNCE
38. Nomura Holdings Inc
39. The Depository Trust Company
40. Massachusetts Mutual Life Insurance
41. ING Groep NV
42. Brandes Investment Partners LP
43. Unicredito Italiano SPA
44. Deposit Insurance Corporation of Japan
45. Vereniging Aegon
46. BNP Paribas
47. Affiliated Managers Group Inc
48. Resona Holdings Inc
49. Capital Group International Inc
50. China Petrochemical Group Company

* Lehman esisteva ancora nel complesso di dati del 2007 usato.

 Traduzione per Megachip a cura di Pino Cabras

19 ottobre 2011

Uscire dalla crisi?

venerdì 21 ottobre, presso l’albergo di Santa Croce in Fossabanda, a Pisa, il circolo di SEL Pisa città ha organizzato una tavola rotonda sulla crisi economica e sul modo di uscirne senza distruggere la scuola, la sanità e i servizi sociali, creando lavoro e un diffuso benessere.

Ci si chiederà se è giusto che, per pagare il debito pubblico, il tenore di vita della popolazione debba diminuire e se è necessario, o giusto, pagarlo, il debito, in tutto o in parte. Se abbiamo bisogno di più Europa o di meno Europa; se stare nell’euro sia una scelta oppure una necessità; e di molto altro.
- “Uscire dalla crisi da sinistra” – venerdì 21 ottobre, in Pisa, albergo di Santa Croce in Fossabanda (Piazza Santa Croce in Fossabanda), ore 21:00, con:
- Sergio Cesaratto, professore ordinario di Politica economica all’Università di Siena, collaboratore di Economia e Politica e Sbilanciamoci;
- Pino Cabras, Direttore editoriale di Megachip.info;
- Alfonso Gianni, Comitato Scientifico Nazionale di Sinistra Ecologia Libertà;
modera:
- Michele Fortezza.

15 ottobre 2011

Come inventare un “casus belli” con un agente iraniano casinista


di Juan Cole.
Personalmente non capisco come i media commerciali americani possano riferire le cose che riporterò qui di seguito su Manssor Arbabsiar e poi continuare a ripetere con faccia tosta le imputazioni del governo USA sulla sua partecipazione ad un complotto ordito presso le alte sfere del governo iraniano.  
Sembra semmai piuttosto evidente che Arbabsiar sia molto probabilmente un caso da manicomio.
Ecco qua le 10 principali ragioni per cui costui non può essere la risposta iraniana a 007:
    • 10. Arbabsiar era conosciuto a Chorpus Christi, in Texas, “per essere un ridicolo demente”;
    • 9. Probabilmente a causa di un accoltellamento subito nel 1982, soffriva di un disturbo della memoria a breve termine;
    • 8. Perdeva continuamente il suo telefono cellulare;
    • 7. Non trovava mai le chiavi;
    • 6. Dimenticava continuamente il borsello e i documenti nei negozi;
    • 5. Era “praticamente disorganizzato”, ha sottolineato un suo ex socio d’affari;
    • 4. Nella sua attività di co-titolare di una rivendita di auto usate, perdeva sempre i documenti di proprietà dei veicoli;
    • 3. Arbabsiar, ben lungi dall’essere un fondamentalista islamico sciita, pare sia stato un alcolista; il suo soprannome è “Jack” per la sua passione per il whisky Jack Daniels;
    • 2. Arbabsiar non solo abitualmente beveva all’eccesso, ma si faceva di canne e andava a prostitute. Una volte disse ad alta voce in un ristorante che sarebbe tornato in Iran, dove avrebbe potuto avere una ragazza per soli 50 dollari. Era un uomo rozzo e fu anche sbattuto fuori da alcuni locali;
    • 1. Tutte le sue imprese d’affari sono fallite, una dopo l’altra.
La traiettoria discendente della vita di Arbabsiar, con la recente perdita del mutuo, di tutte le sue imprese e della sua seconda moglie, in linea con il suo evidente difetto cognitivo, mi fa pensare che potrebbe aver avuto un crollo che lo ha portato sino alla follia.
Ho ipotizzato ieri che Arbabsiar e suo cugino Gholam Shakuri abbiano fatto parte di una gang iraniana dedita allo spaccio di droga. Ma dopo che sono emersi certi dettagli riguardo il primo, non credo che possa aver fatto nemmeno questo. Anzi, adesso incomincio a vedere tutta questa storia come pura fantasia.
Che un mentecatto monumentale come Arbabsiar possa aver pensato di essere un agente segreto del governo è perfettamente plausibile. Sono sicuro che lui pensi un sacco di cose. Ma che lo fosse davvero non è minimamente credibile.
Okay, Qasim Soleimani, il capo della Brigata Qods, le forze operative speciali del Corpo di Guardia della Rivoluzione Iraniana, potrebbe non essere uno simpatico. Ma è un uomo così competente che gli ufficiali USA in Iraq credevano senza dubbio che egli fosse riuscito più volte a superarli e a sconfiggerli in quel territorio.
L’affermazione che Solemani abbia assoldato un incompetente ubriacone senza alcuna memoria e completamente disorganizzato come Arbabsiar nella più delicata e pericolosa missione terroristica mai tentata dalla Repubblica Islamica dell’Iran è roba da scompisciarsi.
Inoltre, ci sono tutte le ragioni per ritenere, come suggerito da Jeffrey Toobin, che Arbab sia stato incastrato in questo piano da un criminale, un narcotrafficante, al soldo del governo USA, che ha suggerito nella fase preliminare la maggior parte dei dettagli chiave ad Arbabsiar. Se quest’ultimo era un mentecatto come viene descritto dal rapporto del WaPo, avrebbe potuto essere particolarmente suggestionabile e quindi un soggetto perfetto da incastrare.

Qui non c’è nessuna connessione con l’Iran. Arbabsiar ha ricevuto 100mila dollari in bonifico da un paese terzo su quello che pensava fosse il conto del narcotrafficante messicano. I soldi non arrivarono direttamente dall’Iran. Anche se fossero arrivati da lì, non c’è ragione di pensare che fossero fondi del governo. 
Arbabsiar stesso valeva 2 milioni di dollari in Iran; per tutto quel che sappiamo, da quando si era perso nel suo mondo dei sogni, si stava preparando a spendere la sua eredità proveniente da Kermanshah per eseguire il suo folle disegno.

La denuncia del Dipartimento della Giustizia riferisce che Arbabsiar si vantava che suo cugino (Gholam Shakuri) era un “generale” in Iran, ma che lavorava in borghese all’estero e che “era stato alla CNN”.
Dato che due su tre di queste affermazioni sono evidenti bugie, perché dovremmo credere a qualsiasi altra cosa Arbabsiar abbia detto su suo cugino? Si noti come sia solo una congettura del Dipartimento di Giustizia che la descrizione di suo cugino fornita da Arbabsar suggerisca che sia un membro del Corpo di Guardia della Rivoluzione Iraniana. Lui non viene identificato in questo modo da Arbabsar, il quale dice semplicemente che è un generale che si muove in abiti civili. Non esiste un generale di questo tipo.

Dato che Arbabsar in tutta evidenza non afferra solidamente la realtà, accusare la Guardia della Rivoluzione Iraniana con queste affermazioni assurde e vaghe sarebbe cosa assai sconsiderata.
Sono francamente sconvolto dal fatto che Eric Holder (il ministro della Giustizia USA, Ndt) ci abbia apparecchiato questa succulenta cazzata, che ora viene usata per fare politica ai massimi livelli. Che un ex narcotrafficante messicano pagato dai contribuenti americani possa aver pensato di fare carriera intraprendendo giochetti cerebrali con un immigrato iraniano pazzoide non sorprende. Che si possano ficcare nella testa di Arbabsar fantasie di piani mirabolanti, se ci si lavora sopra, sembra quasi ovvio. Che qualcuno al Dipartimento della Difesa o dell’establishment della politica estera statunitense potesse prendere tutto questo sul serio non è plausibile. Ne concludo che sono dei disonesti e che è ora il turno di Obama di confezionare una guerra inventata per evitare di rassegnare la sconfitta, l’anno prossimo in questa stagione, nelle mani fresche di manicure di Mitt Romney. 

Traduzione per Megachip a cura di Cipriano Tulli e Pino Cabras.

13 ottobre 2011

Iran e complotti, lo scenario Brzezinski

di Pino Cabras – da Megachip.

 
Nello stesso giorno in cui a Washington tutte le massime cariche statali denunciano un «complotto» (dicono proprio così, e i media clonano la definizione all’infinito), ossia una cospirazione terroristica con base a Teheran perpetrata sul suolo americano, anche a Baghdad le stragi si sono intensificate ad opera di terroristi suicidi. Una giornata simile merita di essere accostata a un fatto accaduto qualche anno fa e passato quasi sotto silenzio. Si tratta di una dichiarazione eclatante resa da Zbignew Brzezinski alla Commissione Esteri del Senato USA il 1° febbraio 2007, quando paventava un «plausibile scenario per una collisione militare con l’Iran».
E cosa prevedeva questo scenario?
Guarda guarda, includeva «il fallimento [del governo] iracheno nell’adempiere ai requisiti [stabiliti dall’amministrazione statunitense], con il seguito di accuse all’Iran di essere responsabile del fallimento, e poi, una qualche provocazione in Iraq o un atto terroristico negli Stati Uniti che sarà attribuito all’Iran, [il tutto] culminante in un’azione militare “difensiva” degli Stati Uniti contro l’Iran»[1].
brzezinski listensBrzezinski, Segretario alla Sicurezza Nazionale con Jimmy Carter, è uno dei maggiori esperti e consiglieri di politica estera di numerose Amministrazioni americane, e appartiene a un’ala dell’establishment, che – pur conservando una visione imperiale della missione americana – negli ultimi anni ha teso tuttavia a mettere in guardia rispetto alla deriva bellica imposta dall’ala più ‘avventurista’, chiamiamola così, dell’establishment.
Nel 2007 la critica di Brzezinski puntava molto in alto, lamentando, sull’Iraq, «il fatto che le principali decisioni strategiche vengono prese in un circolo assai ristretto di persone, forse non più delle dita della mia mano. E sono questi individui che hanno preso la decisione iniziale di andare alla guerra». E nel caso dell’atto terroristico ipotizzato, era la prima volta che una voce americana di così straordinaria autorevolezza, considerava "plausibile" che qualcuno, in seno agli apparati di governo statunitensi, potesse organizzare un attacco contro gli Stati Uniti, in modo da attribuire poi il tutto a qualche nemico esterno e provocare una guerra.
Nel decennio post 11/9 sono ormai innumerevoli i casi di “attentati sventati” in cui la manovalanza terrorista era gestita da agenti provocatori dell’FBI. Il “complotto” dell’ultim’ora non fa eccezione.
Intanto, il club ristretto ed esclusivo dei decisori dell’Impero in crisi sta già tirando fuori anche oggi la vecchia macabra formula che recita che «tutte le opzioni sono sul tavolo», accompagnata dal mantra sull’Iran «principale sponsor mondiale del terrorismo». Le autorità iraniane, in risposta, hanno recitato un lungo rosario di nomi, i tanti scienziati nucleari uccisi in attentati da due anni in qua.
L’apertura di un nuovo teatro bellico sarebbe l’incubo di molti generali statunitensi. Non è un caso che fra i più recalcitranti rispetto all’opzione bellica ci sia il Pentagono, che si affretta a precisare, per bocca del portavoce John Kirby, che si tratta solo «di una questione giudiziaria e diplomatica».
Ultime resistenze dell’ala realista, che non pensa che la soluzione al logoramento delle forze armate segnate da dieci anni di guerre risieda nell’appiccare l’incendio di una guerra più grande ancora.
Il vicepresidente Joe Biden e il segretario di Stato Hillary Clinton invece prefigurano già una nuova escalation di sanzioni e misure militari, spalleggiati oltreoceano dal primo ministro britannico David Cameron e dalla petromonarchia dei piranha sauditi.
Brzezinski, se ci sei, batti un colpo.
********

Il testo integrale dell'audizione di Zbignew Brzezinski del 1° febbraio 2007 (in formato pdf):



[1]
Zbig censuré, «Dedefensa», 3 febbraio 2007.
http://www.dedefensa.org/article.php?art_id=3664

12 ottobre 2011

Imposimato denuncia gli Usa all'Aja: "Sapevano dell'11 settembre"

di Raffaele Gambari - affaritaliani.libero.it.
 
ESCLUSIVO. Il supermagistrato, già presidente della commissione Antimafia, sostiene che nei palazzi erano collocati una serie di ordigni e che l'intelligence americana non avvisò l'Fbi: “In tal modo lasciarono che gli attentati avvenissero eseguiti l’11 settembre 2001”.



Un avvocato italiano, l’ex giudice istruttore Ferdinando Imposimato, sta preparando una denuncia al Tribunale internazionale penale dell’Aja perché, a suo dire, pur sapendo che era in preparazione l’attentato alle Twin Towers la Cia non fece nulla per fermarlo.
Oltretutto, secondo il presidente onorario aggiunto della suprema Corte di Cassazione, che a suo tempo indagò sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, che ora assiste la famiglia come avvocato, titolare dell’inchiesta sull’attentato al papa in piazza San Pietro e già presidente della commissione parlamentare antimafia, le Twin Towers crollarono non soltanto per l’impatto dei due aerei dirottati dai terroristi di Bin Laden.
I periti esperti della Nist, un’agenzia federale di sicurezza degli Usa, che hanno svolto un'indagine sull’attentato, ‘’sanno che in quei due grattacieli erano stati collocati degli ordigni, così come in un terzo palazzo adiacente alle Torri Gemelle, la torre numero 7, che crollò su se stessa, come si vede in alcune riprese televisive, senza che in questa ci fosse un impatto con un aereo, come avvenne nelle altre due”.
L’ipotesi di reato che Imposimato, come rivela il magistrato ad Affaritaliani, ha intenzione di formulare “insieme con altri studiosi ed esperti nell’adire presso la Corte penale internazionale dell’Aja, attraverso il procuratore della Corte stessa, è di concorso nelle stragi che l’11 settembre del 2001 causarono 3.000 morti alle Torri Gemelle più altri decessi nell’attacco al Pentagono”.

Di questa storia di presunte commistioni tra servizi segreti statunitensi e Bin Laden, c’è una vasta letteratura internazionale. Fantapolitica o realtà? Di certo, come ha detto qualche giorno fa Imposimato parlando con alcuni giornalisti a Latina, a margine del quarto convegno nazionale dei giudici scrittori, dell’attentato alle Torri Gemelle se ne é discusso nell’incontro di “Toronto Hearings”, un tribunale internazionale indipendente, una sorta di Tribunale Russel, che si è riunito dall’8 al 12 settembre scorsi a Toronto, in Canada, composto da giudici internazionali, che ha ascoltato 17 testimoni.
A quell’incontro Imposimato c’era. Da qui la sua intenzione di ricorrere al Tribunale penale internazionale dell’Aja, lo stesso che ha arrestato e mandato sotto processo per genocidio gli autori dei massacri nella guerra di pulizia etnica in quei paesi sorti in seguito al crollo dell’ex Jugoslavia.
Imposimato, perché intende rivolgersi al Tribunale penale internazionale dell’Aja? “Perché diversi esponenti di vertice della Cia pur sapendo della presenza di terroristi nel territorio Usa fin dal gennaio 2001 provenienti dall’Arabia Saudita e considerarti come sospetti terroristi e pur sapendo che essi erano arrivati a Los Angeles dal 15 gennaio 2001 per addestrarsi sugli aerei da usare come missili contro edifici americani, non informarono l’Fbi, che è l’unico organismo competente a contrastare il terrorismo in territorio americano, in tal modo lasciando che gli attentati avvenissero eseguiti l’11 settembre 2001”.

Chi porterebbe come imputati e come testimoni in questo processo?
“Chiederò di ascoltare gli scienziati e i testimoni che sono stati sentiti nella Ryarson University di Toronto lo scorso settembre, che hanno dimostrato come nelle cosiddette Torri Gemelle e nella terza torre, la numero 7, siano state inserite dolosamente bombe e ordigni incendiari ed altri elementi idonei ad accelerarne il crollo. Ritengo che non aver impedito il verificarsi dell’attacco da parte di chi aveva il dovere di impedirlo, sia una gravissima colpa”.

Fonte: http://affaritaliani.libero.it/roma/imposimato-denuncia-gl-usa-all-aja-sapevano-dell-11-settembre-10102011.html?refresh_ce.




3 ottobre 2011

Un corso per capire la crisi

di Debora Billi.


Ci volevano i mitici traduttori volontari di Transition Italia ed Indipendenza Energetica, per mettere finalmente a disposizione del pubblico italiano il celebre "Crash Course" di Chris Martenson, che tanto successo ha riscosso in tutto il mondo nell'originale inglese. Il corso dura più di 4 ore, ed è stato suddiviso dagli infaticabili traduttori in una trentina di parti disponibili su YouTube.
Ma non fate come me, che odio i video (preferisco di gran lunga leggere) e ne rimando la visione da tempo: come sostengono gli stessi di Transition, se non ci sbrighiamo l'intero Crash Course potrebbe persino venir superato dagli eventi.

Read MoreDice Chris:
Il Crash Course integra temi diversi ed apparentemente scollegati in una unica storia. Discuteremo di Economia, Energia ed Ambiente, perche' e' dove questi campi si sovrappongono e si intersecano che la storia piu' importante di ogni generazione sara' raccontata.
Dopo aver sentito questa presentazione guarderete e penserete all'economia in una maniera completamente nuova. Vi daro' una struttura che vi permettera' di capire quello che per molte persone e' una materia molto difficile da capire.

Insomma, se amate dissertare (o trollare!) sui blog commentando questioni di catastrofi finanziarie, energetiche, economiche, sistemiche, ecologiche, è necessario che vi prepariate molto bene. Il Corso lo trovate qui.

Fonte: http://crisis.blogosfere.it/2011/10/un-corso-per-capire-la-crisi.html.