29 gennaio 2010

28 gennaio 2010

Messaggi di Bin Laden: l'informazione inquinatissima

di Joël Cerutti - Le Matin

Alla fine, l'autenticità dei messaggi di Bin Laden viene parecchio attenuata.

I messaggi audio di Bin Laden possono durare fino a 50 minuti. Sono autenticati soprattutto da parte della CIA e dal canale panarabo Al-Jazeera. Altri esperti si mostrano più scettici.

Una voce minacciosa, una voce che rivendica, una voce che sarebbe quella di Bin Laden. L'ultimo messaggio minaccia direttamente Barack Obama, rivendica il fallito attentato del 25 dicembre scorso e promette nuovi «11 settembre» negli Stati Uniti.

Come quasi sempre, è stata Al-Jazeera a metterlo in onda il 24 gennaio. È ancora il canale panarabo ad avere formalmente identificato l'autore. A parte quest'ultimo, nessuno certifica la sua autenticità, Washington per prima. Almeno non questa volta...

Certezza aleatoria

Dopo gli attentati dell'11 settembre 2001, una sessantina di messaggi sono stati attribuiti a Osama Bin Laden e alla sua nebulosa. Ci possono essere degli anni senza alcun segno di vita (2005) e altri più prolissi: sette nel 2009, quattro nel 2008, cinque nel 2007 o quattro nel 2006.

Per la CIA, l'autenticità del primo messaggio audio, pubblicato da Al-Jazeera il Novembre 2002, non solleva dubbi. Una teoria ridotta a mal partito due settimane più tardi dai ricercatori dell'IDIAP (Institut Dalle Molle d’intelligence artificielle perspective) di Martigny (Canton Vallese, Svizzera) [2].

Seppure con i condizionali d’obbligo fra gli scienziati, il messaggio sarebbe quello di un impostore (vedi la scheda più sotto).

I loro software smascherano gli imitatori, per quanto possano essere talentuosi. «Si può facilmente ingannare gli esseri umani, ma è molto più difficile ingannare la macchina», ha sottolineato, nel 2002, il dottor Samy Bengio.

La CIA, di fronte all'IDIAP non ha mai mollato la presa e ha mantenuto la sua versione. Nel 2007, i servizi segreti degli Stati Uniti identificarono di nuovo con certezza la voce di Bin Laden in un video. Il leader di al-Qa'ida nominava Gordon Brown e Nicolas Sarkozy. Il che avrebbe fornito una data al documento e dimostrato che lui era ancora vivo.

Esistenza utile

Infatti, dal 2001, il decesso di bin Laden è stato annunciato almeno sei volte da parte di vari funzionari! La tesi difesa da molti giornalisti è che l'uomo che vale 25 milioni di euro (premio offerto dagli Stati Uniti per la sua cattura) ha perso il suo capitale di vita molto tempo fa.

E che, tanto da parte di al-Qa'ida quanto degli Stati Uniti, si mantiene uno spauracchio a buona garanzia di certi crediti. «Esisterà solo agli occhi di coloro a cui è utile», ha detto il giornalista Philippe Madelin sul sito Rue 89 [3].

L’accrocchio dei nastri? Per alcuni, come Kevin Barrett (famoso propagandista della teoria del complotto sull'11 settembre), su Internet è una vicenda assodata. Parla senza mezzi termini di film «pubblicitario realizzato dalla CIA» con un fantoccio bin Laden che pesa 20 o 25 chili in più rispetto all'originale. In questo mondo di propaganda, la questione fondamentale è chi si sta manipolando chi?

2002, bin Laden non è identificato

Su richiesta dell’emittente France 2, l’IDIAP nel novembre 2002 analizza una registrazione di Bin Laden. I software utilizzati per l'analisi e il riconoscimento vocale sono basati su una ventina di documenti. È questa la materia prima che consente l'analisi delle frequenze che porta ad algoritmi che certificano una firma vocale. I software identificano le sofisticazioni fatte in studio. Quando la qualità è ottimale, si certifica l'affidabilità tra il 97 e il 98%. Se il nastro è danneggiato o se non ci sono sufficienti campioni si scende al 70%. All’epoca, il dott. Samy Bengio dell’IDIAP lamentava la scarsa qualità delle registrazioni.

Fonte: Le Matin

Traduzione a cura di Pino Cabras per Megachip.

Note di ReOpen911.info:

  1. Vedi: Vétérans US : les États-Unis reconnaissent ouvertement que Ben Laden est mort depuis longtemps, 22 dicembre 2009 (in francese)
  2. Leggere la loro analisi (in inglese): http://web.archive.org/web/20030404223517/http://www.idiap.ch/pages/press/bin-laden-eval.pdf
  3. Ripreso su ReOpenNews : "Ben Laden : l’enquête-choc sur un «terroriste planétaire»"

25 gennaio 2010

La guerra ambientale c'è già

di Pino Cabras - da Megachip.

Pian piano, dopo il sisma di Haiti, alla periferia del sistema dell'informazione si comincia a parlare di terremoti causati dall'uomo, ormai ritenuto capace di progettare nuovi ordigni da dottor Stranamore. Come vedremo, la tecnologia c'è già.

I terremoti però accadono da sempre, e senza aiuti tecnologici. La stessa Haiti nella sua storia è stata colpita dalle scosse molte volte, e violentemente, anche in epoche in cui non esistevano nemmeno gli aerei.

Non furono certo armi a onde longitudinali (qualsiasi cosa questa parola significhi) a causare lo tsunami che nel 1908 distrusse Messina e Reggio Calabria. Gli esempi sarebbero infiniti, possiamo risparmiarci un ripasso alla storia dei terremoti.

Dobbiamo chiederci, allora, perché qualcuno non voglia più vedere la mano di un Dio Creatore nella tragedia di Port-au-Price, bensì la crudele volontà di un creatore umano.

Ha cominciato una tv venezuelana, ritenuta vicina al presidente Hugo Chávez, a ipotizzare – citando fonti riservate russe - che il terremoto haitiano sia stato causato da un'arma segreta statunitense. In un gioco mediatico di specchi, la televisione russa di lingua inglese Russia Today ha citato il servizio del canale di Caracas. Si sono aggiunti altri specchi, specie nel web, con titoli che addirittura attribuivano a Chávez frasi virgolettate in realtà mai pronunciate.



Va notato come la congettura si diffonda – al di là del credito che le viene dato – nei luoghi in cui si contrasta l'oligarchia mediatica anglosassone e la sua narrazione dei fatti. È proprio di questi giorni l'accesa polemica fra Pechino e Washington su Google e sull'intervento dei governi nel web. La divaricazione sul “soft power”, il potere soffice dei media, è destinata ad accrescersi. Sempre più difficile sarà il proporsi di una sola narrazione, come oggi, che descrive il proprio ruolo nel mondo come il più buono, importante, morale, come il solo punto di vista, il pensiero senza alternative, il vettore unico della cronaca e della storia. Si affacciano altre letture, altre visioni, da subito. Anche nel caso di Haiti.

E anche quando le visioni alternative non vanno verso la causa del terremoto, giudicano comunque le immediate conseguenze. Il ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov, ammonisce: «Parto dal presupposto che nessuno abuserà della situazione creatasi adesso per raggiungere qualche altro obiettivo che non sia la prestazione di aiuto al popolo haitiano». Tanta felpatezza da consumato diplomatico riflette preoccupazioni molto più allarmate. Basta osservare come vanno i soccorsi, oggi in mano USA, per capire che la priorità non è l'intervento umanitario.

I 15mila militari statunitensi sono la presenza più vistosa, ma non certo la più efficace, sul piano della protezione civile. Risulta sproporzionato proprio il peso della componente militare. Non sono agenzie civili a prendersi carico delle operazioni, ma lo US Southern Command (SOUTHCOM), il comando combattente per il Centro e il Sud America, alle dipendenze del Pentagono.

Il capo della protezione civile italiana, Guido Bertolaso, ha considerato del tutto inadeguata la gestione attuale del soccorso, condizionata dalle «troppe stellette». Abbiamo visto che vari cargo delle ONG internazionali carichi di medicinali non hanno potuto atterrare.

Abbiamo visto arrivare forze speciali, armate fino ai denti, dotate di elicotteri e mezzi blindati, mentre i carichi di derrate, acqua e medicinali erano dirottati sulla vicina Santo Domingo. I pochi aerei civili ammessi all'atterraggio se ne stanno sulle piste, e poco o nulla del loro bendidio esce da lì. Tanta presenza militare non pare giustificarsi nemmeno con le necessità di preservare l’ordine pubblico, visto che i saccheggi continuano, un po' come avvenne a New Orleans nel 2005 dopo l'uragano Katrina. Il governo locale è di fatto esautorato.

A un passo da Cuba e dal Venezuela, gli USA controllano militarmente una nazione invasa, posta in una posizione geopolitica rilevantissima. Il fatto si presenta anche in questi nudi termini. Lavrov e Chávez lo notano più di altri, dalle loro posizioni.

Con le nostre cognizioni abituali, questo fatto può essere letto in modo semplice: gli USA hanno colto un'occasione storica. Nel momento in cui gli Stati Uniti avevano già avviato un Roll Back, cioè un'offensiva politica, militare e diplomatica volta a fermare l'espansione di governi indipendenti se non ostili nel continente americano, una “Reconquista” di un po' di casematte imperiali, il sisma haitiano è una palla da cogliere al balzo. Non occorrerebbe premeditazione, basterebbe applicare pragmaticamente una nuova dottrina geopolitica, usando la struttura più pronta, quella militare.

Ecco, i sospetti - in questo quadro di schermaglie - sono sorti nel momento in cui si è scoperto che questa struttura militare era fin troppo pronta.

Un giorno prima del terremoto il SOUTHCOM conduceva un’esercitazione militare «basata su uno scenario che implicava la fornitura di soccorsi ad Haiti in conseguenza di un uragano». Lo rivela su un sito governativo Jean Dimay, funzionaria della DISA, un'agenzia high tech di coordinamento per il combattimento, un'emanazione del Pentagono. Ed ecco che un disastro ad Haiti poi avviene davvero, così che il SOUTHCOM «ha deciso di passare al reale» (go live), tanto da poter «intervenire ad Haiti velocemente, perché i sistemi erano già caricati sui pallets a Miami in vista dell’esercitazione che è stata cancellata».

Nessuna congettura potrebbe avere basi dimostrabili. Si può solo registrare l'ennesimo caso di un'esercitazione sulla quale va a ricalcarsi un evento reale, che riproduce in notevole misura il quadro che giustifica il coinvolgimento di importanti apparati. È successo massicciamente l'11 settembre 2001 negli USA. È successo con esattezza pedissequa il 7 luglio 2005 a Londra. Magari stavolta a Port-au-Prince era una coincidenza.

È però inevitabile che i grandi fatti militari, e il caso di Haiti lo è subito diventato, siano degli “osservati speciali”. Viviamo nell'epoca inaugurata da Hiroshima: si è accresciuta l'incidenza della scienza, che ha dotato le potenze militari di mezzi votati alle volontà di dominio più sfrenate, non importa quale vocazione democratica o pacifica dichiarino i leader politici.

Il generale Fabio Mini, ex Capo di Stato Maggiore della NATO in Sud Europa, autore di un saggio che racconta accuratamente scenari estremamente inquietanti (Owning The Weather: la guerra ambientale globale è già cominciata), durante un'intervista di qualche anno fa si dichiarò pessimista sul fatto che i possessori di tecnologie in grado di provocare terremoti si fossero astenuti dall'usarle.

E, cosa più importante, il generale Mini dava per assodata l'esistenza di tecnologie in grado di provocare gravi calamità ambientali, sismiche, climatiche.

La guerra ambientale, per Mini, si definisce come «l'intenzionale modificazione di un sistema ecologico naturale (come il clima, i fenomeni meteorologici, gli equilibri dell'atmosfera, della ionosfera, della magnetosfera le piattaforme tettoniche eccetera), allo scopo di causare distruzioni fisiche, economiche, psico-sociali nei riguardi di un determinato obiettivo geofisico o una particolare popolazione».

La guerra ambientale va di pari passo con la guerra psicologica e dell'informazione «che comprendono il cosiddetto denial: la negazione delle informazioni, dei servizi, delle conoscenze, degli accessi alle tecnologie e agli strumenti di difesa e salvaguardia. In materia di negazione la guerra ambientale può esprimere potenzialità enormi ed arrivare al cinismo disumano anche se condotta in forma latente e passiva».

L'Onu nel 1977 approvò una convenzione contro le modifiche ambientali, ma la ricerca e l'applicazione della guerra ambientale, ricorda Mini, è di fatto passata alla clandestinità. Tutto è diventato opaco, o peggio: metodicamente avvolto nella menzogna, al punto che tutte le dietrologie sul modo di condurre la guerra attuale diventano l'unico metodo di indagine plausibile per aggirare le bugie. Fa impressione leggere nelle pagine di questo generale che «qualsiasi teoria del complotto prima o poi si rivela fondata», o leggere che una parte delle migliaia di bombe atomiche esplose dai tempi di Hiroshima non erano sperimentazioni di guerra nucleare bensì altrettante messe a punto della «guerra sismica».

Le ipotesi sul terremoto intenzionale, nel caso di Haiti, restano solo speculazioni. Però, a sentirle formulare, fanno lo stesso sorgere questioni importantissime sulla natura della guerra attuale e le sue spaventose potenzialità, 65 anni dopo la prima bomba atomica.

La soglia superata a Hiroshima è la prima di una serie di soglie già oltrepassate. Ciascuno di voi lettori fortunatamente non ha sperimentato su di se una bomba atomica, ma sa che esiste. Ciascuno di voi non ha similmente sperimentato un terremoto artificiale, ma deve sapere che esiste. Nessuno di noi attualmente ha i mezzi per distinguere su questo argomento il falso dal vero. Ognuno può però iniziare a considerare necessario saperne di più, perché le guerre da molti decenni non si dichiarano, ma si combattono con mezzi sempre più sofisticati, dalla terra delle faglie all'aria dei media.


17 gennaio 2010

Gaffe Fbi: per invecchiare bin Laden usata foto di leader comunista spagnolo

da ilmessaggero.it. Con nota aggiuntiva di Pino Cabras.

Lo ha scoperto il quotidiano spagnolo El Mundo: in quel taglio di capelli e in quella fronte rugosa e spaziosa, aveva notato qualcosa di particolarmente affine a un politico iberico. E così, messa a confronto l'immagine diffusa dall’Fbi sull’attuale aspetto di Osama bin Laden, invecchiato e ingrigito, i giornalisti del Mundo hanno scoperto una foto elettorale di Gaspar Llamazares, ex leader di Izquierda Unida, il partito comunista spagnolo: e il Bureau - scrive El Mundo - ha confermato l'errore. In effetti - hanno spiegato dall'agenzia - chi ha utilizzato il programma informatico di ricostruzione dei tratti somatici ha cercato le foto su Google.

E non si sa come, non si sa perché i potenti mezzi investigativi Usa hanno scovato la foto di Llamazares e l'hanno ritenuta verosimile con quella attuale del "ricercato numero uno al mondo".

Il politico, ribattezzato oramai nel suo Paese "Osama bin Llamazares" ha chiesto al governo statunitense spiegazioni sull'accaduto.

Magari è anche un po' preoccupato: sul terrorista numero uno di Al Qaeda, c'è una ricompensa di circa 25 milioni di dollari ha chi fornisce informazioni sulla sua cattura. E vista la somiglianza...

Fonte: http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=87831#.


Nota di Pino Cabras:

L'articolo de Il Messaggero si conclude in modo ammiccante e cinguettante, ma forse c'è poco da ridere. Si conferma ancora una volta l'immane lavorio manipolatorio intorno all'allarme terrorismo.

Tralasciate pure gli incredibili video di Bin Laden con la barba bianca e poi nera.

Considerate invece per un istante un’incredibile rivelazione del Luglio 2007 – fatta da un generale di brigata americano, Kevin Bergner, alla giornalista Tina Susman – su un terrorista iracheno impersonato da un attore: «Il presunto capo di un gruppo iracheno affiliato ad al-Qā‘ida, è stato dichiarato non-esistente da ufficiali USA. I quali hanno chiarito che si trattava di una persona immaginaria creata per dare una faccia irachena ad una organizzazione terroristica straniera.» («Los Angeles Times», 20 luglio 2007).

Testuale. La dichiarazione sorprende, se si pensa che a marzo 2007 Abu Omar al-Baghdadi era stato dichiarato catturato, mentre a maggio fu dichiarato ucciso, e il suo presunto cadavere venne perfino mostrato alla TV di Stato irachena: "È stato utilizzato un attore iracheno per leggere le dichiarazioni attribuite a Baghdadi, da ottobre indicato come il leader dello ‘Stato Islamico in Iraq’, ha detto il generale di brigata dell’esercito USA Kevin Bergner. Bergner ha detto che la nuova informazione è venuta da un uomo catturato il 4 luglio, descritto come l’iracheno più alto in grado nello Stato Islamico in Iraq".

Il nome del terrorista mostro fu poi usato in altre giravolte vivo/morto.

Fiction, più che politica. Teatro dell’assurdo, anziché indagini e informazione. Il caso bin Laden-Llamazares aggiunge una nota buffa, ma non troppo.

«Queste nuove immagini sono un buon esempio di come i progressi nella scienza e nella tecnologia possono essere usati per assicurare alla giustizia un ricercato», aveva affermato appena un giorno prima dello scoop spagnolo un funzionario dell'Fbi.

Siamo in buone mani!


L'articolo su Megachip: QUI.


16 gennaio 2010

Haiti e le Generosità Fallaci

di Pino Cabras - da Megachip.
Aggiornato il 18 gennaio 2009

Ci scrive un lettore, Sergio, che ci chiede di commentare il fatto che gli USA sono sempre i primi a mandare aiuti umanitari, anche stavolta ad Haiti, e ci chiede anche di commentare la sua affermazione secondo cui i paesi islamici avrebbero il braccino corto e non si impegnerebbero mai ad aiutare altri paesi. Proveremo a spiegargli che il suo problema non siamo noi, ma i libri di Oriana Fallaci nel suo comodino. Seguiteci.

Leggiamo un po’ cosa ci scrive esattamente il lettore:

Salve, visto che spesso e volentieri vi scagliate contro gli Stati Uniti, i paesi occidentali ed il presunto tentativo ricorrente di instaurare un nuovo ordine mondiale, mi piacerebbe sentire un vostro commento sul fatto che sono sempre i primi nel mandare aiuti umanitari, come sta avvenendo per Haiti. Mi piacerebbe anche un vostro commento sul fatto che, a mia memoria, non mi risulta che nessun paese mussulmano si sia mai impegnato per lo stesso scopo ed abbia mai speso un centesimo in aiuti umanitari nel mondo. Grazie,

Sergio.

Bene, Sergio.

Il suo esordio dimostra che lei ci legge con un pesante pregiudizio di fondo, di quelli che - quando uno ne è affetto - non fanno capire una mazza di ciò che si legge.

Innanzitutto, noi non ci scagliamo contro gli Stati Uniti. Né ci scagliamo contro i paesi occidentali. Altrimenti sarebbe come dire che ci scagliamo contro noi stessi. Ospitiamo infatti articoli e interventi in stragrande maggioranza di autori occidentali, molto spesso statunitensi.

Cos'è la critica che facciamo al sistema della comunicazione e alle classi dirigenti di cui esso è espressione?

È critica al potere, ossia giornalismo, non propaganda, né fumo ideologico.

Critichiamo le sedi in cui c’è più potere, e che hanno perciò più diretta responsabilità per quanto accade nel mondo. La classe dirigente che ha una vocazione imperiale globale è un’élite transnazionale che tende a distinguersi dalle «nazioni» e non calca l’appartenenza a una comunità nazionale. Tuttavia teorizza la ‘Leadership Americana’.

Un inquilino della Casa Bianca rispetto a un altro può rimarcare di più o di meno la voglia di essere l'unico polo del mondo, ma il cumulo di potere più grande sta comunque lì, negli States. Inevitabile che molta opposizione s'indirizzi di conseguenza verso quella direzione, anche da dentro il perimetro occidentale, dove ci troviamo.

L’ex Segretario di Stato statunitense Madeleine Albright ha coniato una definizione del ruolo del suo paese che considero calzante: «noi siamo la nazione indispensabile». Occorrono gli USA per risolvere i principali problemi del mondo. Non si può porre rimedio neanche agli errori degli Stati Uniti senza gli Stati Uniti. Cosa succede se gli Stati Uniti non sanno fare questa riparazione? È una domanda fondamentale, oggi più che mai.

La preoccupazione che dovrebbe interrogare ognuno degli abitanti del pianeta parla di questo. Il baratro finanziario, militare, ambientale e morale di cui gli USA sono l'epicentro rischia di travolgere tutti, a causa dei limiti terribili di quella classe dirigente così potente. La fine di un impero non è mai indolore. Oggi è in gioco la sopravvivenza di ognuno di noi, perciò c'è da essere molto inquieti. Un loro fallimento trascinerebbe tutti. Ma anche far sopravvivere l'Impero con la guerra sarebbe una via senza uscita.


Io non so se lei ha sul comodino i libri diella quondam Oriana Fallaci, se li ha letti, o se ha semplicemente respirato questa pesante atmosfera di razzismo da “scontro di civiltà” che ha avvelenato i media nell’ultimo decennio. Di certo lei è un conformista, le sta bene questa grande “idea ricevuta”, questa invenzione ideologica, la “falsa coscienza” di un’identità occidentale giudaico-cristiana spontaneamente votata a opporsi all’Islam nel suo insieme. E quindi non sa e non vuole distinguere le sfumature necessarie della politica.

Ergo, lei si beve ogni fesseria dei media legati al potere, la loro cronaca che cancella la storia, fino a pronunciare un autentico sproposito quando dice che addirittura le «risulta» che i paesi islamici non abbiano «mai speso un centesimo in aiuti umanitari nel mondo». Lei lo sa che l'Arabia Saudita è fra i maggiori donatori per gli aiuti allo sviluppo, sia in termini di volume degli aiuti sia in proporzione al proprio PIL? In valori assoluti è stata per anni addirittura al secondo posto rispetto alla prima potenza mondiale. Non abbiamo nessuna simpatia per la monarchia saudita, ma - rispetto alle percentuali micragnose che l'Italia investe nella cooperazione con i paesi poveri - un italiano come lei dovrebbe riflettere un po' prima di spararle così grosse. I paesi OCSE dedicano in media lo 0,4% del loro PIL alla cooperazione. Arabia Saudita, Emirati Arabi e Qatar il 5% (cinque per cento!) del PIL. Gli USA lo 0,25%.

Allora Sergio, chi è accecato dall'ideologia?

Si può obiettare che i sauditi utilizzino gli aiuti per scopi politici, e che li indirizzino per egemonizzare la Umma musulmana. Vero. Ma anche gli aiuti esteri statunitensi seguono vie politiche: il paese di gran lunga più aiutato ogni anno con assegni da miliardi di dollari è Israele, non proprio il più bisognoso.

Ma veniamo ad Haiti. Per rimediare alla sua madornale ingenuità sulle vicende di Haiti le potrei proporre un articolo fresco di pubblicazione, scritto da Miguel Martinez, un italiano che conosce bene la situazione del Centroamerica, e non solo perché è di madre statunitense e padre messicano. Lo legga attentamente, e potrà inquadrare la solerzia degli aiuti di emergenza di oggi nell'ambito della storia di quel paese.

Scoprirà che Haiti è così povera proprio perché gli USA le hanno imposto un'economia coloniale che ha azzerato tutti i precedenti rapporti sociali. E questa imposizione è avvenuta sia con l'occupazione militare del paese per decenni, sia per il tramite di una dinastia di dittatori fra i più sanguinari dell'emisfero, i Duvalier. È da un secolo che quella è la periferia più sfigata dell'Impero, sotto la diretta responsabilità dell'Impero stesso. La Cronaca cancella la Storia? E' antiamericanismo tutto questo? Anche quando lo leggiamo da Martinez, o dallo statunitense Chomsky, o sulle pagine di «The Nation» nelle inchieste di Naomi Klein?

Vediamo migliaia di Marines che prendono possesso di Haiti Ground Zero. Ci auguriamo che riescano a dare sollievo alla popolazione colpita dal terremoto, ci mancherebbe.

Ho l'impressione però che nessun intervento umanitario potrà bastare per chi, come lei, fa ragionamenti così Fallaci.


Replica del 17 gennaio 2009:

Sig. Cabras,
Sono Sergio, il lettore messo alla gogna da lei e i suoi adepti, che hanno messo su facebook la sua risposta alla mia domanda. Innanzitutto non mi è piaciuto il tono tipo presa per i fondelli che ha usato nei miei confronti.

Detto ciò vorrei chiarire alcune cose:
-Innanzitutto non sono un fan della Fallaci, che ritengo esagerata nella critica all'Islam, anche se condivido alcune cose che scrive.
Ondepercui si risparmi le battutine sui libri nel comodino. Anzi le consiglio vivamente la lettura di "Censura" di Shahriar Mandanipour, scrittore iraniano, questo è quello che c'è sul mio comodino.

-Probabilmente ha ragione quando parla di pregiudizio nei confronti del suo sito. In effetti mi è bastato leggere qualche link sui fatti dell'11 Settembre per formarmi un giudizio affrettato. Ovviamente io non credo ad una sola parola di ciò che c'è scritto a proposito per un semplice fatto: agli Stati Uniti sarebbe bastato molto, ma molto meno per avere una scusa per attaccare l'Iraq e successivamente l'Afghanistan. E poi quando vi accusavo di essere anti USA ovviamente mi riferivo ai loro governi e non certo ai cittadini statunitensi. Infatti dalla sua risposta mi conferma quello.
- Si, ok probabilmente ci potrebbero essere degli interessi di mezzo, anche se Haiti è un paese talmente povero che non vedo cosa possano spremere gli Stati Uniti. Fattostà che comunque la si veda e la si rigiri sono sempre i primi in termini di aiuti in soldi, medicine, medici attrezzature ospedaliere, acqua, cibo etc. E ripeto che riguardo a questo tipo di aiuti (e non di aiuti allo sviluppo) gradirei essere smentito quando parlo di assenza degli Stati Islamici. Mi piacerebbe che lei mi mandasse dei link, dei video dei documenti che provino il contrario (non mi interessano articoli e commenti vari, voglio fatti tangibili)
- Riguardo la critica feroce all'Islam non posso che confermarla proprio per il fatto che una RELIGIONE non può essere repressiva, violenta contro l'individuo, ancora di più verso la donna. per non parlare delle aspettative dopo la morte con i soli uomini che godranno delle attenzioni di migliaia di vergini (cosa veramente vergognosa ed allucinante). Le faccio presente che sono ateo, quindi mi risparmi i suoi accostamenti verso il cristianesimo ed il giudaismo che non mi appartengono. Anzi ritengo la filosofia religiosa buddhista l'unica che possa rispecchiare il mio pensiero.
Detto ciò le consiglio di essere meno prevenuto verso chi non la pensa come lei ed anche meno supponente.
Saluti


Sig. Sergio,
la mia risposta a quella sua lettera così apodittica non era una gogna, sebbene abbia usato indubbiamente toni molto duri e qualche ironia, non rivolta a lei personalmente, che non conosco, quanto a un diffuso modo di ragionare, appartenente anche a persone informate e laiche. Mi riferisco a un modo di leggere i fenomeni mondiali secondo il luttuoso e fuorviante schema del Clash of Civilizations.
Può sembrarle supponenza la mia, ma trovo che sia invece supponente la pretesa di distillare il senso di milletrecento anni di storia musulmana e l'essenza dell'Islam dalla lettura di un romanzo bestseller, come fa lei. Le risparmio «le battutine sui libri nel comodino», d'accordo, ma lasci che le risparmi anche le ipocrisie e glielo possa dire come semplice constatazione: lei ignora cosa sia l'Islam. Totalmente. La sua idea di paradiso musulmano è completamente fuori dal mondo, è teologia da bancarella. Come è sbagliata la visione della religione islamica come repressiva e violenta contro l'individuo.
Nella nostra cultura, nell'immaginario occidentale, è rimasta l'idea quasi inestirpabile che la sottomissione islamica a Dio debba intendersi come una sottomissione cieca, una sorta di fatalismo integralmente passivo in rapporto alla volontà divina. Questo non è un tratto caratteristico della civiltà musulmana: un mondo variegato, multietnico, ricco di confessioni e dottrine di diverso orientamento. Ammesso che abbia prevalso un'ortodossia islamica, è stata proprio quella che ha voluto ritrovare al massimo grado la responsabilità individuale dell'uomo, la sua collocazione in mezzo al mondo, la sua scelta assoluta e libera nelle cose del mondo. Esattamente il contrario di quello che pensa lei e che raccontano i nostri media.
Ecco, i media. Quanti sono i corrispondenti dal mondo islamico nei media italiani? Da chi ci facciamo raccontare quel mondo? In mancanza di uno sguardo attento, partecipe, aggiornato, sopravvivono i pregiudizi millenari. Non gliene faccio una colpa, sia chiaro, non ce l'ho mica con lei. Io ce l'ho con la Rai che non racconta il Medio Oriente. Ce l'ho con i quotidiani che ci ammorbano di gossip e non hanno un corrispondente al Cairo, un inviato a Teheran o a Islamabad.
A un cittadino che non abbia interessi diretti legati a quel mondo, e che non abbia la tigna di volersi informare sfidando correnti contrarie fortissime, rimangono percezioni quasi totalmente falsificate.
Fino a questa sua testardissima convinzione, spinta fino alle corde del razzismo, convinzione che ora conferma nella sua seconda lettera, secondo cui L'Islam sarebbe incapace di esprimere “pietas”. Le piacerebbe che la smentissi, dati alla mano. L'accontento con due esempi.
Uno “tangibile”, come dice lei. Qual è l'evento più recente paragonabile per portata al terremoto di Haiti? Lo Tsunami del 26 dicembre 2004, no? Si legga la lista delle donazioni compilata dall'Onu: http://ocha.unog.ch/fts/reports/daily/ocha_R10_E14794_asof___1001171854.pdf.

Come vede, ci sono numerosi paesi ed enti islamici che hanno raccolto e stanziato somme molto ingenti, secondo il loro peso economico sulla scena internazionale.
L'altra smentita è più antica. È nel Corano, in un versetto molto aulico:

«La pietà non consiste nel fatto che voi volgiate la faccia verso Oriente o verso Occidente. La pietà è di chi crede in Dio e nel giorno finale e negli angeli e nel Libro e nei profeti e di chi dà le ricchezze per amor di Dio al parente, agli orfani, ai poveri, ai viandanti, ai mendicanti, per riscattare gli schiavi, è di chi compie la preghiera e di chi paga la decima e di chi rispetta una promessa, una volta che l'ha fatta, e di coloro che sono pazienti nel dolore e nella sofferenza e nel giorno delle avversità. Questi sono i sinceri, questi sono i pii».

Certo, i taliban non rientrano in questa descrizione. Né vi rientrano certi emiri dissoluti del Golfo. Come farebbero fatica a rientrare nello schema del buon cristiano i cattolicissimi capi di Cosa Nostra o l'Emiro di Arcore. Tutto il mondo è paese, nelle incoerenze criminali e politiche.

Di fronte a posizioni come la sua mi chiedo cosa renda così minaccioso l’Islam. Io credo che sia il fatto che l'Islam sa individuare i punti di crisi della nostra identità. A partire dalla memoria di noi stessi.

Per cinque secoli la centralità culturale dell’Europa si è basata su di una manipolazione trionfalistica della memoria, secondo cui la civiltà forgiatasi nel Rinascimento discendeva direttamente da Atene, da Roma e dal cristianesimo, il quale aveva preservato e unificato il lascito delle due antiche capitali classiche dello spirito. La verità è ben altra. La verità è che, se non ci fosse stata la mediazione dell’Islam, il rapporto vitale con la civiltà ellenica non sarebbe avvenuto, né avrebbe avuto luogo la “svolta scientifica” che ha fatto grande l'Occidente. Il merito dell’Islam è nelle grandi mediazioni tra continenti culturali separati tra loro: l’India, la Persia, la Grecia, l’Egitto, fino a lambire la Cina . Per circa mille anni l’Islam ha svolto per il pianeta il ruolo che in quest’ultimo mezzo millennio è spettato alla cultura dell'Occidente. E oggi l’Islam si trova a fare da spartiacque, da difficilissima cerniera tra il nord e il sud del pianeta: «nel versante che dà sull’Europa esso vive, in una drammatica alternanza di assimilazioni e di rigetti, il confronto con la civiltà tecnologica; nel versante che dà verso l’Equatore, esso assorbe le religioni tribali in disfacimento e probabilmente offre ai “dannati della terra” una prospettiva di emancipazione politica» (Ernesto Balducci, L'Uomo Planetario).

Quel che mi sforzo di fare - e che tutti qui vogliamo fare nel guardare alle informazioni - è di scomporre gli schemi di chi vuole alimentare le guerre presenti e future con identità culturali irriducibili e blindate. Lei afferma che «agli Stati Uniti sarebbe bastato molto, ma molto meno per avere una scusa per attaccare l'Iraq e successivamente l'Afghanistan», senza appoggiarsi all'11 settembre. Però l'hanno fatto: l'11/9 viene proprio richiamato di continuo. Nessuna guerra oggi sarebbe affrontabile solo “tecnicamente”. Ogni guerra è anche una “guerra della percezione” che deve dominare la psicologia di massa con le rappresentazioni più funzionali allo scopo bellico, profondamente manipolate.


14 gennaio 2010

L'ex zar dell'Atomica israeliana: l'Iran non è una minaccia nucleare

di Uzi Mahnaimi - timesonline.co.uk.

Un generale, a suo tempo responsabile delle armi nucleari di Israele, ha affermato che l'Iran è «molto, molto, molto lontano dal costruirsi una capacità nucleare». Il generale di brigata Uzi Eilam, 75 anni, un eroe di guerra e un pilastro dell’establishment della difesa, ritiene che all’Iran serviranno probabilmente sette anni per potersi fabbricare armi atomiche.

Le opinioni espresse dall'ex direttore generale della Commissione per l'energia atomica di Israele contraddicono le valutazioni dell’establishment della difesa israeliano e lo mette in disaccordo con i leader politici.

Il Maggior Generale Amos Yadlin, capo dell'intelligence militare, ha recentemente detto alla commissione difesa della Knesset che l'Iran sarà probabilmente in grado di costruire un singolo ordigno nucleare quest'anno.

Binyamin Netanyahu, il primo ministro, ha ripetutamente affermato che Israele non tollererà un Iran dotato di armi nucleari. Le forze israeliane si sono addestrate per attaccare le installazioni nucleari iraniane e alcuni analisti ritengono che potrebbero essere lanciati degli attacchi aerei nel corso di quest’anno, se le sanzioni internazionali non riuscissero a dissuadere Teheran dal perseguire il suo programma.

Eilam, che si ritiene sia aggiornato da ex colleghi sugli sviluppi in Iran, definisce la rappresentazione ufficiale da parte del suo paese come isterica. «La comunità dell’intelligence sta diffondendo voci spaventose sull’Iran», ha dichiarato.

Suppone che «i vertici della difesa stiano esternando dei falsi allarmi al fine di accaparrarsi un budget più grosso», mentre alcuni politici hanno utilizzato l'Iran per distogliere l'attenzione dai problemi di casa.

«Coloro che dicono che l'Iran otterrà una bomba entro un anno, su quali basi lo affermano?», si è chiesto. «Dove sono le prove?»

Ha appena pubblicato “L’arco di Eilam”, un memoriale in cui rivela di essersi opposto all'attacco israeliano contro il reattore nucleare iracheno di Osirak nel 1981.

Secondo fonti della difesa ben inserite, Israele sta accelerando i preparativi per un possibile attacco ai siti nucleari iraniani.

La scorsa settimana le sue forze di difesa hanno diffuso filmati che mostravano esercitazioni di rifornimento in volo di jet F-15 da combattimento. «Questo era un avvertimento non tanto all'Iran, quanto agli americani sul fatto che facciamo sul serio», ha detto una fonte della difesa israeliana.

Ma Eilam controbatte che «un attacco del genere [contro l'Iran] sarebbe controproducente».

«Un attacco non è pratico. Al fine di ritardare il programma iraniano di tre o quattro anni, si ha bisogno di una flotta di aerei, che solo un superpotenza è in grado di fornire. Solo l'America lo può fare».

Fonte: http://www.timesonline.co.uk/tol/news/world/middle_east/article6982447.ece.

Traduzione per Megachip a cura di Pino Cabras.

11 gennaio 2010

“Non vi crediamo!”- Un giornale economico tedesco mette in discussione l’11/9

di Pino Cabras – da Megachip.



La rivista economica tedesca «Focus Money» (N. 2 / 2010), affronta una narrazione dettagliata sull’11/9 e mette radicalmente in discussione la versione ufficiale. Stiamo parlando del secondo settimanale economico della nazione economicamente più forte dell’Europa, un magazine edito da un colosso dell’editoria tedesca, il gruppo di Hubert Burda.

Il signor Burda è un insigne esponente della superclasse globale, un editore-intellettuale di primissimo piano nell’establishment germanico: è leader della VDZ, la “confindustria degli editori”, nonché cofondatore dell’analogo sindacato su scala europea, ma è anche membro del Consiglio del World Economic Forum e ha partecipato perfino a riunioni dell’esclusivo Club Bilderberg.

L’uscita di questo articolo è dunque degna di attenzione: è la prima volta che un giornale così ben inserito nel mainstream occidentale si cimenta nel raccontare in modo talmente critico i lati più scomodi dell’evento che ha dato l’impronta al secolo, l’11 settembre.

«Focus Money», espone la maggior parte degli argomenti e delle contraddizioni cruciali in cinque pagine patinate. Tra le altre questioni affrontate, l’articolo suppone che il crollo del World Trade Center possa essere stata una demolizione intenzionale.

Inoltre, l’articolo solleva seri dubbi circa la “follia” attribuita alle personalità critiche, che di solito vengono stigmatizzate come “teorici del complotto”. La rivista ricorda che «non si tratta solo di politici seri che non vogliono più credere alla versione ufficiale», bensì anche, «di migliaia di scienziati che mettono in discussione l’11/9».

L’autore dell’articolo è Oliver Janich. Lavora come giornalista d’inchiesta freelance per «Financial Times Deutschland», «Sueddeutsche Zeitung», «Euro&Finance» e ha una rubrica fissa per «Focus Money».

Nel suo blog Janich spiega che ha lottato molti anni per convincere la redazione della necessità di pubblicare queste cinque pagine. Si chiede sommessamente perché il mainstream resista, e prova a rispondere: non è necessaria una grande congiura dei media per impedire che si pubblichi questo tipo di storie, soprattutto per i grandi eventi. Ogni redattore, secondo Janich, ha il timore di incappare nella vergogna di ripetere l’infortunio dei falsi diari di Hitler, che nel 1983 danneggiò enormemente il settimanale «Stern». Janich descrive questa riluttanza dei colleghi, dovuta proprio alla grandezza dell’evento, finché, guardando ai fatti, i colleghi ammettono che è sbagliato non porsi dubbi. E così nasce anche l’articolo sull’11/9.

La prima pagina dell’articolo mostra le foto di personalità scettiche sull’«11/9 “ufficiale”», tra cui Charlie Sheen, Sharon Stone, Rosie O’Donnell, William Rodriguez (accanto a George W. Bush), l’ex governatore Jesse Ventura, Richard Gage, il giudice federale tedesco Dieter Deiseroth e molti altri.

Il resto dell’articolo è denso di accenni a molte informazioni. La prova di una demolizione controllata degli edifici, la critica della teoria dell’incendio, le domande sugli intercettori, sull’Edificio 7 del WTC e sul Pentagono. Si parla delle “manovre di volo impossibili,” delle dimissioni del senatore Max Cleland, che viene citato nel dire «È una truffa, uno scandalo nazionale», sdegnato dalla marea di menzogne alla Commissione, che hanno ostacolato le indagini. Si fa anche cenno alla misteriosa morte di Barry Jennings, un alto funzionario del Dipartimento dei Servizi di emergenza della città di New York. Era un testimone chiave dei fatti accaduti all’Edificio 7. Ancora ricoperto di polvere, Jennings aveva rilasciato un’intervista in diretta alla ABC e poi più avanti nel tempo per il documentario “Loose Change Final Cut” diretto da Dylan Avery.

Appena pochi mesi fa, ai primi di settembre, c’era stato già un articolo corretto e bilanciato sull’11/9 in un settimanale TV tedesco.

Le ragioni della pubblicazione dell’articolo di «Focus Money» sono da comprendere. Può darsi che la redazione abbia autonomamente deciso di pubblicare una storia in sé interessante, che ormai anche per una testata giornalistica di quella dimensione risulta difficile “regalare” ai media “alternativi”. E quindi potrebbe essere un caso legato a scelte commerciali contingenti.

Non si può ignorare però che la pubblicazione ricade in un momento in cui ha ripreso vigore tutta la retorica legata ad al-Qa’ida, sull’onda dello strano pseudo-attentato di Mutanda Boom sul volo Amsterdam-Detroit. Quella retorica è usata a piene mani dall’Amministrazione USA per sostenere un rinnovato sforzo bellico in Afghanistan. La Germania, troppo militarmente coinvolta in quell’area e assai riluttante a esporsi con ulteriori soldati, potrebbe essere interessata a iniziare a screditare il racconto di fondo, a partire proprio dall’11/9. Qualcosa di simile è accaduta in Giappone con il cambio della guardia nel governo, laddove il Partito Democratico giapponese sfida apertamente la versione ufficiale del governo USA sui fatti dell’11/9 e ne mette in discussione la capacità di giustificare l’intervento in Afghanistan.

Può quindi accadere che le redazioni si sentano più libere di riportare i dubbi che non avevano mai osato pubblicare prima, perché temevano la catena di domande radicali che si trascinavano con sé sulla struttura del potere. Anche in seno alle classi dirigenti forse si apre qualche dibattito sul destino del mondo e sulle soluzioni non solo militari.

L'articolo pubblicato da «Focus Money»: http://www.focus.de/finanzen/news/terroranschlaege-vom-11-september-2001-wir-glauben-euch-nicht_aid_467894.html.

7 gennaio 2010

Per il complesso militare-industriale i body-scanner sono la gallina dalle uova d’oro

di Steve Watson - Infowars.com.



I rabbiosi appelli volti alla installazione coordinata dei body-scanner “a corpo nudo” negli aeroporti di tutto il pianeta, sulla scia del fallito “attentato con mutanda”, finiranno per generare enormi profitti a beneficio del complesso militare-industriale.

Il colossale contractor della difesa L-3 Communications è in prima linea, essendosi già procacciato dalla Transportation Security Administration (TSA), la scorsa settimana, un contratto di fornitura da 165 milioni di dollari per body scanner. La società, con sede a New York, è annoverata fra i maggiori contractor al mondo, con l’81% dei propri ricavi totali nel 2008 originati dalle forniture al settore della difesa (vedi l’immagine qui sotto).



La L-3 ha fornito sistemi di comando, controllo, comunicazioni, intelligence, sorveglianza e ricognizione al Dipartimento della Difesa, al Dipartimento della Sicurezza Interna nonché a diverse altre agenzie governative statunitensi di intelligence.

Quaranta scanner prodotti dalla L-3 sono già in uso presso 19 aeroporti USA, ma questo numero è destinato ad aumentare in modo esponenziale in conseguenza dell’isteria di massa determinata dall’incidente del giorno di Natale.

La portavoce della TSA, Lauren Gaches, ha dichiarato: «Il contratto della scorsa settimana non è un ordine di scanner L-3: ha identificato le fonti di copertura e ha stabilito un tetto nell’acquisto di un numero non determinato di unità lungo un periodo indefinito di tempo.»
Si sostiene che cinque ulteriori fornitori stiano corteggiando la TSA al fine di ottenere la certificazione della propria tecnologia di body-scanning.

Alex Jones ha fatto appello a una resistenza di massa contro i tentativi di mettere in opera questo sistema di body scanner e qualsiasi altra tecnologia che rappresenti una violazione totale della privacy, un rischio per la salute e una ulteriore ondata di tirannia a carico del popolo americano e di tutto il mondo con il pretesto ingannevole di combattere il terrorismo.

Si ascolti di seguito la clip in cui Alex Jones illustra in che modo i body scanner siano l’ultima tappa nello sforzo della conquista totalitaria della nostra società. (http://www.prisonplanet.com/breaking-the-will-of-the-people-the-real-purpose-of-body-scanners.html)

Fonte: www.infowars.com. Traduzione di Pino Cabras per Megachip.




Nota aggiuntiva di Megachip:

Sebbene l’aeroporto di Amsterdam, da cui si è imbarcato Mutanda Boom, avesse già in uso i body scanner, la soluzione proposta è: scanner dappertutto!

Sebbene i progettisti di questa tecnologia ammettano che la macchina non avrebbe scoperto i materiali esplosivi nascosti dentro la biancheria, la soluzione proposta è: scanner dappertutto!

5 gennaio 2010

Terrorismo: se si indagasse sulla Casta planetaria

di Pino Cabras - da Megachip.

«Il Fatto Quotidiano» (FQ) e la politica estera: era evidente che questa sarebbe stata un grande banco di prova per valutare il nuovo giornale di Padellaro e Travaglio, che sapevamo puntualissimo nella sua cronaca giudiziaria (tanti fogli), ma balbettante sugli esteri (una pagina scarsa).

Alla prima grande prova, l’allarme terrorismo in piena epoca Obama, vediamo tutti i limiti del progetto di giornalismo che pure vuol sfidare «la scomparsa dei fatti». Un articolo di Giampiero Gramaglia, “Se Obama diventa come Bush”, pubblicato su FQ il 5 gennaio 2010, ci avverte: «Alzando la minaccia, bin Laden ha ottenuto – chissà se volontariamente – il risultato di rendere il linguaggio di Obama simile a quello di Bush».

Bin Laden? Quello?

Dov’è che Gramaglia ha appreso che Osama bin Laden, proprio lui, in barba e turbante, sta «alzando la minaccia»? Sa cose che noi non sappiamo? Ce le vuole raccontare tutte, per favore?

Il FQ mette insieme il fallito attentato sul volo Amsterdam-Detroit, la strage di agenti CIA sul confine afghano-pakistano, gli allarmi isterici dell’aeroporto di Newark. Pere con mele con albicocche, tutte sommate in un’unica operazione da attribuire a un’entità maligna da film di James Bond: Lui, bin Laden, che non si sa se sia vivo, che non dà prove credibili di sé da anni, se non in video emanati da “ex” agenti segreti israelo-americani, e che viene mostrato come il pontefice dark di un’organizzazione tentacolare con una strategia centralizzata. Cosa che non è.

A rigore, la vicenda del nigeriano dalla mutanda esplosiva solleva ogni giorno più dubbi, per chi voglia guardare i fatti. E passi, per ora.

Ma perché mai inserire in un’unica “minaccia” anche l’uccisione degli agenti CIA e della ex Blackwater nella base Chapman, situata non in USA ma in un territorio bombardato ogni santo giorno dai Predator americani che fanno stragi indiscriminate?

Sicuro sicuro che sia stato bin Laden, Gramaglia?

O non sarà stato magari qualche settore dell’intelligence pakistana, la quale sa bene che la base Chapman è quella che coordina il programma clandestino per i raid dei droni, e che sospetta che gli USA vogliano far implodere il Pakistan?

E infine si cerca bin Laden anche dietro ogni allarme rosso diffuso dalle autorità fino a paralizzare gli aeroporti. Si diceva lo stesso ai tempi dell’allarme antrace, nel 2001, per impaurire tutti. Ma non era il fantasma di al-Qa’ida, neanche allora. Erano ambienti militari, molto, molto occidentali.

C’è continuità con quei tempi, e in questo il FQ ha ragione: “Obama diventa come Bush”. Anzi, spende perfino di più in armamenti, fra un discorso conciliante e una cerimonia per il Nobel.

Sarebbe auspicabile che una parte dell’impegno – pur lodevole - dedicato a scartabellare le ramificazioni societarie e i ricatti incrociati di questo o quel puzzone della Casta italiana, fosse dedicato dal FQ anche alla Casta planetaria. Si scoprirebbero cose interessanti.

Prendiamo per esempio il babbo nababbo di Mutanda Boom, Alhaji Umaru Mutallab, il banchiere nigeriano che nell’economia del racconto dei media più importanti serve a dire che “c’è poco controllo”, che “occorrono misure più restrittive” e che serve anche a convalidare l’esistenza di al-Qa’ida, nella sua variante yemenita, in vista delle prossime iniziative belliche.

Il signor Mutallab non è “un” banchiere nigeriano, ma “il” banchiere della Nigeria, un ex ministro ammanicato con uno dei poteri più corrotti dell’Africa, l’uomo più ricco di un paese chiave della produzione di idrocarburi, nonché uno degli uomini più ricchi del continente africano. Come molte banche in giro per il mondo, anche la sua, non appena ha soffiato il vento della crisi, è stata salvata dai cavalieri verdi, quelli che i dollari ce li avevano e non sapevano come investirli. Ad altre banche sarà toccato il Kuwait o la Cina. Alla nigeriana Jaiz Bank è toccato invece mettersi nelle mani della Banca Islamica di Sviluppo, il braccio finanziario della Organizzazione della Conferenza Islamica, con sede a Gedda, in Arabia Saudita, direttamente influenzato dal potere della monarchia saudita.

Mutallab senior non ha faticato a cercarsi partner così ingombranti, perché in anni precedenti aveva contribuito a mettere il suo paese nelle mani di altre istituzioni finanziarie, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale. Prevedibile l’effetto delle secche ricette finanziarie di Washington su un paese africano complesso. La polizia nel solo 2009 ha ucciso centinaia di persone per controllare i disordini. Ma noi cittadini dell’emisfero Nord avevamo troppe pagine occupate dall’Iran per rendercene conto.

Le stesse ricette finanziarie, applicate in Yemen, hanno qualche effetto sui disordini di quel paese, dove Banca Mondiale, FMI e Banca Islamica di Sviluppo hanno investito nel 2009 svariati miliardi di dollari, ora a rischio.

Sappiamo che Obama è molto sensibile agli interessi delle banche, e quindi qualcosa farà, prima che un cambio di regime sgradito in Yemen minacci definitivamente quegli interessi così intrecciati e trasversali.

Torniamo dunque al banchiere, che di questi interessi ne sa qualcosa. Infatti Mutallab non è stato solo banchiere. È stato anche per anni consigliere di amministrazione e in seguito direttore esecutivo della Defense Industry Corporation of Nigeria (DICON). La DICON è la principale industria a produzione militare nigeriana. Assembla su licenza modelli d’arma israeliani e adotta modelli di gestione privatistica della sicurezza in stile Blackwater, ma sempre con istruttori israeliani, dispiegati nelle aree calde del paese. Si tratta di una partnership spinosa, tanto che qualche parlamentare nigeriano ha paventato forti rischi di sovranità e un ruolo eccessivo del Mossad.

L’operazione Mutallab ha troppe connessioni con una macchina bellica in corsa verso lo Yemen, per starcene a inseguire i deboli nessi con il fantasma di bin Laden. L’operazione sa di terrorismo sintetico, di psicologia di massa montata ad arte, con la complicità delle oligarchie mediatiche e la passività del resto dei media.

Alla luce di questi contatti e di questi interessi, il nuovo allarme terrorismo richiederebbe un’analisi più attenta, senza cedere alla corrente delle notizie che fanno comodo ai governi. Gramaglia è contento del «neo-decisionismo» obamiano. E fiaccamente dice che «la paura sale». La paura costruita ad arte va invece smontata pezzo per pezzo. Se no finiamo in guerra, e senza sapere le cose davvero importanti, come è già accaduto.


2 gennaio 2010

Las falsas pistas terroristas y las nuevas guerras

por Pino Cabras - Megachip.

Son muchos los elementos que no cuadran, en ocasión del hecho del nigeriano que quería hacer explotar el avión sobre el Atlántico. Las autoridades políticas y los altos nombres del periodismo tienen las respuestas listas. Pero nosotros tendremos que hacer las preguntas que ellos no quieren hacer.

¿El atentado se desarrolló de la forma que dicen? ¿De veras existe una nueva amenaza de al-Qaeda?

Es siempre fuerte la presencia mediática del fantasma de al-Qaeda. Así alimenta una perenne sensación de espera por algún acontecimiento que recuerde la gran representación del 11/9. El impulso original de ese trauma, nace de acontecimientos modestísimos de por sí, pero agigantados inmediatamente hasta la histeria. Un joven nigeriano de 23 años, de buena familia, Umar Farouk Abdul Mutallab, que sobre la ruta aérea de Amsterdam-Detroit, intenta hacer estallar el avión gracias a un mecanismo sujeto a su perineo. El atentado no resulta y él se quema. Una vez capturado declara pertenecer a al-Qaeda y haber sido adiestrado en Yemen. Hasta aquí los medios masivos de todo el mundo.

Pero es imposible ignorar las declaraciones de dos pasajeros – los abogados Kurt y Lori Haskell, marido y mujer – que se hacen testigos de un relato sorprendente para el periódico de Detroit MLive.com. Incluso la CNN y otros medios se despiertan a éste punto y van a entrevistarles.

Nuestros periódicos y noticieros en cambio siguen durmiendo su sueño comandado.


Kurt Haskell declara haber visto a Mutallab aproximarse a la puerta de embarque junto a un hombre no identificado. Mientras que Mutallab estaba mal vestido, el otro, un hindú de alrededor de 50 años, era elegante y lucía un costoso traje. Haskell escuchó claramente, mientras preguntaba a los agentes que recogían las tarjetas de embarque, si Mutallab podía embarcar sin pasaporte. El tipo les dijo: “Es de Sudan, nosotros lo hacemos cada vez”.

¿Nosotros quien?

Los Haskell suponen que señor elegante tratase de obtener clemencia para el viajero sin pasaporte, pintándolo como un refugiado sudanés.

A ninguno de los lectores le habrá sucedido nunca poder hacer un viaje intercontinental sin tener el pasaporte en regla. ¿Recordais cuando Alberto Tomba fue denunciado porque – de frente al rechazo de dejarlo partir, a pesar de la fama de campeón deportivo – tontamente había intentado falsificar los datos de su pasaporte vencido?

En este caso, en cambio, un presunto sudanés desconocido, proveniente de un país inserto entre los “rogues states”, los estados canallas, un país acusado desde siempre de alojar fantasmales bases de al-Qaeda, logra embarcarse sin documentos. La historia tiene un tufo bien más mefítico que una genérica “falla en los sistemas de seguridad.”

El matrimonio Haskell declara que los empleados dirigen a Mutallab y su ángel de la guarda con corbata hacia su superior, en el fondo de la sala. Kurt Haskell pierde de vista a Mutallab y lo vuelve a ver solo “después de que se presume que haya intentado detonar el explosivo a bordo del avión”, pocos minutos antes de aterrizar en Detroit.

¿Qué sucedió mientras tanto? Ni os espereis una respuesta del periodista Vittorio Zucconi publicada en el diario la “Repubblica”. Tendrá que ocuparse de los diarios que hablan de la depresión del terrorista africano.

No pudiendo contar con los medios masivos italianos, tenemos que ir hasta Milwakee, para saber de algunos otros testigos oculares. Patricia "Scotty" Keepman y su hija, quienes declaran al noticiero de la radio 620 WTMJ un hecho de veras singular. Relatan que “delante de ellas había un hombre que había filmado con una videocámara todo el vuelo, incluido el intento de detonación.” Incluso en aquel momento concitado, el imperturbable camarógrafo “se sentó y filmó absolutamente todo, totalmente calmo”, relata Patricia.

Además de Mutallab, por lo tanto ya tenemos dos sujetos extra, que se interesan en sus acciones, el distinguido persuasor hindú y el impasible stakanov del videotape. ¿Quiénes son éstos?

Sabemos que Mutallab pasó incluso por el aeropuerto de Lagos, antes de volar para Ámsterdam. Sobre las características de ese aeropuerto – además localizado en un país con focos de guerra civil con base religiosa- nos llega una sorprendente revelación del periódico británico “Telegraph”: el aeropuerto de Lagos ha obtenido recientemente la certificación “all clear”, por parte de la US Transportation Security Administration, una agencia creada después de los atentados del 11 de septiembre, para mejorar la seguridad de los vuelos de línea americanos”. ¿Cuales otros aeropuertos son “all clear” y cuáles no? ¿Sobre qué bases?

Por un lado parece que Mutallab estuviera en la lista antiterrorismo, pero no en la de las personas que no podían volar”, recuerda Magnus Ranstorp, del Centro de estudios sueco sobre las Amenazas Asimétricas. “Todo esto no cuadra porque el Departamento de los Estados Unidos de Seguridad Interna tiene sus medios persuasivos de data-mining. No entiendo cómo pudiese tener un visado válido, siendo bien conocido en la lista antiterrorismo”, declara Ranstorp al británico "Independent". Omitamos incluso el hecho de que Mutallab estuviera en las listas antiterrorismo y que hasta su padre lo señalase a las autoridades como un sujeto peligroso. Siempre habrá alguien que dirá que las fallas en la seguridad no derivan de elecciones de organismos desviados, sino de casos de incompetencia y que el terrorista aunque psicolábil sea capaz de meterse en los intersticios de la incompetencia.

Puede ser, pero ciertamente se han incomodado muchos, comenzando por el premio Nobel de la Paz Barack Obama, para amenazar con fuego y llamas y engrandecer el episodio como expresión de una amenaza letal para los Estados Unidos, merecedora de respuestas drásticas.

El senador transversal-neocon Joe Lieberman - en el 2000 candidato a la vicepresidencia en tándem con Al Gore - ha declarado a Fox News que los EE.UU. tienen necesidad de bombardear Yemen sin demora. "Irak fue la Guerra de ayer, Afganistán es la guerra de hoy. Si no actuamos preventivamente Yemen será la Guerra del mañana”. Su tesis según la cual “Yemen es la nueva casa de al-Qaeda” se ha convertido inmediatamente en el mantra de los grandes medios de información. Y al mantra del mainstream anglosajón también ha ido como remolque sin excepciones también el mainstream italiano. ¿Por qué Yemen? Es interesante la tesis que el analista político Webster Tarpley ilustra en Rusia Today.


¿Qué dice Tarpley? Obama ha actualizado el Eje del Mal, en dirección de la entidad Afganistán-Pakistán (AfPak), además de Somalia y de Yemen. En Yemen hay una guerra civil que enfrenta al gobierno central filosaudita con la guerrilla chiíta filoiraní de los Houthi, bombardeada hace poco por nuevos ataques de los Estados Unidos. El objetivo de fondo es alimentar la ya fuerte tensión entre Irán y Arabia Saudita, para debilitar a ambos.

Tarpley señala que los Estados Unidos están reorganizando la "legión árabe" de al-Qaeda (la entidad que tiene desde siempre encima el aliento y los resortes de la CIA), justamente en Yemen. Es una de las formas de vaciar el gulag caribeño de Guantánamo. La nueva agencia de terrorismo sintético es "al-Qaeda en la Península árabe", alias AQAP, una entidad compuesta por chivos expiatorios, locos y fanáticos que rápidamente reivindican la operación de Umar Farouk Abdul Mutallab. El objetivo alcanzado es múltiple: dominar las salidas del Mar Rojo y del Canal de Suez, dar respiro al dólar aún al borde del derrumbamiento a través del usual estímulo del alza del precio del petróleo. De ahí el primer paso: la tensión debe ser incrementada en la península árabe.

En este cuadro, según Tarpley, Mutallab sólo es un muñeco en manos de la comunidad del servicio de inteligencia que ha tramado una provocación que tenía que provocar el máximo impacto con el mínimo esfuerzo. Todo está facilitado por el “sentido común” sobre la entidad al-Qaeda, que ningún redactor, ni ningún político en vista osa desafiar en Occidente. Bajo pena de reabrir la cuestión del verdadero 11/9.

Si al-Qaeda no es una organización ¿entonces qué es verdaderamente? Se dice que es una etiqueta, una clase de logo, una especie de franquicia del terrorismo internacional. Es cómoda para quien la utiliza, pero a menudo es mucho más cómoda para quien – en teoría – la combate. Al Qaeda, para los gobiernos que sostienen estar en guerra con el terrorismo, es un enemigo conveniente para señalar con el dedo a la opinión pública, una coartada puntual para instrumentalizarla con objetivos internos. (Leyes de emergencia cada vez más restrictivas, libertades individuales cada vez más circunscritas). Al-Qaeda aparece tan funcional a muchos gobiernos occidentales. Si no existiese, tendrían el interés de inventarla y evocarla.

La versión italiana de este artículo: aquí (Megachip) y aquí (en esto blog)