15 aprile 2011

ADDIO VITTORIO

di Pino Cabras – da Megachip - ARTICOLO AGGIORNATO.



Non hanno nemmeno aspettato il farsesco ultimatum che avevano inscenato. Vittorio Arrigoni, un uomo mite e coraggiosissimo, è stato ucciso. Con il contrappasso del soffocamento dopo il contrappasso degli occhi bendati, per giunta: per dirci - a tutti noi che in tanti paesi del mondo perdiamo un fratello - che saranno soffocate le voci libere, i corpi che respirano, gli occhi che vedono e non nascondono.
Gli israeliani bombardavano da due settimane la popolazione civile di Gaza, quel 13 gennaio 2009, quando scrissi con angoscia un articolo che denunciava una concreta e incombente minaccia alla vita di Vittorio Arrigoni. Vi ripropongo ora quel pezzo, perché aiuta a capire il lungo rodaggio della macchina preparata per stritolare l’attivista italiano, testimone del dramma di Gaza. L’articolo racconta di come nel 2009 certi ambienti "anti islamici" incitavano pubblicamente a ucciderlo. Oggi vediamo invece la drammatica conclusione nelle mani di islamisti fanatici. È assurdo questo passaggio di testimone fra carnefici così lontani e tra loro nemici?
Per chi ha studiato quali sono i veri obiettivi della galassia di terroristi più estremisti questa non può essere una sorpresa. La stessa Hamas era nata come creazione dell’intelligence israeliana, che voleva rendere permanente l’emergenza e dividere il campo palestinese, ma poi la creatura politica aveva seguito una traiettoria tutta sua che la rese irriconoscibile e meno malleabile. La fabbrica delle emergenze ha sfornato però nuovi prodotti, gruppuscoli sempre pronti ad alimentare la strategia della tensione, e con essa fomentare la totale militarizzazione dell’agenda politica. Colpisce sapere ad esempio che Azzām al-Amrīki, Azzam l’Americano, l’«anchorman» bilingue di quei “video di al-Qa’ida” costruiti con la stessa cifra stilistica del video in cui compare Arrigoni nelle mani dei “salafiti”, si chiami in realtà Adam Pearlman, e sia nipote di uno dei più eminenti esponenti della lobby dei falchi filoisraeliani in USA.
Il potere nel mondo post 11 settembre si è giovato ampiamente del terrorismo come instrumentum regni. Ha fatto passi enormi nel distruggere un ordinamento giuridico internazionale che ammetteva norme non basate sul solo diritto di potenza, inquinare i punti di riferimento concettuali per la definizione di ciò che è aggressione o tirannia o resistenza, far abdicare gli Stati dalla difesa dei loro prevalenti interessi nazionali a vantaggio di una coalizione dominata da interessi imperialistici, condizionare l’economia – vicina a un baratro finanziario – entro la gabbia delle priorità militari.
Il lavoro di Vittorio Arrigoni nel decennio post 11/9 va nella dimensione “micro”: è azione concreta e locale, nella Gaza assediata e massacrata, nella prigione a cielo aperto più grande del mondo, nel tiro a bersaglio per droni, fra i pescatori che non possono pescare, i muratori che non possono edificare, i bambini che non si possono curare. Ma è anche azione globale, racconto, narrazione, rivendicazione della verità, pacata polemica nei confronti dei silenzi e delle menzogne politiche e mediatiche che hanno dato forza all’incubo militarista del Sionismo Reale. Aprirà bocca, vorrà dire qualcosa su Arrigoni quel Roberto Saviano che si accompagna ai falchi israeliani e alla Casta politica, al quale Arrigoni diceva: «scendi dal carro armato dei carnefici, e vieni ad abbracciare le vittime»?
Mentre tutto il Vicino e Medio Oriente è ora soggetto a un immenso scossone, ovunque, molti conti saranno regolati. I ponti, in guerra, sono i primi a saltare in aria. Appena il 4 aprile scorso era stato ucciso Juliano Mer-Khamis, il  pacifista "al 100% ebreo e al 100% palestinese". La morte terribile di Vittorio "Utopia" Arrigoni, come molti amavano chiamarlo, annuncia un tempo drammatico, annuncia una fase diversa della vita politica in un'area vasta del pianeta. Dovete sentirlo questo pericolo, e capire l'enigma delle parole semplici che ci lasciano gli uomini giusti: Restiamo umani. Restiamo umani. Restiamo umani.

Quelli che vogliono ammazzare i testimoni della strage

di Pino Cabras, Megachip – 13 gennaio 2009.
L’incitazione è esplicita: uccidere un gruppo di persone, con nome e cognome, abitudini e idee, appartenenze politiche e immagini facilmente identificabili. Chiedono la collaborazione di delatori per completare le liste con gli indirizzi. La schedatura è esplicitamente rivolta ai militari, quelli israeliani, se non ci pensano altri killer, per facilitarli nell’eliminazione fisica di “pericolosi” bersagli: i nemici da colpire sono gli attivisti occidentali – infermieri e altri volontari - che lavorano e sono testimoni di quanto succede nei Territori occupati.
Tutto questo lo potete leggere in un sito web, gestito da un gruppo di estremisti, una sorta di Ku Klux Klan ebraico americano: Stop the ISM. Può essere di interesse far notare che fra i bersagli c’è anche un cittadino italiano, Vittorio Arrigoni, di cui abbiamo letto i toccanti reportage da Gaza. Il tenutario del sito è Lee Kaplan.
Kaplan è uno dei tanti agitatori fascisteggianti della pancia reazionaria americana, un coagulo che ultimamente ha preso piede sia nell’ambito dei movimenti cristianisti, sia nelle frange del fondamentalismo ebraico, ora uniti in un inedito oltranzismo anti-islamico.
In USA la saldatura fra questi ambienti si è rafforzata, tanto che Kaplan talora ascende anche al salotto buono, si fa per dire, dei talk show con la bava alla bocca, su Fox News.
Ma si rafforza soprattutto in Terrasanta.
I fondamentalisti ebrei controllano gli insediamenti coloniali più estremisti dei territori (come già si leggeva in un libro di Israel Shahak e Norton Mezvinsky, Jewish fundamentalism in Israel, London, Pluto Press, 1999). I fondamentalisti cristiani li appoggiano per accelerare l’avvento dell’Armageddon, la lotta finale fra il Bene e il Male, che proprio da quelle parti dovrà svolgersi.
Forse per portarsi un po’ di lavoro avanti, il signor Kaplan lascia briglia sciolta al sito per sollecitare l’eliminazione di Arrigoni e altri. Non senza profetizzare che il governo italiano non si preoccuperà più di tanto se qualcuno provvederà all’auspicata «rimozione permanente» del nostro connazionale. Lo ripetiamo: questi auspici criminali non appaiono in un forum semiclandestino, ma in un sito accessibile gestito da un noto personaggio pubblico.
Ora, dal momento che anche le forze armate israeliane non vogliono testimoni nello scempio di Gaza, e il nostro mainstream si è subito docilmente accodato rispettando il divieto, siccome l’unica voce ci giunge da Arrigoni, in tal caso facciamo due più due e fiutiamo un grosso pericolo. Abbiamo visto che lì non si va per il sottile, se già vengono bombardati ospedali, ambulanze, scuole, e se si prende di mira qualunque soccorso.
Mentre la conta dei morti ammazzati a Gaza si avvicina a quota mille, accade una cosa singolare. Il cumulo di cadaveri non si può più nascondere sotto un editoriale di Bernard-Henry Lévy, l’uso di armi orrende – che un domani vedrete proibire - nemmeno. I giornali nostrani cominciano timidamente a parlarne. Ma non in prima pagina e in apertura, come abbiamo fatto già diversi giorni fa su questi schermi, ma a pagina dieci e in taglio basso. Nascondere non si può. Ma diluire, questo sì. E questo i nostri grandi organi di informazione lo fanno benissimo. In attesa di chissà cosa, un successo politico militare, una chimera, la fine di Hamas. A che prezzo? È in atto la censura più sottile, ma questa sottigliezza non la salva dall’essere accostata alla censura più violenta e più minacciosa, quella che vuole colpire chi vuole salvare il popolo palestinese dalla sua distruzione.
Tanti intellettuali italiani indicano inorriditi il dito insanguinato del Movimento di Resistenza Islamico (Hamas), ma non vedono la luna desolata degli altri fondamentalismi che egemonizzano sempre di più la classe dirigente israeliana. L’idea che le forze armate israeliane difendano i Lumi contro la barbarie è un ideologismo foriero di tragedie, dal quale è bene liberarsi con un’operazione onesta di ricognizione storica e politica della memoria mediorientale. Il racconto di quel che accade ora è un passo fondamentale, con tutti i testimoni da rispettare.

L'ARTICOLO IN LINGUA INGLESE:
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14 aprile 2011

Restiamo Umani!



Ora che la vita di Vittorio Arrigoni è in estremo pericolo, dev'essere chiaro a tutti quanto sia decisivo fare il possibile per fermare le lunghe mani di chi manovra i suoi rapitori. E' in gioco una vita umana importante. E' in gioco la libertà di testimoniare. Sono in questione i diritti a ribellarsi contro le ingiustizie. A lungo minacciato di morte dai fiancheggiatori di ogni risma dello stato più bellicoso del Medioriente, Israele, Vittorio ha sinora trovato un enorme moto di solidarietà che ha ravvivato la sua instancabile battaglia per la giustizia e per la vita dei palestinesi. Oggi la minaccia diventa estremamente concreta, fisica, irragionevole, all'interno di un contesto disumanizzante. Valga sempre la frase con cui quest'uomo coraggiosissimo corregge la rabbia che nasce di fronte ai quotidiani rovesci della giustizia degli esseri umani: "Restiamo Umani".

12 aprile 2011

Terrore a Minsk. Cui prodest?

di Stefano Grazioli - East Side Report. Con Nota di Pino Cabras in coda all'articolo.


È stato un attentato terroristico quello che ieri sera ha scosso la capitale della Bielorussia. Una bomba é esplosa nella metropolitana, a pochi passi dal palazzo presidenziale dove risiede Alexander Lukashenko. Il bilancio, che potrebbe aggravarsi, è per ora di 11 morti e un centinaio di feriti.
È avvenuto tutto nell’ora di punta nella stazione di incrocio delle uniche due linee della metropolitana, proprio nel cuore della città. Lo stesso Lukashenko, accorso subito sul luogo della strage, è stato il primo a indicare come probabile la pista terroristica. Il presidente ha parlato di un atto per destabilizzare il regime e ha ipotizzato che sia stato organizzato al di fuori del Paese.
Finora la Bielorussia non è mai stata colpita da attentati terroristici in grande stile. Solo nel 2008 lo scoppio di una bomba artigianale aveva causato una cinquantina di feriti alla vigilia di un concerto, ma le circostanze non furono mai davvero chiarite. Lukashenko guida con pugno di ferro l’ex repubblica sovietica ed è stato rieletto nel 2010 tra proteste e repressioni.
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Ora il terrore arriva direttamente a Minsk. Resta da capire, dato che al momento non ci sono rivendicazioni, chi possano essere i veri responsabili. Qualche ipotesi a caldo:
A – Lukashenko. La teoria della bomba targata Kgb (quello bielorusso, quello russo si chiama ora Fsb, meglio ricordarlo) è la più classica: dopo le repressioni di dicembre, gli oppositori in carcere, l’economia alla canna del gas, la sanzioni dell’Unione Europa, gli screzi con Mosca, al presidente mancava solo l’attentato fai da te per poter dare un altro giro di vite e far precipitare il Paese nel terrore. A Lukashenko ormai non interessa più nulla né di Mosca né di Bruxelles, vuole il completo isolamento e dare ragione a chi lo chiama “l’ultimo dittatore d’Europa”. L’episodio del 2008 e quello del 2005 a Vitebsk potrebbero essere dei precedenti.
B – L’opposizione. Termine abbastanza vago, che racchiude una galassia ampia. Andrebbero fatte distinzioni. All’interno e all’estero. Definiamola quindi generalmente “radicale”: Dopo 16 anni di Lukashenko e di metodi gandhiani è arrivata l’ora di mandare segnali forti, senza pietà e rispetto per tutti quelli che hanno la disgrazia di vivere sotto lo stesso regime. Il presidente va abbattuto con una strategia che lo destabilizzi e l’unico mezzo per farlo, visto che sanzioni dell’Ue sono come l’acqua fresca, è quello di piazzare bombe in metropolitana.
C – Il complotto internazionale occidentale. Variante simile alla B, ma un po’ più sofisticata. Dato che Lukashenko è irrecuperabile e sta finendo nelle braccia di Mosca, meglio farlo saltare prima. Mandare gli F16 su Minsk non sarebbe politically correct. Destabilizzare il regime con ogni mezzo per sostituire il presidente alla prima occasione con qualcuno di più gradito. Strategia terroristica come antipasto e variante per un regime change colorato.
D – Il complotto internazionale russo. L’unico modo per non farsi scappare la Bielorussia è quello di utilizzare metodi rodati. Isolando e destabilizzando Minsk l’unica opzione per Lukashenko è quella di cadere definitivamente nella braccia del Cremlino. Mosca ha già offerto aiuto nelle indagini.
E – Al Qaeda. Qualcuno dal Caucaso è andato in vacanza a Minsk per fare un esperimento. Da ripetere poi in qualche altra repubblica ex sovietica limitrofa. Ucraina, tanto per fare un nome. A sentire i proclami, gli infedeli filorussi si annidano ovunque e i pretesti si trovano a ogni angolo di strada. Minsk come Mosca, Londra o Madrid.
Al momento, senza una firma, credibile e meno, è però difficile dare un vero giudizio. Quando e se arriverà una rivendicazione si potrà ragionare seriamente. Se non arriverà, si potrà in ogni caso riflettere con maggiore attenzione.

Fonte: http://esreport.wordpress.com/2011/04/12/terrore-a-minsk-cui-prodest/.



Nota di Pino Cabras per Megachip.
Le ipotesi di Grazioli sul gravissimo attentato di Minsk sono costrette a rincorrere ancora scenari tutti diversi. Non siamo a bocce ferme e tutto resta da capire. Ma almeno, da osservatore attento dell'Est Europa, Grazioli cerca di iniziare i passi per conoscere i fatti. Colpisce invece il divario fra la gravità dell'attentato, dodici morti in metropolitana, e la copertura giornalistica davvero minima dei nostri media, i quali, per episodi di gran lunga meno gravi, ma collocati in città vicine al cuore (e al portafoglio) dei media, in passato hanno subito dedicato prime pagine e acceso "breaking news" scatenate. C'è di fondo un problema più generale, una deriva, un autentico "provincialismo" del sistema mediatico occidentale, che non a caso ha perso molto terreno nella capacità di narrare il mondo. Di recente ad esempio il sistema è stato colto impreparato, senza corrispondenti e senza antenne sul campo, dal sorprendente sommovimento arabo. Anche sull'Est Europa la logica è "hic sunt leones": oltre certi confini non si fa nessuno sforzo conoscitivo. Notizie che andrebbero esplorate per capire sviluppi più vasti vengono bellamente ignorate.

4 aprile 2011

La riconquista dei beni comuni

Un doppio appuntamento a Cagliari e a Sassari.


Cagliari, 7 aprile 2011:


Sassari, 8 aprile 2011:

3 aprile 2011

Assad, parole da un paese sovrano

di Pino CabrasMegachip.  



Troppi “discorsi sul discorso”, e nessuno che abbia la possibilità di leggerlo davvero, quel discorso. Parliamo del discorso pronunciato dal presidente siriano Bashar al-Assad a Damasco al cospetto del Parlamento il 30 marzo 2011, e visto da milioni di telespettatori. Ve lo proponiamo perciò tradotto in italiano, in modo che possiate cogliere direttamente l’impostazione dei valori e degli interessi mobilitati dal leader della Siria. Prima che qualche esportatore di democrazia (per l’intanto esportatore di caos e uranio impoverito) proponga di trasformare anche la Siria in una poltiglia di disgregazione e soldataglia armata fino ai denti che spara dai pick-up, come l’Iraq e la Libia, sarà bene che si legga questo discorso dignitoso e sovrano.
Assad opera all'interno di un sistema di potere in un’area del pianeta in cui si concentrano spinte violentissime: non ha accenti gandhiani. Ma non può essere certo rappresentato dalla narrazione falsa e indistinta che nasconde le guerre imperialistiche dietro un’inesistente lotta fra democrazie e dittature. Non dimentichiamo che la nostra bella democrazia in questi giorni parla di “tsunami umano” per descrivere l’impatto di poche migliaia di migranti, mentre la Siria, dopo l’invasione imperiale dell’Iraq, ha dovuto accogliere un milione e mezzo di rifugiati che scappavano dalla macelleria del paese confinante, riuscendo a reggere tutto sommato bene il carico. Immaginatevi, per fare le proporzioni, 4 milioni di magrebini che si fossero riversati in Italia. Assad vanta un consenso reale e una collocazione politica autenticamente indipendente, il che gli ha fatto scegliere le priorità nazionali con altro spirito rispetto agli altri paesi del mondo arabo. Leggendolo, si può cogliere la certezza che non rientrerà nello schema che ha abbattuto o indebolito i leader di altri paesi dell’area. L’evoluzione della Siria sarà diversa. Si può intuire tuttavia la sua preoccupazione per le pressioni mediatiche (cita molte volte le “Tv satellitari”), a riprova che i social network hanno sì un peso crescente, ma il vero tessuto mediatico ha il filo di Al Jazeera, e i potenti lo sanno. A questa preoccupazione si aggiunge il lamento per le trame di potenze vicine e lontane all’interno del suo paese: «Diranno che crediamo alle teorie della cospirazione. In realtà non c'è alcuna teoria della cospirazione. C'è una cospirazione.»
Nel suo discorso, tutto rivolto in chiave interna, Assad non nomina direttamente i nemici a livello internazionale, né nomina gli amici. Sceglie il basso profilo. Ma possiamo ritenere che Russia e Iran, per diverse ragioni, siano una presenza importante nella rete di relazioni che vorrà preservare la sovranità del regno di questo leader prudente e attento.


Discorso al Parlamento siriano del Presidente Bashar al-Assad: Mercoledì 30 marzo 2011

Traduzione per Megachip a cura di Simone Santini.

assadgreetingSignor Presidente dell'Assemblea, signore e signori, membri dell'Assemblea del Popolo,

è per me un grande piacere incontrarvi ancora una volta in questa illustre istituzione, per parlare della situazione che coinvolge il nostro Paese e tutta la regione e per rivolgermi, attraverso voi, a tutti i figli della Siria; la Siria, che è nel cuore di ognuno di noi, castello invincibile, con le sue glorie, con la sua gente, in ogni provincia, città, villaggio.
Mi rivolgo a voi mentre viviamo circostanze eccezionali, eventi le cui conseguenze mettono a dura prova la nostra unità e la nostra stessa sopravvivenza. Si tratta di una prova che si ripete ciclicamente a causa della congiura permanente contro questo paese. Grazie alla nostra volontà , ai nostri legami solidali, ed alla volontà di Dio, ogni volta riusciamo a farvi fronte in un modo che non fa che aumentare la nostra forza e orgoglio. Il popolo siriano ha conquistato il diritto di tenere alta la testa.
Vi parlo dal cuore con sentimenti di orgoglio per l'appartenenza a questo grande popolo, con la gratitudine per il vostro amore, ma parlo anche con sentimenti di tristezza e dolore per eventi che hanno causato la morte di nostri fratelli e figli. È mia responsabilità tutelare la sicurezza di questo Paese e garantirne la stabilità. Questo rimane il pensiero dominante nella mia mente, il sentimento nel mio cuore.
So che il popolo siriano attende da alcuni giorni questo discorso, ma io l'ho appositamente rinviato per ottenere un quadro più completo della situazione, o quanto meno delle sue linee essenziali, e in maniera tale da sgombrarlo di quella retorica emotiva che può tranquillizzare taluni ma che non avrebbe prodotto alcun cambiamento né impatto in un momento in cui i nostri nemici lavorano ogni giorno in maniera organizzata, sistematica e scientifica, al fine di minare la stabilità della Siria. Ci rendiamo conto che essi hanno agito in modo intelligente, utilizzando metodologie molto sofisticate per le loro azioni, ma allo stesso tempo vediamo la loro stupidità per aver scelto come obiettivo un paese e un popolo contro cui le loro manovre non possono avere successo. A voi diciamo: avete un'unica possibilità, imparate dai vostri fallimenti, mentre il popolo siriano non ha che da imparare dai suoi successi.
Tutti voi conoscete i rivolgimenti che si stanno producendo nella nostra regione da qualche mese. Si tratta di importanti cambiamenti che avranno ripercussioni in tutta l'area, senza eccezioni, tra i paesi arabi ma forse anche oltre. Questo ovviamente riguarda anche la Siria, perché la Siria è parte di questa regione.
Ma se vogliamo considerare quel che ci riguarda direttamente, rispetto a quanto è successo finora sul più ampio scenario arabo, possiamo dire che quanto accaduto rafforza la prospettiva della Siria, nel senso che il nostro paese esprime un consenso popolare. Quando c’è un simile consenso dovremmo esserne rassicurati, si possa essere poi d'accordo o meno su talune questioni. Ciò significa che questa condizione popolare araba, marginalizzata per tre o quattro decenni, è tornata ora al centro degli sviluppi nella nostra regione a conferma che i popoli arabi, anche se hanno provato ad addomesticarli, non sono stati domati.
Per quanto ci riguarda, voi sapete che nei miei discorsi ho fatto spesso riferimento alla piazza araba, al fatto che essa ci indica la direzione, ci illumina su cosa pensa la gente. Molti, nei media, hanno reagito a questo con cinismo, e molti politici mi guardavano con sorrisi beffardi quando usavo con loro queste espressioni, particolarmente durante incontri in momenti in cui la Siria si trovava sotto grande pressione, e loro venivano a propormi idee contrarie ai nostri interessi o mi inducevano a cospirare contro la Resistenza [in tale modo sono chiamate le fazioni in Libano o Palestina che si oppongono ad Israele, NdT] o contro altri paesi arabi. Quando le pressioni si facevano più forti, io usavo quelle espressioni per dire loro: anche se io, personalmente, accettassi queste proposte, la gente le rifiuterebbe, e a quel punto rifiuterebbero anche me, per me sarebbe un suicidio politico. E loro mi guardavano e sorridevano, senza credermi. Oggi, dopo questi eventi, ho avuto diversi incontri durante i quali ho ripetuto quelle stesse parole, ma adesso, loro, assentivano con la testa e mi davano ragione.
assad21Questo è molto importante. E dal momento che i popoli arabi rifiutano di essere addomesticati e il loro cuore rimane indomito, dobbiamo lavorare ancora più duramente per sanare le spaccature nel nostro mondo arabo, e particolarmente in questo momento di cambiamenti nella regione, determinandoci a raggiungere insieme gli obiettivi. Per alcune questioni di fondo che riguardano tutti noi, in quanto popoli arabi, in particolare la causa palestinese, riteniamo - e spero a ragione - che i cambiamenti attuali possano mutare anche il corso assunto dalla causa palestinese, almeno rispetto agli ultimi due o tre decenni, nel senso di un passaggio da una condizione in cui si fanno concessioni ad una in cui si partecipa a diritti. Dunque, riteniamo che quanto sta accadendo possa avere ricadute positive.
La Siria non è isolata rispetto a quanto sta accadendo nel mondo arabo. Noi siamo parte di questa regione. Noi la influenziamo e ne siamo a nostra volta influenzati, ma allo stesso tempo non siamo una copia di altri paesi. Nessun paese è esattamente come qualunque altro. Noi, in Siria, abbiamo caratteristiche che ci distinguono da tutti gli altri, dal punto di vista interno ed esterno.
Sul piano interno, le nostre politiche si basano sullo sviluppo, l'apertura, la comunicazione diretta tra me ed il popolo siriano. Sto parlando di principi generali senza riferirmi ad aspetti positivi o negativi o ad obiettivi che possiamo o no aver raggiunto. In linea di principio, questi sono i pilastri della nostra politica interna.
La nostra politica estera si basa sull'attaccamento ai nostri diritti nazionali e a quelli panarabi, sull'indipendenza, sul sostegno alla resistenza araba quando è in atto un’occupazione. Il legame tra politica interna ed estera è sempre stato il cittadino siriano. Quando il cittadino siriano non è più il cuore della politica interna ed estera, ci troviamo davanti a una deviazione, e diventa compito delle istituzioni del Paese correggere questa deviazione.
Il risultato lampante di queste politiche è stato un caso senza precedenti di unità nazionale che è stata la vera forza che ha protetto la Siria negli anni passati quando le pressioni si sono intensificate contro di noi. Grazie a questo risultato siamo stati in grado di smantellare le enormi minacce poste contro la politica siriana. Siamo stati in grado di mantenere il ruolo e la posizione centrale della Siria. Ma questo non ha dissuaso i nemici. Comincerò a parlare della cospirazione attuale, e poi mi sposterò sulla situazione interna, di modo che le stazioni televisive satellitari non potranno dire che il presidente siriano considera tutto quanto è successo un complotto straniero. Dobbiamo cominciare con gli elementi principali e poi effettuare i collegamenti.
Il mantenimento o rafforzamento del nostro ruolo [come Nazione], sulla scorta di principi rifiutati da altri, ha determinato i nemici a fare del loro meglio per indebolirci attraverso altri mezzi. Ho sempre messo in guardia rispetto alla gioia per le nostre vittorie, perché il successo conduce ad una sensazione di sicurezza e compiacimento. Quando sei nel mezzo di una battaglia, tu sai chi è il tuo nemico, ne conosci i piani. Ma quando è finita, non sai quello che il nemico sta preparando. Così, dopo ogni successo dobbiamo lavorare duramente per difendere la vittoria e proteggerci da ogni cospirazione che potrebbe covare contro di noi nel mondo esterno. E sono sicuro che voi tutti sapete che la Siria sta fronteggiando un grande complotto i cui tentacoli si estendono da alcuni paesi stranieri, vicini e lontani, nonché dall'interno. Un piano che ha sfruttato la tempistica, se non la forma, di ciò che sta accadendo in altri paesi arabi.
Oggi vanno di moda le cosiddette “rivoluzioni”. Noi non le chiamiamo così solo perché è diventato un luogo comune farlo. Secondo tali schemi, se qualcosa accade in Siria è a causa del contagio: siccome c'è una rivoluzione da qualche parte, allora c'è una rivoluzione anche qui; c'è un vento riformista altrove, allora c'è anche qui. Gli strumenti usati sono sempre gli stessi: slogan e vuote chiacchiere sulla libertà. Di conseguenza, se da noi ci sono richieste di riforme – e credo che tutti noi siamo chiamati alle riforme – rischiamo di accodarci allo schema dominante senza capire cosa sta realmente accadendo. Ecco perché sono stati ingannevolmente miscelati, in maniera davvero furba, tre elementi. So che questi argomenti sono conosciuti dalla maggior parte delle persone che ci ascoltano, e da voi che le rappresentate. Tuttavia, ne discuterò ancora una volta, al fine di armonizzare i nostri concetti sulla base delle informazioni finora disponibili. Ci possono essere poi elementi che saranno rivelati in seguito. Così, dicevo, hanno mescolato tre elementi: sedizione, riforme, necessità quotidiane. La maggior parte del popolo siriano fa appello alle riforme, e nessuno di voi [Onorevoli] le ostacola. La maggior parte del popolo siriano ha qualche bisogno insoddisfatto, e noi tutti siamo qui a discutere, criticare, confrontarci, perché non abbiamo ancora risolto molti dei bisogni del popolo siriano. Ma la sedizione si è infiltrata tra gli altri due fattori, ha iniziato a guidarli e a nascondersi sotto di essi. Questo è il motivo per cui sono state tratte facilmente in inganno molte persone che in principio hanno manifestato in assoluta buona fede. Non possiamo dire che tutti coloro che hanno manifestato sono cospiratori. Questo non è vero, e noi vogliamo essere chiari e realistici.
I congiurati sono un numero ristretto, questo è naturale. Anche noi, nel governo, non sapevamo, come chiunque altro, e non capivamo cosa stesse davvero accadendo finché gli atti di sabotaggio non hanno iniziato ad emergere. Le cose, poi, sarebbero diventate più chiare. Cosa c'entravano i sabotaggi con le riforme? Cosa c'entrano gli omicidi con le riforme? Alcune stazioni televisive satellitari hanno cominciato a parlare di attacchi contro alcuni edifici un'ora prima che ciò avvenisse effettivamente. Come hanno fatto a saperlo? Leggono nel futuro? Questo è accaduto più di una volta. Poi, le cose hanno cominciato a diventare più chiare. Diranno che crediamo alle teorie della cospirazione. In realtà non c'è alcuna teoria della cospirazione. C'è una cospirazione.
È stato difficile per noi reagire contro questa situazione, perché la gente è venuta a trovarsi in mezzo tra la lotta contro la sedizione e l'aspirazione alle riforme. In linea di principio, noi sosteniamo le riforme e veniamo incontro ai bisogni del popolo. Questo è il dovere dello Stato. Ma non possiamo sostenere la sedizione! Quando il popolo siriano, con il suo innato patriottismo, ha avuto consapevolezza di quanto stava accadendo, tutto è diventato più facile. E la risposta in realtà è venuta più dalla gente di quanto sia giunta dallo Stato. Come avete visto, lo Stato ha evitato di agire e ha lasciato che fosse il popolo a rispondere [si riferisce alle manifestazioni oceaniche a favore dell'unità nazionale il giorno precedente al discorso, NdT]. Questa è stata la risposta più sonora, pacifica e patriottica, che ha restaurato l'unità nazionale molto rapidamente in Siria.
Quella che vediamo oggi è una tappa, e non sappiamo se si tratta di un primo stadio o di una fase avanzata. Ma il risultato finale che vogliono ottenere per la Siria è di un indebolimento fino alla disintegrazione, perché così verrà rimosso l'ultimo ostacolo che si trova di fronte ai piani di Israele. Questo è ciò che dobbiamo aspettarci. Non soffermiamoci sui dettagli, dobbiamo sapere che loro continueranno ancora e ancora a ripetere i loro tentativi, in un modo o in un altro. Ogni tentativo farà tesoro del precedente e dal fallimento si svilupperà una nuova esperienza. Allo stesso modo, quando vinciamo noi dobbiamo costruire su questa esperienza.
Sono stato consigliato da più parti di non entrare nei dettagli e di rimanere sul generale, ma ogni aspetto sarà reso noto, come normale, al fine di essere pienamente trasparenti.
All'inizio hanno cominciato a sobillare e incitare, molte settimane prima che scoppiassero i disordini. Hanno usato le stazioni TV satellitari e internet, ma non ha ottenuto nulla. Quindi hanno usato la sedizione, iniziando a diffondere informazioni false, voci, immagini... tutto falso. Poi hanno iniziato ad utilizzare l'elemento confessionale. Venivano inviati SMS verso i membri di un gruppo confessionale avvertendoli che un altro stava per attaccarli. E per essere credibili, hanno mandato persone mascherate nei quartieri in cui convivono gruppi confessionali diversi per bussare alle porte delle persone e dire che gli altri avevano già attaccato ed erano in strada, al fine di ottenere una reazione. E per un po' ha funzionato. Ma siamo stati in grado di stroncare la sedizione sul nascere grazie all'incontro tra le guide delle comunità che hanno diffuso la verità. Alla fine hanno usato armi. Hanno iniziato ad uccidere persone a caso, perché sapevano che quando c'è il sangue diventa più difficile risolvere il problema.
Non abbiamo ancora scoperto l'intera struttura di questa cospirazione. Abbiamo scoperto una parte di essa, ma sappiamo che è altamente organizzata. Ci sono reti di sostegno in più di una provincia, legate ad alcuni paesi stranieri. Ci sono reti mediatiche, reti di falsificazione e gruppi di "testimoni oculari".
Hanno cominciato nel governatorato di Daraa. Alcuni dicono che Daraa è un governatorato di confine. Io dico che se Daraa è sui confini, è al tempo stesso nel cuore di ogni siriano. E anche se Daraa non è al centro della Siria, è il cuore pulsante della Siria e di tutti i siriani. Questo è Daraa, adesso. Daraa è in prima linea con il nemico israeliano, ed è la prima linea di difesa per l'entroterra. Daraa, al-Qunaitira, e parte delle zone rurali di Damasco difendono le altre parti della Siria che si trovano dietro.
Ora, nessuno può difendere la patria e allo stesso tempo cospirare contro di essa. Questo è impossibile e inaccettabile. La gente di Daraa non ha alcuna responsabilità per quanto accaduto, ma anche loro, insieme a noi, condividono la stessa responsabilità di porre fine alla sedizione. In questo, noi e tutta la popolazione siriana siamo con Daraa. Il popolo di Daraa è gente con un genuino patriottismo, dotata di magnanimità e dignità. Sono vittime di poche persone che hanno voluto spargere il caos e distruggere il tessuto nazionale.
I cospiratori hanno i loro piani anche per altri governatorati. Come sapete, si sono trasferiti a Latakia e in altre città, con le stesse tecniche: omicidi, intimidazioni, incitamento. C'erano chiare istruzioni di non colpire nessun cittadino siriano. Purtroppo, quando i fatti si svolgono sulla strada, e il confronto è fuori dalle istituzioni, gli avvenimenti divengono fatalmente caotici, azione e reazione diventano la regola. Quelli che potremmo chiamare errori, situazioni contingenti, diventano una dominante, e la gente viene uccisa. Questo è quello che è successo, come voi tutti sapete.
In ogni caso, il sangue che è stato versato sulle strade è sangue siriano, e questo riguarda tutti noi perché le vittime sono nostri fratelli e le loro famiglie sono le nostre famiglie. È importante ricercare le cause e i responsabili di questi eventi. Dobbiamo indagare e portarli in giudizio. Quanto accaduto, comunque, è stato per preservare l'unità nazionale e non dividere i siriani. È stato per il rafforzamento del paese, non per indebolirlo, per porre fine alla sedizione, non per lasciare che divampasse. Cerchiamo dunque di agire il più rapidamente possibile per curare le nostre ferite e ristabilire l'armonia nella nostra grande famiglia e fare in modo che l'amore continui ad essere il legame che ci unisce.
In parte, ciò che è successo oggi è simile a quanto accaduto nel 2005. È una guerra virtuale. Dissi all'epoca che volevano costringerci alla resa muovendo contro di noi una guerra virtuale che utilizza i mezzi di comunicazione e Internet, anche se Internet non era così diffuso come oggi. Hanno cercato di farci sentire soverchiati e che la nostra unica scelta fosse quella di arrenderci senza nemmeno combattere. Oggi il principio è lo stesso. Vogliono farci incorrere in una sconfitta virtuale, ma con metodi diversi. Vi è una certa fibrillazione nel Paese, per ragioni diverse, principalmente per la richiesta di riforme. Per mezzo del caos, usando il tema delle riforme come copertura, utilizzando il settarismo per aizzare gli uni contro gli altri, ecco che la guerra virtuale è stata realizzata in un'altra forma. Nel 2005 abbiamo scongiurato la sconfitta virtuale attraverso la consapevolezza popolare. Oggi le cose sono ovviamente più difficili, sia perché Internet è più diffuso, sia perché gli strumenti sono più moderni. Ma la coscienza popolare che abbiamo visto è stata sufficiente a reagire molto rapidamente. Nonostante ciò, sostengo che non dobbiamo sentirci appagati per quanto abbiamo ottenuto. Abbiamo bisogno di rafforzare questa coscienza nazionale patriottica, perché è la vera forza che protegge la Siria in ogni frangente.
Tuttavia, vi è una questione essenziale. Siamo di fronte a cambiamenti regionali che avanzano come un'onda, e dobbiamo capire come affrontarla, da che parte mettere la prua. Nonostante quello che abbiamo detto di positivo circa le caratteristiche di questa onda, dobbiamo farci guidare da essa o dobbiamo piuttosto guidarla? Quando l'onda ha toccato la Siria, la questione è diventata fonte di preoccupazione per tutti noi. Dobbiamo sfruttare l'energia dell'onda secondo i nostri interessi. Dovremmo essere proattivi piuttosto che reattivi.
Io uso questa energia per spingere verso quanto è stato annunciato nei giorni scorsi, dopo la riunione del Comando regionale del partito Ba'th, quando abbiamo annunciato aumenti di stipendio e discusso in merito alla legge sui partiti politici e sulla legislazione emergenziale [attualmente il multipartismo in Siria non è ammesso, mentre è in vigore dal 1963 una legge che ha instaurato uno stato d'emergenza, NdT].
Sto cercando di spiegare il nostro pensiero. Non sto illustrando cose nuove, ma voglio far capire cosa stiamo pensando così da armonizzare le nostre visioni. In questo modo, quando succede qualcosa e noi conseguentemente prendiamo una decisione, tutti possono capire come lo Stato intende procedere. Spesso ci sono difetti di comunicazione. Ci sono cose che non sappiamo come promuovere: magari pensiamo che siano buone cose e invece sono mal interpretate.
Ebbene, noi dobbiamo affrontare le riforme in risposta ai nostri problemi o per dare una risposta alla sedizione? Se non ci fosse stata la sedizione non avremmo intrapreso queste riforme? Se la risposta è sì, significa che lo Stato agisce in modo opportunistico, e questo è male. Se sosteniamo che queste decisioni sono state prese sotto la pressione di un determinato evento o in seguito alla pressione popolare, questa è debolezza. E credo che se il popolo spinge il governo in seguito al clima di pressione del momento, non fa che assecondare le pressioni esterne. Il principio è sbagliato. Il rapporto tra governo e popolo non può basarsi sulla pressione, bensì sulle esigenze e bisogni della società, che altro non sono che i diritti della società. È dovere dello Stato far fronte a tali esigenze. Quando le persone chiedono i loro diritti, è naturale che il governo debba rispondere a queste esigenze, e farlo felicemente, anche se non fosse in grado di soddisfarle. Perché tutto dipende dal tipo di relazione che esiste tra governo e popolo, l'unica vera pressione che un funzionario di governo dovrebbe sentire è la mancanza di fiducia della gente in lui, la pressione della responsabilità che ha verso il popolo. E la pressione più grande di tutte è quella della coscienza nazionale e patriottica che abbiamo visto [in questi giorni]. È stata senza precedenti, e ogni volta ci sorprende di più. Sono questo genere di pressioni che ci costringono a pensare a come poter mostrare la nostra gratitudine a questo popolo, fornendo sviluppo, riforme, prosperità.
Le riforme annunciate giovedì scorso non sono una novità, erano decisioni della Conferenza regionale del partito Ba'th, già nel 2005. E c'erano due motivi per questo: uno è che il contenuto delle decisioni non è legato alla crisi, è legato al nostro bisogno di riforme. Quando abbiamo proposto queste idee nel 2005 non vi era alcuna pressione sulla Siria. Un anno prima, nel 2004, al vertice di Tunisi, che è stato il primo vertice arabo dopo l'invasione dell'Iraq, vigeva una condizione di collasso e sottomissione all'America. Gli Stati Uniti volevano imporci riforme e democrazia. Noi ci siamo opposti a questo progetto, al vertice arabo, ed è fallito.
Quando abbiamo proposto le riforme nel 2005, esse provenivano dai nostri bisogni reali e non erano dettate sotto pressione esterna. Quelle pressioni non avevano nulla a che vedere coi nostri interessi, ma con la resistenza, con l'Iraq, e con questioni di politica estera. Prima ho parlato dei tre elementi: sedizione, riforme, bisogni della gente. Penso che ciò che era necessario per porre fine alla sedizione fosse solo la consapevolezza popolare. Quanto alle riforme, esse sono già state avviate. Certo, ci sono stati ritardi, ma se ci sono ritardi vuol dire che sono effettivamente iniziate! Le riforme non hanno l'obiettivo di combattere la sedizione, perché il loro impatto è solitamente di lungo termine. Alcuni dicono che il governo ha fatto promesse a cui non sono seguiti fatti. Per rispondere a questo devo riassumere brevemente il processo di riforma dal 2000.
All'epoca illustrammo il piano a grandi linee, il quadro di tali riforme non era stato ancora definito. Appena due mesi dopo il mio discorso è scoppiata l'Intifada ed è cominciata la cospirazione contro la Resistenza, le pressioni hanno iniziato a montare. Poi ci fu l'11 settembre. L'Islam, i musulmani, gli arabi, eravamo tutti sotto accusa. Ci fu l'occupazione dell'Afghanistan e poi dell'Iraq, e alla Siria toccò pagare un prezzo per la sua posizione contro le invasioni.
Tutti sapete cosa è successo in Libano nel 2005 [in seguito all'omicidio dell'ex premier Rafiq Hariri, attribuito inizialmente alla Siria, e alla Rivoluzione dei Cedri, il contingente militare siriano si ritirò dal Libano, NdT] e poi la guerra del 2006 [guerra dei trentatré giorni tra Israele e Libano, NdT] e le sue ripercussioni, e la guerra contro Gaza alla fine del 2008. L'intero periodo è stato una sequela continua di pressioni. A questo si sono aggiunti i problemi che abbiamo avuto con i quattro anni di siccità che hanno danneggiato il nostro programma economico. Tutto ciò ha provocato un mutamento di priorità, e questo è un fattore importante. Ne ho parlato in più di una intervista, ne ho parlato con i media stranieri. Ho detto che questi eventi hanno cambiato le nostre priorità. Non mi sto giustificando, sto semplicemente spiegando i fatti e separando i dati soggettivi da quelli oggettivi. Quando parlo della siccità, voglio intendere che su quella non potevamo, come governo, farci nulla, ma ovviamente ciò non significa che non potevano essere adottate misure per migliorare l'economia. Quanti nel 2000 avevano dieci anni ora sono ventenni, ed è giusto che i giovani abbiano piena cognizione di questi fatti.
La massima priorità era diventata la stabilità della Siria, e ora siamo in una fase in cui possiamo apprezzare questa stabilità. L'altra massima priorità era legata alle condizioni di vita. Mi capita di incontrare molte persone, e il novantanove per cento delle conversazioni ruota attorno alle condizioni di vita. Ovviamente ci sono anche altre lamentele, ma le condizioni di vita rimangono l'elemento principale.
Questo non giustifica i ritardi su altre questioni, ma di fatto non abbiamo potuto concentrare i nostri sforzi su questioni politiche come la legge sullo stato d'emergenza o la legge sul multipartitismo. La ragione è che quando è in gioco la vita delle persone, non ci possono essere rinvii. Possiamo rimandare un proclama di partito per mesi o anche anni, ma non possiamo rimandare il cibo a colazione per i bambini. Possiamo rimandare taluni problemi che gravano sulla popolazione a causa della legislazione emergenziale o di altre misure giuridiche o amministrative, ma non possiamo protrarre qualcosa che causi sofferenze a un bambino quando i genitori non hanno abbastanza soldi per curarlo o perché il governo non dispone dei medicinali che gli servono. Questo è ciò a cui dobbiamo far fronte quotidianamente, e che anche voi membri dell'Assemblea del Popolo dovete affrontare.
Quindi è stato un problema di priorità. Nel periodo 2009-2010 le cose sono migliorate ed è stato possibile introdurre alcune di queste riforme. Per quanto riguarda la legge sul multipartitismo, il Comando regionale ha effettivamente elaborato una legge, ma non l'abbiamo ancora discussa. Ci sono stati ritardi, e lasceremo che su questo giudichi la gente. Ma se non avessimo voluto fare queste riforme, non ce ne saremmo presi carico nel 2005. Le cose possono procedere in ritardo a causa della burocrazia, di negligenze, o per altre ragioni. Siamo tutti parte di questo popolo e sappiamo come stanno le cose. È importante però spiegare a che punto siamo e conoscere il contenuto delle riforme. Ora c'è una nuova Assemblea del Popolo e nel prossimo futuro ci saranno nuove amministrazioni locali. Ci sarà presto un nuovo governo e una nuova Conferenza regionale. Quindi in questo 2011 vedremo nuova linfa e progrediremo verso un nuovo stadio. Abbiamo rinviato la Conferenza regionale proprio perché sapevamo di dover tenere conto di questi cambiamenti e avremmo potuto così presentarli alla Conferenza con nuova linfa in tutti i settori. Quello che voglio dire è che la riforma per noi non è una moda. Non è un riflesso di questa onda che sta investendo la regione. È quanto ho detto anche nella mia intervista al «Wall Street Journal» due mesi fa, quando i primi sommovimenti stavano cominciando in Egitto. Mi hanno chiesto: «Ha intenzione di introdurre riforme?». Ho risposto che «se non fossero già iniziate, e non avessimo già un programma pianificato, ormai sarebbe stato troppo tardi e non ci sarebbe stato motivo di sprecare il nostro tempo».
Molti funzionari, in particolare funzionari stranieri, sostengono che, sì, il presidente è un riformatore, ma quelli intorno a lui cercano di ostacolarlo. Dico loro che, al contrario, la gente intorno a me spinge fortemente per queste riforme. Quello che voglio dire è che non ci sono ostacoli, ci sono solo ritardi. Nessuno si oppone alle riforme, e chi si opponeva lo ha fatto per tornaconto personale e perché corrotto. Erano pochi e sono stati allontanati. La vera sfida è sul tipo di riforma che vogliamo. Questo è il motivo per cui dobbiamo evitare di intraprendere un processo di riforma col condizionamento di circostanze momentanee, altrimenti avremo risultati controproducenti.
Negli ultimi dieci anni abbiamo parlato di riforme, e la nostra riforma odierna dovrebbe da un lato riflettere gli ultimi dieci anni ma valere per i prossimi dieci. E non so se dovremmo stare troppo a pensare se questa onda ha cause maggiormente interne o esterne. Questo è il nostro pensiero. Potrebbero intervenire cambiamenti tali da rallentare la riforma, o accelerarla, oppure cambiare la sua direzione. Dovremo fare tesoro delle esperienze di altri paesi. La Tunisia, ad esempio, è stata molto istruttiva per noi, più dell'Egitto, e abbiamo inviato esperti per studiare quel modello e trarne insegnamenti. Quando la rivoluzione è iniziata, ci siamo resi conto che molte delle cause riguardavano il modo in cui la ricchezza veniva distribuita, non solo in termini di corruzione, ma anche in termini di distribuzione geografica. Questo è qualcosa che abbiamo cercato di evitare, e anche in futuro saremo chiamati ad una equa distribuzione dello sviluppo in Siria. In linea di principio, se non ci sarà una riforma questo avrà effetti distruttivi per l'intero paese, ma la sfida principale sarà capire di che tipo di riforma abbiamo bisogno, e ci sarà bisogno dell'impegno e intelligenza di tutti i siriani quando a breve cominceremo a discutere le leggi proposte.
Le misure annunciate giovedì scorso non hanno preso avvio dalla piazza, perché, come ho detto, il Comando regionale aveva già elaborato progetti sulla legge emergenziale e sul multipartitismo più di un anno fa. Ma ci sono altri progetti di legge che saranno discussi pubblicamente e poi passeranno al vaglio delle istituzioni competenti prima di essere approvati. Ci sono altre misure che non sono state annunciate giovedì: alcune di esse riguardano il rafforzamento dell'unità nazionale e altre sono relative alla lotta contro la corruzione, ai media e alla creazione di posti di lavoro. Questi provvedimenti verranno annunciati dopo che saranno stati attentamente approfonditi. Il precedente governo aveva iniziato a studiare questi temi e saranno una priorità per il nuovo. Ad esempio, gli aumenti salariali sono stati discussi durante un incontro con il team economico. Ho guidato quella riunione e abbiamo discusso tutto un pacchetto di provvedimenti economici, ma al momento solo la decisione sugli stipendi è stata presa. Altro seguirà.
A proposito di questo e dell'aumento agli stipendi di circa millecinquecento lire siriane, il governo aveva ricevuto delle richieste in tal senso che ha deciso di soddisfare. Circa un'ora fa ho ricevuto il provvedimento che ha definito la questione. Dobbiamo dare credito al governo per il lavoro fatto, di sua iniziativa, senza rispondere alle istruzioni di nessuno. Volevo solo che fosse chiaro ai cittadini siriani.
Spero che saremo in grado, nel corso del prossimo mese, di individuare le misure ulteriori che devono essere prese. E io vi chiederò [Onorevoli] un calendario per ogni misura. Sicuramente sia l'attuale Assemblea popolare che la prossima farà in modo di calendarizzare ogni provvedimento, perché ciò contribuirà a regolamentare il lavoro. Alcune persone mi chiedono di fissare una scadenza per i lavori dell'Assemblea del Popolo, ma su questo tema penso che prevedere un lasso di tempo determinato sia una questione puramente tecnica. Potrebbe essere fissato un tempo più breve di quanto sia necessario e in questi casi correre contro il tempo influisce sulla qualità. Credo che il nostro dovere sia fornire al popolo siriano le risposte migliori, non le più veloci. Vogliamo procedere rapidamente, certo, ma non per questo essere frettolosi. In ogni caso, sono sicuro che ci sarà qualche canale televisivo via satellite che dirà che tutto ciò non è sufficiente. “Sufficiente” per loro è solo distruggere il nostro paese e noi, semplicemente, questo non lo possiamo permettere. A proposito, non siate arrabbiati per quello che alcune emittenti televisive hanno fatto, perché alla fine sono sempre loro stessi a cadere nella trappola che hanno cercato di fabbricare contro di noi e il popolo siriano. Sono seguaci della menzogna al punto che finiscono per credere alle loro stesse menzogne e a cadere nelle loro stesse trappole.
Fratelli e sorelle, può darsi che non tutto il male venga per nuocere. Ma siamo esseri umani e di certo non ci può piacere quello che è successo. Non ci può piacere la sedizione, non le uccisioni, non lo stato di tensione. Ma le crisi possono essere una condizione positiva se saremo in grado di controllarle e uscirne vittoriosi. Il segreto della forza della Siria risiede nelle molte crisi che ha affrontato nel corso della sua storia, in particolare dopo l'indipendenza. Dobbiamo affrontare la crisi con grande fiducia e con la determinazione a vincere. Anche la preoccupazione potrebbe essere una condizione positiva se ci spinge ad andare avanti piuttosto che scappare perché quando avanziamo ci muoviamo con fiducia, mentre quando scappiamo rischiamo di inciampare e cadere. In tempo di crisi molte persone si affidano ad una soluzione, qualunque sia, mentre in realtà è meglio non avere alcuna soluzione se non si trova quella giusta. Questa è una delle lezioni che abbiamo imparato da queste crisi.
Abbattere la sedizione è un dovere nazionale, morale e religioso, e tutti coloro che possono essere parte della soluzione non possono sostenere il problema. Il Sacro Corano dice: «La sedizione è peggio dell'omicidio», così tutti coloro che volontariamente o involontariamente vi contribuiscono, si rendono complici dell'uccisione della Patria. Non c'è spazio alcuno per il compromesso o per evitare di schierarsi. La posta in gioco è la Patria. È in atto una grande cospirazione. Non siamo in cerca di battaglie. Il popolo siriano è pacifico, ama gli altri, tuttavia mai ha esitato nella difesa delle proprie cause, interessi e principi. E se saremo costretti alla battaglia, così sia.
Ricordate l'espressione “effetto domino" utilizzata dopo l'invasione dell'Iraq? Gli Stati Uniti pensavano, sotto la precedente amministrazione, che i paesi arabi fossero come tessere di un domino, per cui i piani prevedevano di colpirne uno e tutti gli altri sarebbero caduti in successione. Quello che è successo è stato l'esatto contrario: erano i loro piani ad essere come tessere di un domino, ne abbiamo colpito uno e hanno cominciato a cadere uno dopo l'altro. Questo accadrà di nuovo.
Dal momento che alcune persone hanno la memoria corta, gliela voglio rinfrescare ancora una volta dicendo che NON tutto ciò che sta accadendo è una cospirazione, li vedo appostati nei loro studi pronti a sparare commenti.
Quanto a voi, figli di questa grande Nazione, l'amore per il paese che esprimete giorno dopo giorno e più che mai in tempo di crisi, e che in modo particolare avete espresso ieri con manifestazioni di massa senza precedenti in tutto il paese, mi dà più fiducia e determinazione.
La vostra solidarietà e unità nella lotta contro la sedizione mi rassicura sul futuro e poiché negli slogan che avete scandito avete espresso la disponibilità a sacrificarvi per il vostro presidente, vi dico che la cosa più naturale è che sia il presidente a sacrificarsi per il suo popolo e la patria. Io sarò il fedele fratello e compagno che cammina a fianco del suo popolo e lo condurrà a costruire la Siria che amiamo, la Siria di cui siamo orgogliosi, la Siria invincibile per i suoi nemici.

Grazie mille

Fonte: http://sana.sy/eng/21/2011/03/30/339334.htm.

2 aprile 2011

Tempesta sulla Libia: un War Game profetico

di Giulietto Chiesa e Pino Cabras – da Megachip.


L'attacco franco-britannico contro la Libia pare non avesse niente a che fare con operazioni umanitarie di sorta. Infatti sarebbe stato programmato con larghissimo anticipo non solo rispetto alla rivolta che ha sconvolto la Libia, ma addirittura assai prima della sollevazione egiziana. Questa piuttosto sconvolgente circostanza emerge da un sito ufficiale legato a uno dei comandi dell’«Armée de l'Air», l’Aeronautica militare francese. Sono infatti le pagine del Comando della Difesa Aerea e delle operazioni Aeronautiche (CDAOA), con tanto di logo colorato dell'”Armée de l'Air” in bella vista, a regalarci la descrizione di un “War Game” poi puntualmente ricalcato dallo scenario libico di questi giorni.
Per chi volesse consultare tutte le informazioni che seguono (e sarà meglio farlo prima che il sito venga oscurato), ecco il link indispensabile: http://www.southern-mistral.cdaoa.fr/GB/index.php?option=com_content&view=article&id=54&Itemid=67. Il titolo e il logo contengono il nome dell'operazione in codice: “Southern Mistral 2011”. Il nome segnato dall’aggettivo inglese è lo stesso sia nelle pagine in inglese del 4 marzo 2011, sia in quelle anteriori  del 17 febbraio in francese. I francesi appaiono gl'iniziatori di fatto, oltre che gli “ospitanti”. Come si evince dai testi che qui sotto riportiamo, infatti, sono francesi tutte le basi impegnate nell'operazione “Southern Mistral 2011”.
southernmistral
Nella Presentazione, in homepage, si legge questa fenomenale descrizione che, se non fosse vera (come tutto il resto del sito) sarebbe davvero, come dice un adagio popolare, ben trovata.

«Il 2 novembre 2010 la Francia e la Gran Bretagna hanno firmato un accordo senza precedenti in tema di difesa e sicurezza. Componente di questo accordo è l'esercitazione Southern Mistral. Essa è programmata per il periodo dal 21 al 25 marzo 2011 e coinvolgerà diverse basi francesi.
In questa occasione le forze francesi e britanniche effettueranno operazioni aeree congiunte e uno specifico raid aereo (Southern Storm) che realizzerà una attacco convenzionale a largo raggio d'azione. Questa esercitazione bilaterale coinvolgerà oltre 500 addetti.»
Il sito non si limita a dare questa succosa informazione. Precisa, con dovizia di particolari, corredati di fotografie e dei descrizioni e dettagli tecnici, che proprio nel mese di marzo 2011 sono destinati all'operazione Tempesta del Sud una trentina di velivoli. Tra cui 6 Tornado GR4s della Royal Air Force, accompagnati da un aereo cisterna Vickers-10 e un Boeing E3D, mentre la Francia metterebbe a disposizione i suoi Mirage 2000Ds, 2000Ns, 2000 Cs. I famosi Rafale compaiono non in questo elenco ma nelle fotografie del sito, insieme a diversi tipi di elicotteri.
Viene anche precisato che il centro di comando che guiderà l'intera operazione è situato nella base aerea di Lione Mont-Verdun (sigla BA942). Ma, a quanto pare, non si progettava solo un raid in quota. Si parla di un commando di paracadutisti francesi “Air 20” (CPA20) che deve incontrarsi con un analogo reggimento britannico in quel di Digione, per effettuare operazioni di sincronizzazione e di azioni congiunte future. Parallelamente un altro reggimento britannico è atteso a Captieux per apprestare misure di polizia aerea elitrasportata. Lo scopo- viene precisato – sarà quello di colpire avversari «in lento movimento» a terra. Le immagini che stiamo vedendo in tv, che mostrano il tiro al bersaglio con missili contro i tank di Gheddafi sembrano la rappresentazione precisa di questi documenti.
E, a quanto pare, lo sono. Infatti è dallo stesso sito, sotto la voce in homepage di Conflict Summary, si può leggere il significato di quel “Southern” che compare nel titolo.
Si tratta di un paese immaginario, di nome Southland. Un paese con un governo “specificamente autoritario”, nel quale stanno accadendo cose stranamente vicine ai racconti e analisi che abbiamo letto sui giornali in queste settimane, quasi che chi ha scritto queste righe avesse la possibilità di guardare dentro una sfera di cristallo.
Seguiamo dunque questi lettori franco-britannici di fondi di caffè. «L'ex dittatore si è dimesso, trasmettendo i poteri a suo figlio. Da quel momento la politica del paese è divenuta più aggressiva; operazioni militari sono state lanciate contro il territorio francese. Prove dell'aggressione mostrano chiaramente la responsabilità di Southland in un attacco contro gl'interessi strategici francesi».
Naturalmente chi progetta un'offensiva, sia pure immaginaria, contro un paese immaginario, deve anche dotarsi di prove che “dimostrino” le colpe del nemico. Che deve essere severamente punito in tempi rapidi. Dunque «il presidente francese e il primo ministro britannico decidono di dare un'immediata e congiunta risposta a questa offesa», che si tradurrà in un «attacco convenzionale a lungo raggio contro un obiettivo strategico all'interno di Southland».
Aprendo infine la pagina degli scenari, si può leggere un'ultima curiosa spigolatura: dopo avere mostrato in dettaglio, con ampi disegni colorati, le collocazioni delle basi francesi impegnate, dove si porteranno le truppe britanniche, si scrive – anche in questo caso colpisce la lungimiranza degli autori – che la Francia «prende la decisione di mostrare la propria determinazione a Southland (in base alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, n.3003)».
C'è quasi tutto il necessario. L'unico errore, veniale, è il numero della risoluzione, che non poteva essere così alto alla data in cui il tutto sarebbe avvenuto. Infatti, dal testo del sito citato, emerge che l'attacco verso una “dittatura del sud” deve avvenire tra il 21 e il 25 marzo.
Resta solo un dubbio: ma questo Southland è proprio la Libia? Non potrebbe essere l'Egitto? Anche là il dittatore pensava di mettere al suo posto il figlio, ma alla luce degli avvenimenti successivi non si direbbe che gli strateghi parigini e londinesi a questo pensassero.
Lo schema era pronto, la mobilitazione rodata. Con poca fantasia, i militari francesi hanno chiamato la loro campagna di Libia con il nome di Opération Harmattan, che poi è l’appellativo di un vento tempestoso, una specie di Maestrale del Sud. Le coincidenze non sono sfuggite al parlamentare statunitense Dennis Kucinich, che in una lettera a tutti i suoi colleghi ricorda che «mentre i giochi di guerra non sono affatto rari, le somiglianze fra “Southern Mistral”» e l’attuale operazione «mettono immediatamente in luce la quantità di domande che rimangono senza risposta in merito ai nostri programmi militari in Libia». E aggiunge: «Non sappiamo da quanto tempo l’attacco alla Libia fosse in preparazione, ma dobbiamo scoprirlo. Non sappiamo chi rappresentano davvero i ribelli né come sono diventati armati, ma dobbiamo scoprirlo».
Una voce di minoranza al Congresso, quella di Kucinich. Ma nel nostro Parlamento queste domande finora non le ha fatte nessuno.
Le faremo noi, assieme a nuove domande e rivelazioni che presenteremo nei prossimi giorni, che disegneranno, dati alla mano, un quadro molto diverso dalla corrente raffigurazione di questa guerra.