30 dicembre 2009

Le false piste terroristiche e le nuove guerre

di Pino Cabras - da Megachip.


Sono tanti gli elementi che non quadrano, in occasione della vicenda del nigeriano che voleva far saltare l’aereo sopra l’Atlantico. Le autorità politiche e gli alti papaveri del giornalismo hanno risposte pronte. Ma noi dovremo porre le domande che loro non vogliono fare. L’attentato si è svolto nel modo che dicono? Esiste davvero una nuova minaccia di al-Qa'ida?

È sempre forte la presenza mediatica del fantasma al-Qa'ida. Alimenta così un perenne senso d’attesa per un qualche evento che richiami la grande rappresentazione dell’11/9. La spinta originaria di quel trauma si fa bastare eventi di per sé modestissimi, ma subito pompati fino all'isteria.

Un giovane nigeriano 23enne di buona famiglia, Umar Farouk Abdul Mutallab, cerca di far saltare l’aereo sulla rotta Amsterdam-Detroit grazie a un ordigno tenuto a ridosso del suo perineo. L'attentato non va e lui si ustiona. Una volta catturato, dichiara di appartenere ad al-Qa'ida e di essere stato addestrato in Yemen. Fin qui i media di tutto il mondo.

Impossibile ignorare però le dichiarazioni di due passeggeri – gli avvocati Kurt e Lori Haskell, marito e moglie – che si fanno testimoni di un racconto sbalorditivo per la testata di Detroit MLive.com. Anche la CNN e altri media a questo punto si svegliano e vanno a intervistarli.

I nostri giornali e telegiornali continuano invece a dormire il loro sonno comandato.



Kurt Haskell riferisce di aver notato Mutallab approssimarsi al cancello d’imbarco assieme un uomo non identificato. Mentre Mutallab era malvestito, l’altro, un indiano sui cinquanta, era elegante in un completo costoso. Haskell lo ha sentito distintamente mentre chiedeva agli agenti che raccoglievano le carte d’imbarco se Mutallab poteva imbarcarsi senza passaporto. «Il tizio ha detto loro: “È del Sudan e noi lo facciamo ogni volta”». Noi chi?

Gli Haskell suppongono che l’elegantone cercasse di guadagnare clemenza per il viaggiatore senza passaporto dipingendolo come un rifugiato sudanese.

A nessuno dei lettori sarà capitato di poter fare un viaggio intercontinentale senza avere il passaporto in ordine. Ricordate quando Alberto Tomba venne denunciato perché – di fronte al rifiuto di farlo partire, nonostante la fama di campione sportivo – aveva goffamente cercato di falsificare i dati del suo passaporto scaduto?

Qui, invece, un presunto sudanese sconosciuto, proveniente da un paese inserito fra i “rogue states”, gli stati-canaglia, un paese da sempre accusato di ospitare fantomatiche basi di al-Qa'ida, riesce a imbarcarsi senza documenti. La storia ha un tanfo ben più mefitico di una generica “falla nei sistemi di sicurezza”.

I coniugi Haskell riferiscono che gli addetti indirizzano Mutallab e il suo angelo custode incravattato verso il loro superiore, in fondo alla sala. Kurt Haskell perde di vista Mutallab e lo rivede solo «dopo che si presume che abbia cercato di detonare dell’esplosivo a bordo dell’aereo» pochi minuti prima di atterrare a Detroit.

Cosa è successo nel frattempo? Non aspettatevi la risposta da Vittorio Zucconi su «Repubblica». Avrà da occuparsi dei diari che raccontano la depressione del terrorista africano.

Non potendo contare sui media italiani, dobbiamo andarcene fino a Milwakee per sapere di altri testimoni oculari, Patricia “Scotty” Keepman e sua figlia, le quali raccontano al notiziario della radio 620 WTMJ un fatto davvero singolare. Riferiscono che davanti a loro «c'era un uomo che ha ripreso con una videocamera l'intero volo, compresa la tentata detonazione.» Perfino in quel momento concitato, l'imperturbabile cameraman «si è messo seduto e ha videoripreso tutto quanto, calmissimo», racconta Patricia.

Oltre a Mutallab, abbiamo dunque già due soggetti extra che si interessano alle sue azioni, il distinto persuasore indiano e l'impassibile stakanov del videotape. Chi sono costoro?

Sappiamo che Mutallab è passato anche per l’aeroporto di Lagos, prima di volare per Amsterdam. Sulle caratteristiche di quell’aeroporto – pure localizzato in un paese con focolai di guerra civile su base religiosa - ci arriva una sorprendente rivelazione del quotidiano britannico «Telegraph»: «L’aeroporto di Lagos ha ottenuto di recente la certificazione “all clear” da parte della US Transportation Security Administration, un’agenzia creata in seguito agli attentati dell’11 settembre per migliorare la sicurezza dei voli di linea americani». Quali altri aeroporti sono “all clear” e quali no? Su quali basi?

«Da un lato, pare che Mutallab fosse nella lista antiterrorismo ma non su quella delle persone che non potevano volare,» ricorda Magnus Ranstorp, del Centro studi svedese sulle Minacce Asimmetriche. «Tutto questo non quadra perché il Dipartimento USA per la Sicurezza Interna ha dei mezzi stringenti di data-mining. Non capisco come potesse avere un visto valido essendo ben noto alla lista antiterrorismo» dichiara Ranstorp al britannico «Independent». Tralasciamo pure il fatto che Mutallab fosse nelle liste antiterrorismo e che persino suo padre lo segnalasse alle autorità come un soggetto pericoloso. Ci sarà sempre qualcuno che dirà che le falle nella sicurezza non derivano da scelte di apparati deviati, ma da casi di incompetenza, e che il terrorista, ancorché psicolabile, sa infilarsi negli interstizi dell’incompetenza.

Sarà, ma di certo si sono scomodati in tanti, a partire dal Nobel per la pace Barack Obama, per minacciare fuoco e fiamme e ingigantire l’episodio come espressione di una minaccia letale per gli USA, meritevole di risposte drastiche.

Il senatore trasversale-neocon Joe Lieberman – nel 2000 candidato alla vicepresidenza in tandem con Al Gore – ha dichiarato a Fox News che gli USA hanno necessità di bombardare lo Yemen senza indugio. «L’Iraq era la Guerra di ieri, l’Afghanistan è la guerra di oggi. Se non agiamo preventivamente, lo Yemen sarà la Guerra di domani». La sua tesi secondo cui “lo Yemen è la nuova casa di al-Qa'ida” è istantaneamente diventata il mantra dei grandi media. E al mantra del mainstream anglosassone è andato a rimorchio senza eccezioni anche il mainstream italiano. Perché lo Yemen? Interessante la tesi che l’analista politico Webster Tarpley illustra a Russia Today.






Cosa dice Tarpley? Obama ha aggiornato l’Asse del Male, in direzione dell'entità Afghanistan-Pakistan (AfPak), nonché della Somalia e dello Yemen. In Yemen c’è una guerra civile che contrappone il governo centrale filosaudita e la guerriglia sciita filoiraniana degli Houthi, da poco bombardata a più riprese dagli USA. L’obiettivo di fondo è alimentare la già forte tensione fra Iran e Arabia Saudita, per indebolire entrambi.

Tarpley segnala che gli Stati Uniti stanno riorganizzando la “legione araba” di al-Qa'ida (l'entità che ha da sempre addosso il fiato e le leve della CIA) proprio nello Yemen. È uno dei modi di svuotare il gulag caraibico di Guantanamo. La nuova agenzia di terrorismo sintetico è “al-Qa'ida nella Penisola Araba”, alias AQAP, un'entità composta da capri espiatori, pazzoidi e fanatici che prontamente rivendicano l'operazione di Umar Farouk Abdul Mutallab. L'obiettivo ravvicinato è molteplice: dominare gli sbocchi del Mar Rosso e del Canale di Suez, dare fiato al dollaro tuttora sull'orlo del crollo tramite il solito stimolo del rialzo del prezzo del petrolio. Da ciò il primo passo: va incrementata la tensione nella penisola Araba.

In questo quadro, secondo Tarpley, Mutallab è solo un pupazzo in mano alla comunità dell'intelligence che ha ordito una provocazione che doveva avere il massimo impatto con il minimo sforzo. Il tutto è facilitato dal “senso comune” sull'entità al-Qa'ida, che nessun redattore né alcun politico in vista osa sfidare in Occidente. Pena riaprire la questione del vero 11/9.

Se al-Qa‘ida non è un’organizzazione, allora cos’è davvero? Viene detto che è un’etichetta, una sorta di logo, una specie di franchising del terrorismo internazionale. Fa comodo a chi la utilizza, ma fa più spesso comodo a chi – in teoria – la combatte. Al-Qa'ida per i governi che sostengono di essere in guerra con il terrorismo è un nemico conveniente da additare all’opinione pubblica, un puntuale alibi da strumentalizzare per scopi interni (leggi di emergenza sempre più restrittive, libertà individuali sempre più circoscritte). Al-Qa'ida appare così funzionale a molti governi occidentali. Se non ci fosse, con un po’ di pelo sullo stomaco avrebbero l’interesse a inventarla ed evocarla.


Versione in lingua spagnola del presente articolo: QUI.

24 dicembre 2009

La UE prende posizione: Israele deve fermarsi

di Pino Cabras - da Megachip.

Quasi alla vigilia dell'anniversario della strage di Gaza, una figura istituzionale nuova e importante ha parlato. Nessun rilievo presso i media più forti, almeno in Italia. Eppure i primi passi dell'Alto rappresentante per la politica estera e di difesa dell'Unione europea, Lady Catherine Ashton, sarebbero stati interessanti, per capire, per giudicare.

Il fatto è che la Ashton ha espresso una posizione dura verso Israele, che continua a imprigionare Gaza. Ma la donna politica britannica ha esteso la sua critica anche al Muro di separazione e alle continue espulsioni delle famiglie palestinesi dalle loro abitazioni a Geruslemme Est, nonché alla politica di colonizzazione.

Ashton, a nome della UE, ha ricordato che «Gerusalemme Est è un territorio occupato, unitamente alla Cisgiordania», il che implica l'obbligo di rispettare convenzioni internazionali che stabiliscono precise responsabilità in capo all’occupante nei confronti della popolazione soggetta all'occupazione. Tanto più forte e rilevante è apparsa la presa di posizione della laburista britannica, quanto più sbucciava come una banana il compagno di partito Tony Blair, che ricopre il ruolo di inviato speciale del «Quartetto» (UE, USA, ONU e Russia), la debole camera di compensazione diplomatica sul conflitto israelo-palestinese.

«Ho ricordato personalmente a Tony Blair che il Quartetto deve dimostrare di valere i soldi che costa, e che può essere rafforzato». Dopo anni in cui l'Europa ha taciuto, alla prima occasione, la prima persona che assume la carica di ministro degli Esteri europeo ha riaffermato la posizione che precedeva il silenzio, dieci anni orsono: soluzione a due stati, Gerusalemme capitale condivisa, confini stabiliti decenni fa dalle Nazioni Unite.

La cosa non è piaciuta affatto al governo d'Israele e a significativi esponenti di spicco della società israeliana. Portavoce politici, ministri, propagandisti, giornalisti si sono lamentati con forza. Compreso il ministro degli Esteri Avigdor Liberman, notoriamente un oltranzista e un falco.

Lady Ashton è stata presentata come un'aristocratica razzista e antisemita, a dispetto di anni e anni di sua militanza per i diritti umani. Eppure quelle della Ashton non erano opinioni personali, ma la posizione ufficiale della UE. Gli ultrà filo-israeliani - a Gerusalemme e nel mondo - hanno invece spinto per la personalizzazione. Sorte simile era toccata anche al presidente USA, Barack Obama, quando aveva blandamente richiesto di congelare i nuovi insediamenti. E' stato irriso a parole e nei fatti. Business as usual, come ai tempi di Bush: gli anni d'oro per il Sionismo Reale, che ha potuto devastare il Libano, fare di Gaza una prigione e un tiro al bersaglio, aumentare i coloni in Cisgiordania da poche migliaia a mezzo milione, creare un sistema di muri, checkpoint, autostrade riservate, leggi razziali. Negli anni di Bush si è perfezionato un sistema spesso paragonato, per difetto, all'apartheid sudafricano.

La strage di Gaza (operazione Piombo Fuso) nacque anche da motivazioni e spinte elettoralistiche. Un primo ministro screditato, Ehud Olmert, e una ministra ambiziosa ma in calo di consensi, Tzipi Livni, contando su un nuovo diffuso senso comune nazionalistico che approvava massicciamente la guerra, cercarono di portarsi avanti il lavoro. Gli fu lo stesso preferita l'estrema destra.

L'uso del fosforo bianco, dei DIME, così come le crudeli pratiche belliche inflitte a una popolazione tenuta in sostanziale stato di detenzione, erano un crimine di guerra, evidente anche prima che la commissione ONU guidata da Richard Goldstone concludesse in tal senso.

Una simile verità è inaccetabile per Israele, che rigetta in toto il rapporto della commissione e rifiuta altre indagini. Anche dopo che la fase intensa dell'operazione Piombo Fuso si era conclusa, Israele ha continuato a vietare a Gaza l'ingresso di materiali che ne consentissero la ricostruzione. L'assedio continua tuttora. Include beni e servizi essenziali e strangola l'economia.
L'obiettivo di disarticolare Hamas si è dimostrato peraltro irrealistico.

Le concessioni ora prospettate da Israele potrebbero accontentare però solo un'entità governativa palestinese collaborazionista. Nemmeno gli screditatissimi esponenti dell'Autorità Nazionale Palestinese arrivano a tanto.

Senza Bush, mentre Obama tace, l'Unione Europea ha così qualcosa da dire sul rispetto dei diritti umani e dei trattati violati dalla potenza occupante. E lo fa criticando il principale alleato europeo di George W. Bush, quel Tony Blair che pure aveva puntato a diventare il presidente della UE, lui, complice di troppe guerre e troppo sbagliate, per poter godere ancora di una qualche fiducia, perfino nel suo partito, il Labour.


18 dicembre 2009

Obama dichiara guerra al Pakistan

di Webster G. Tarpley - rense.com.



Traduzione a cura di Milena Finazzi e Pino Cabras per Megachip (QUI).

WASHINGTON, DC – Il discorso del primo dicembre di Obama a West Point rappresenta molto più dell’ovvia brutale escalation in Afghanistan – non è niente di meno che una netta dichiarazione di guerra da parte degli Stati Uniti contro il Pakistan. Si tratta di una guerra nuova di zecca, di una guerra molto più vasta rivolta contro il Pakistan, un paese di 160 milioni di abitanti munito di armamenti nucleari.

Strada facendo, il programma prevede lo smembramento dell’Afghanistan.

Non siamo più di fronte alla guerra contro l’Afghanistan di Bush e di Cheney cui eravamo abituati in passato. È qualcosa di enormemente più vasto: il tentativo di distruggere il governo centrale pakistano di Islamabad e di far sprofondare quel paese nel caos della guerra civile, nella balcanizzazione, nella frammentazione e nella confusione totale. La strategia prescelta si basa sull’esportazione della guerra civile afghana in Pakistan e oltre, sulla frammentazione del Pakistan secondo i suoi diversi gruppi etnici.

È un conflitto subdolo che adotta tecniche belliche di quarta generazione e operazioni di guerriglia per dare l’assalto a un paese che gli Stati Uniti e i loro soci, per la loro debolezza, non possono attaccare direttamente.

In questa guerra, i talibani sono utilizzati come procuratori USA. Questa aggressione contro il Pakistan è il tentativo di Obama di imperversare nel Grande Gioco contro il cuore dell’Asia Centrale e dell’Eurasia o su scala più generale.


USA DISSUASI DA UNA GUERRA APERTA DAL NUCLEARE PAKISTANO

La guerra civile in corso in Afghanistan è un mero pretesto, una copertura destinata a fornire agli USA un trampolino di lancio per una campagna di destabilizzazione geopolitica dell’intera regione che non si può ammettere pubblicamente.

Nel mondo del cinismo brusco dell’aggressione imperialista à la Bush e Cheney, si sarebbe costruito un pretesto per attaccare il Pakistan in modo diretto. Ma il Pakistan è di gran lunga troppo esteso e gli Stati Uniti sono di gran lunga troppo deboli e troppo indebitati per una tale impresa. Inoltre, il Pakistan è una potenza nucleare, dispone di bombe atomiche e di missili a media gittata atti a lanciare tali bombe.

Ciò a cui stiamo assistendo è un nuovo caso di deterrenza nucleare in atto.

Gli USA non possono inviare una flotta di invasione o costruire basi aeree nelle vicinanze poiché le armi nucleari pakistane potrebbero distruggerle.

Da questo punto di vista, gli sforzi di Ali Bhutto e di A.Q. Khan per fornire il Pakistan di un potenziale deterrente sono stati giustificati. Ma la risposta USA consiste nel trovare altri modi per attaccare il Pakistan al di sotto della soglia del nucleare, addirittura al di sotto della soglia delle armi convenzionali. E questo è il punto in cui entra in gioco la tattica di esportazione della guerra civile afghana in Pakistan.

L’architetto della nuova guerra civile pakistana è il Generale delle Forze Speciali USA Stanley McChrystal, l’organizzatore della rete delle tristemente note camere della tortura USA in Iraq. Le credenziali specifiche di McChrystal nella guerra civile pakistana sono legate al suo ruolo nello scatenare la guerra civile irachena dei sunniti contro gli sciiti creando "al-Qa'ida in Iraq" grazie all’aiuto del famigerato agente doppiogiochista al-Zarkawi, ora defunto. Se la società irachena nel suo intero si fosse allineata contro gli invasori USA, gli occupanti sarebbero stati presto scacciati. La gang del controspionaggio nota come "al-Qa'ida in Iraq " ha evitato questa possibilità uccidendo sciiti e provocando in tal modo una rappresaglia di massa sfociata in una guerra civile. Queste tattiche sono tratte dall’opera del generale britannico Frank Kitson, che ne ha scritto nel nel suo libro “Low Intensity Operations”. Se gli Stati Uniti possedessero un’incarnazione moderna di Heinrich Himmler delle SS, si tratterebbe certamente del Generale McChrystal, scelto personalmente da Obama. Il superiore di McChrystal, Generale Petraeus, asprira invece ad essere il nuovo Capo di Stato Maggiore von Hindenburg: in altre parole, mira ad essere il prossimo presidente degli Stati Uniti.

La vulnerabilità del Pakistan che gli Stati Uniti ed i loro soci della NATO stanno cercando di utilizzare per il proprio tornaconto si può comprendere meglio consultando una mappa dei gruppi etnici prevalenti in Afghanistan, Pakistan, Iran, ed India. La maggior parte delle mappe mostra soltanto i confini politici che risalgono ai tempi dell’imperialismo britannico, e quindi mancano di riportare i principali gruppi etnici della regione. Ai fini della nostra analisi, dobbiamo iniziare con l’identificare un certo numero di gruppi. Prima di tutto il popolo Pashtun, situato principalmente in Afghanistan e in Pakistan. In secondo luogo abbiamo i beluci, localizzati principalmente in Pakistan e in Iran. I punjabi abitano il Pakistan, così come i sindhi. La famiglia Bhutto è originaria del Sindh.


PASHTUNISTAN

La strategia USA e NATO comincia con i pashtun, il gruppo etnico dal quale provengono in larga misura i cosiddetti talibani. I pashtun rappresentano una parte consistente della popolazione dell’Afghanistan, ma sono stati estromessi dal governo centrale sotto il Presidente Karzai a Kabul, sebbene lo stesso Karzai, marionetta degli USA, passi per essere lui stesso un pashtun.

La questione riguarda l’Afghan National Army (l’Esercito Nazionale Afghano), che è stato creato dagli Stati Uniti dopo l’invasione del 2001. Gli alti ranghi dell’esercito afghano sono costituiti prevalentemente da tagiki provenienti dall’Alleanza del Nord che si era coalizzata con gli Stati Uniti contro i talibani pashtun. I tagiki parlano il dari, noto anche come persiano orientale. Altri ufficiali afghani provengono dal popolo degli hazara. La cosa importante da rilevare è che i pashtun si sentono degli esclusi.

La strategia USA si può meglio intendere come sforzo deliberato teso a perseguitare, attaccare ripetutamente, antagonizzare, assaltare, reprimere ed uccidere i pashtun. Il contingente di ulteriori 40mila soldati USA e NATO chiesto da Obama per l’Afghanistan si concentrerà nella provincia di Helmand e in altre aree in cui i pashtun sono maggiormente concentrati. Il risultato finale sarà quello di istigare alla ribellione i pashtun, ardentemente indipendenti, nei confronti di Kabul e dell’occupazione straniera, e allo stesso tempo di spingere molti di questi combattenti mujahiddin di recente radicalizzati ad attraversare la frontiera con il Pakistan, per dichiarare guerra al governo centrale ad Islamabad. Gli aiuti statunitensi giungeranno direttamente ai signori della guerra e ai signori della droga, incrementando in tal modo i movimenti centrifughi.

Dal lato del Pakistan, i pashtun sono stati allontanati dal governo centrale. Islamabad e l’esercito sono visti come emanazioni dirette dei punjabi, con qualche elemento di origine sindhi. Sul versante pakistano del territorio pashtun, le operazioni americane includono assassinii all’ingrosso perpetrati da velivoli senza pilota o da droni, omicidi effettuati dalla CIA e, secondo quanto si dice, dai cecchini della Blackwater, oltre a massacri terroristici alla cieca come quelli avvenuti di recente a Peshawar che i talibani del Pakistan attribuiscono alla Blackwater, che agisce in qualità di subcontractor della CIA. Queste azioni sono intollerabili ed umilianti per uno stato sovrano orgoglioso. Ogni qualvolta che i pashtun subiscono un attacco violento, essi accusano i punjabi di Islamabad per le loro losche trame con gli USA che rendono possibile che tutto questo avvenga.
L’obiettivo più immediato di Obama nell’escalation Afghanistan-Pakistan è quindi di promuovere una rivolta secessionista generale dell’intero popolo pashtun sotto gli auspici dei talibani, che dovrebbe avere già provocato la distruzione dell’unità nazionale sia di Kabul sia di Islamabad.


BELUCISTAN

L’altro gruppo etnico che la strategia di Obama mira a spronare all’insurrenzione ed alla secessione è quello dei beluci. I beluci hanno i loro motivi di scontento nei confronti del governo centrale iraniano di Teheran, che considerano in mano ai persiani. Una parte integrante della nuova politica di Obama è l’incremento dei voli letali dei Predator della CIA e di altri velivoli telecomandati sul Belucistan. Uno dei pretesti per tale politica è il reportage fatto circolare ad esempio da Michael Ware della CNN, secondo il quale Osama bin Laden ed il suo braccio destro legato alla risorsa MI-6 al-Zawahiri sarebbero entrambi rintanati nella città beluci di Quetta, dove opererebbero nelle vesti di capopopolo della cosiddetta "Shura di Quetta." Gli squadroni della Blackwater non possono essere molto distanti. Nel Belucistan iraniano, la CIA sta finanziando il Jundullah, un movimento sanguinario che è stato recentemente denunciato da Teheran per l’uccisione di un numero di alti ufficiali dei Pasdaran - Guardie della Rivoluzione iraniana. La ribellione dei beluci manderebbe in frantumi l’unità nazionale di Pakistan e Iran, favorendo in tal modo la distruzione di due dei principali bersagli della politica USA.


LA STRATEGIA DI OBAMA DELLA COMPLICAZIONE IN STILE RUBE GOLDBERG

Persino Chris Matthews della MSNBC, normalmente un devoto seguace di Obama, ha evidenziato che la strategia USA annunciata nel discorso di West Point assomiglia molto ad uno dei congegni di Rube Goldberg (nel mondo reale, "al-Qa'ida" è naturalmente la legione araba e terrorista della CIA). Nel mondo del mito ufficiale USA si suppone che il nemico sia "al-Qa'ida". Tuttavia, persino secondo il governo USA, ci sono alcuni preziosi combattenti di "al-Qa'ida" rimasti in Afghanistan. Perché quindi, si chiede Matthews, concentrare le forze USA in Afghanistan dove "al-Qa'ida" non c’è, anziché in Pakistan, dove si ritiene "al-Qa'ida" possa esserci ora?

Un membro eletto che ha criticato questa incongrua discrepanza è il senatore democratico del Wisconsin Russ Feingold il quale ha affermato, nel corso di un’intervista televisiva, che il «Pakistan, nella regione di confine vicina all’Afghanistan, è probabilmente l’epicentro [del terrorismo globale], sebbene al-Qa'ida sia attiva in tutto il mondo, in Yemen, in Somalia, nell’Africa settentrionale, con affiliati nel sudest asiatico. Perché dovremmo inviare centomila o più soldati in parti dell’Afghanistan che comprendono quelle che non sono nemmeno vicino alla frontiera? Sapete, questo concentramento si trova nella provincia di Helmand. Che non è precisamente la porta a fianco del Waziristan. Quindi mi chiedo: in che cosa consiste esattamente questa strategia, dato che abbiamo ben visto che c’è una presenza esigua di Al Qa'ida in Afghanistan, ma una presenza significativa in Pakistan? È evidente che una massiccia presenza di truppe effettive dove non si trova questa gente non è la strategia giusta. Per me non ha alcun senso.» Infatti. Il rappresentante democratico del Wisconsin ha anche messo in evidenza che la politica USA in Afghanistan potrebbe in realtà spingere terroristi ed estremisti verso il Pakistan e, di conseguenza, destabilizzare ulteriormente la zona: «Sapete, qualche tempo fa ho chiesto al Capo degli Stati Maggiori Riuniti, Ammiraglio Mullen, e a Holbrooke, il nostro inviato sul posto, se secondo loro sussista il rischio che, nel caso di concentrazione delle truppe in Afghanistan, un numero maggiore di estremisti venga dirottato verso il Pakistan» ha dichiarato alla ABC. «Non hanno potuto negarlo, e questa settimana il Primo Ministro del Pakistan Gilani ha dichiarato espressamente che la sua preoccupazione circa la concentrazione di truppe è che attirerà più estremisti in Pakistan, e quindi penso che si tratti del contrario, che questo dispiegamento massiccio di forze provochi l’ostilità della popolazione afghana e in particolare incoraggi ulteriori legami tra i talibani e al-Qa‛ida, la qual cosa è esattamente all’opposto rispetto all’interesse per la nostra sicurezza nazionale.»[1]


Naturalmente, tutto ciò è intenzionale e motivato dalla ragione di stato imperialista degli USA.


MALICK: "OBAMA HA DICHIARATO GUERRA AL PAKISTAN?"

Il discorso di Obama ha fatto il possibile per rendere poco chiara la distinzione tra l’Afghanistan ed il Pakistan, che dopo tutto sono due stati sovrani, entrambi membri a pieno titolo delle Nazioni Unite. Ibrahim Sajid Malick, corrispondente USA per Samaa TV, una delle maggiori reti televisive pakistane, ha richiamato l’attenzione su questa manovra: «Rivolgendosi a una sala piena di cadetti dell’Accademia Militare di West Point, il presidente Barack Obama sembrava sul punto di dichiarare guerra al Pakistan. Ogni volta che ha menzionato l’Afghanistan, prima ha menzionato il Pakistan. Seduto su una delle panche posteriori della sala ad un certo punto sono quasi sobbalzato quando ha detto: "la posta in gioco è ancora più alta in un Pakistan munito di armamenti nucleari, poiché sappiamo che al-Qa'ida ed altri estremisti sono alla ricerca di armi nucleari e abbiamo fondati motivi per pensare che le utilizzerebbero." Sono rimasto scioccato poiché una serie di funzionari americani ha recentemente confermato che l’arsenale pachistano è sicuro.»[2]

Questo articolo è intitolato "Obama ha dichiarato guerra al Pakistan?", e possiamo lasciare il punto interrogativo a discrezione della diplomazia. Durante alcune udienze del Congresso riguardanti il Generale McChrystal e l’ambasciatore USA Eikenberry, l’Afghanistan ed il Pakistan sono state semplicemente fuse in un’entità sinistra nota come "Afpak" o addirittura come "Afpakia."

Nell'estate del 2007, Obama, addestrato da Zbigniew Brzezinski e da altri suoi controllori, fu l'iniziatore della politica unilaterale USA volta a utilizzare aerei senza pilota Predator per compiere omicidi politici all'interno del Pakistan. Questa politica omicida è stata ora massicciamente sottoposta a escalation assieme alla capacità di soldati messa in campo: «Due settimane fa in Pakistan, cecchini della Central Intelligence Agency hanno ucciso otto persone sospettate di essere militanti dei talebani e di al-Qa'ida, e ne hanno ferito altri due presso una struttura che si diceva fosse usata per addestrare i terroristi. La Casa Bianca ha autorizzato un ampliamento del programma dei droni della CIA in aree tribali fuorilegge del Pakistan, hanno riferito funzionari questa settimana, per affiancare la decisione del presidente di inviare 30mila ulteriori soldati in Afghanistan. Funzionari americani stanno parlando con il Pakistan in merito alla possibilità di colpire in Belucistan per la prima volta - una mossa controversa in quanto si trova al di fuori delle aree tribali - perché è lì che si pensa siano nascosti i leader dei talebani afghani.»[3]

Gli Stati Uniti stanno ora addestrando più operatori di Predator che piloti da combattimento.


LA BLACKWATER ACCUSATA DELLA STRAGE DI DONNE E BAMBINI DI PESHAWAR


La CIA, il Pentagono, e i loro vari fornitori tra le imprese militari private sono ora nel mezzo di una folle ondata omicida in tutto il Pakistan, mentre attaccano villaggi pacifici e feste di matrimonio, tra gli altri obiettivi. La Blackwater, che ora si fa chiamare Xe Servces e Total Intelligence Solutions, è fortemente implicata: «in una base operativa segreta avanzata gestita dal Joint Special Operations Command statunitense (JSOC) nella città portuale pakistana di Karachi, i membri di una divisione d'élite della Blackwater sono al centro di un programma segreto in cui pianificano omicidi mirati di presunti talebani e di membri operativi di al-Qa'ida, "catture lampo" di obiettivi di alto valore e altre azioni sensibili all'interno e all'esterno del Pakistan, come ha scoperto un'inchiesta di “The Nation”. Gli operativi di Blackwater offrono assistenza anche nella raccolta di informazioni e aiutano a dirigere una campagna segreta di bombardamenti con droni militari USA che corre in parallelo ai ben documentati attacchi con i Predator della CIA, a quanto riferisce una fonte ben collocata all'interno dell'apparato di intelligence militare degli Stati Uniti.» [4]

Per quanto sconvolgente sia il rapporto Scahill, deve tuttavia essere considerato come uno scaltro tentativo di limitare i danni, poiché non vi è alcuna menzione delle accuse persistenti sul fatto che gran parte degli attentati letali a Peshawar e in altre città pakistane sono stati perpetrati da Blackwater, come suggerisce questa notizia: «ISLAMABAD 29 ottobre (Xinhua) - Il capo del movimento dei talibani in Pakistan, Hakimullah Mehsud, ha accusato la controversa ditta privata americana Blackwater per la bomba esplosa a Peshawar, che ha ucciso 108 persone, ha riferito giovedì l'agenzia di stampa locale NNI.» [5 ]

Questo è stato del terrorismo cieco progettato per provocare il massimo del massacro, soprattutto tra le donne e i bambini.


STATI UNITI IN GUERRA ANCHE CON L'UZBEKISTAN?


Il rapporto Scahill suggerisce inoltre che operazioni segrete USA hanno raggiunto l'Uzbekistan, un paese post-sovietico di 25 milioni di abitanti che confina con l'Afghanistan a nord: «Oltre a pianificare attacchi con i droni e operazioni contro forze sospettate essere di al-Qa'ida e dei Talebani in Pakistan sia per JSOC sia per la CIA, il team della Blackwater a Karachi aiuta anche a pianificare missioni per il JSOC all'interno dell'Uzbekistan contro il Movimento Islamico dell'Uzbekistan», riporta la fonte di intelligence militare. Blackwater in realtà non conduce le operazioni, ha riferito, poiché sono eseguite sul terreno da parte delle forze JSOC. «Questo ha stimolato la mia curiosità e mi preoccupa assai, perché non so se ci avete fatto caso, ma non mi è mai stato detto che siamo in guerra con l'Uzbekistan», ha affermato. «Così, mi son perso qualcosa, Rumsfeld è forse ritornato al potere?» [6] Tali sono le vie della speranza e del cambiamento.

Il ruolo dell'intelligence USA nel fomentare la ribellione del Belucistan al fine di spezzettare il Pakistan è confermato anche dal professor Chossudovsky: Già nel 2005, un rapporto del National Intelligence Council USA e della CIA prevedeva un “destino jugoslavo” per il Pakistan «nel tempo di un decennio con il paese lacerato dalla guerra civile, i bagni di sangue e le rivalità inter-provinciali, come si è visto recentemente in Belucistan.» («Energy Compass», 2 marzo 2005). Secondo il NIC-CIA, il Pakistan è destinato a diventare uno "stato fallito" entro il 2015, “una volta che sia colpito dalla guerra civile, la talibanizzazione completa e la lotta per il controllo delle armi nucleari”. (Citato dall'ex Alto Commissario del Pakistan per il Regno Unito, Wajid Shamsul Hasan, «Times of India», 13 febbraio 2005). Washington favorisce la creazione di un "Grande Belucistan", che dovrà integrare le aree Beluci del Pakistan con quelle dell'Iran e possibilmente della punta sud dell'Afghanistan, portando quindi a un processo di frattura politica in Iran e in Pakistan.» [7]

Gli iraniani , da parte loro, sono convinti che gli Stati Uniti stiano commettendo atti di guerra sul loro territorio in Belucistan: «Teheran, 29 ottobre (Xinhua) – Il presidente del Parlamento iraniano Ali Larijani ha detto che ci sono alcune prove concrete che dimostrano il coinvolgimento degli Stati Uniti nelle recenti esplosioni di ordigni mortali nella provincia del Sistan-Belucistan del paese, a quanto riferisce l'agenzia di stampa ufficiale IRNA.. L'attentato mortale suicida da parte del gruppo ribelle sunnita Jundallah (soldati di Dio) si è verificato il 18 ottobre nella provincia iraniana del Sistan-Belucistan, vicino al confine con il Pakistan, quando i funzionari locali stavano preparando una cerimonia in cui i leader tribali locali avrebbero dovuto incontrare i comandanti militari del Corpo dei guardiani della rivoluzione dell'Iran (pasdaran)» [8].


L'OBIETTIVO USA: TAGLIARE IL CORRIDOIO ENERGETICO PAKISTANO TRA IRAN E CINA

Perché gli Stati Uniti sono così ossessionati dall'intento di spaccare il Pakistan? Uno dei motivi è che il Pakistan è tradizionalmente un alleato strategico e un partner economico della Cina, un paese che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna sono determinati a contrastare e contenere sulla scena mondiale. In particolare, il Pakistan potrebbe funzionare come un corridoio energetico in grado di collegare i giacimenti petroliferi dell'Iran e perfino dell'Iraq con il mercato cinese per mezzo di un gasdotto che attraverserebbe l'Himalaya sopra il Kashmir. Si tratta della cosiddetta questione del "Pipelinestan". Questo garantirebbe alla Cina un approvvigionamento di petrolio ancorato alla terraferma non soggetto alla superiorità navale anglo-americana, oltre a tagliare la rotta di 12mila miglia delle petroliere lungo il bordo meridionale dell'Asia. Come sottolinea un recente reportage: «Pechino ha fatto pressioni su Teheran per la partecipazione della Cina al progetto di oleodotto e Islamabad - mentre intendeva firmare un accordo bilaterale con l'Iran - ha parimenti accolto con favore la partecipazione della Cina. Secondo una stima, un tale oleodotto si tradurrebbe nel fatto che il Pakistan riceverebbe tra i 200 e i 500 milioni di dollari all'anno in tariffe di solo transito. Cina e Pakistan stanno già lavorando su una proposta di posa di un oleodotto trans-himalayano per trasportare il greggio mediorientale fino alla Cina occidentale. Il Pakistan offre alla Cina il più breve percorso possibile per importare petrolio dai paesi del Golfo. La conduttura, che andrebbe dal porto meridionale pakistano di Gwadar e seguirebbe l'autostrada del Karakorum, sarebbe in parte finanziata da Pechino. I cinesi stanno anche costruendo una raffineria a Gwadar. Le importazioni attraverso l'uso dell'oleodotto consentirebbero a Pechino di ridurre la quota del suo petrolio spedita attraverso l'angusto e insicuro Stretto di Malacca, lungo il quale oggi fa transitare fino all'80% delle sue importazioni di petrolio. Islamabad prevede inoltre di estendere una linea ferroviaria in Cina per collegarla a Gwadar. Il porto è considerato anche il probabile capolinea dei previsti gasdotti multimiliardari provenienti dai campi di Pars sud in Iran o dal Qatar, e dai campi Daulatabad in Turkmenistan per l'esportazione verso i mercati mondiali. Syed Fazl-e-Haider, “Pakistan, Iran sign gas pipeline deal” ("Pakistan, l'Iran firma l'accordo sul gasdotto", NdT), «Asia Times», 27 maggio 2009. [9]

Questo è il normale, pacifico progresso economico e la cooperazione che gli anglo-americani vogliono fermare a tutti i costi.

Oleodotti e gasdotti dall'Iran attraverso il Pakistan e fino alla Cina porterebbero le risorse energetiche nel Regno di Mezzo, e servirebbero anche come nastri trasportatori per l'influenza economica cinese in Medio Oriente. Ciò renderebbe il dominio anglo-americano sempre più tenue in una parte del mondo che Londra e Washington hanno tradizionalmente cercato di controllare come parte della loro strategia globale di dominazione del mondo.

La propaganda interna degli Stati Uniti sta già raffigurando il Pakistan come la nuova casa madre del terrorismo. I quattro patetici capri espiatori che vanno a processo per una presunta trama volta a bombardare una sinagoga nel quartiere Riverdale del Bronx a New York erano stati accuratamente messi in incubazione (“sheep-dipped”, nell'originale, ossia “inzuppati come pecore”, NdT) per associarli con l'ombroso e sospetto Jaish-e-Mohammad, presumibilmente un gruppo terrorista pakistano. Lo stesso vale per i cinque musulmani del Nord Virginia che sono appena stati arrestati nei pressi di Lahore in Pakistan.


INDIA E IRAN

Per quanto gli Stati confinanti siano interessati, l'India posta sotto lo sfortunato Manmohan Singh sembra accettare il ruolo di pugnale continentale contro il Pakistan e la Cina, a nome degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. Questa è una ricetta per una tragedia colossale. L'India dovrebbe piuttosto fare una pace permanente con il Pakistan, con lo sgombero della Vale del Kashmir, dove il 95% della popolazione è musulmana e desidera unirsi al Pakistan. Senza una soluzione a questo problema, non ci sarà pace nel subcontinente.

Per quanto riguarda l'Iran, George Friedman, il capo della società Stratfor, facente parte della comunità di intelligence degli Stati Uniti, ha recentemente dichiarato a Russia Today che la grande novità del prossimo decennio sarà un'alleanza degli Stati Uniti con l'Iran, diretta contro la Russia. In tale scenario, l'Iran alla Cina taglierebbe del tutto il petrolio. Che è l'essenza della strategia di Brzezinski. È urgente che il movimento contro la guerra negli Stati Uniti si riunisca e inizi una nuova mobilitazione contro la cinica ipocrisia delle politiche di guerra ed escalation intraprese da Obama, che supera anche i crimini di guerra dei neocon Bush-Cheney. In questa nuova fase del Grande Gioco, la posta in palio è incalcolabile.

Note e riferimenti:

  1. Feingold: Why Surge Where Al Qaeda Isn’t ?, by Sam Stein, Huffington Post, December 6, 2009.
  2. Ibrahim Sajid Malick, “Did Obama Declare War On Pakistan?,” Pakistan for Pakistanis Blog, 2 December 2009.
  3. Scott Shane, “C.I.A. to Expand Use of Drones in Pakistan,” New York Times, December 3, 2009. See also David E. Sanger and Eric Schmitt, “Between the Lines, an Expansion in Pakistan,” New York Times, 1 December 2009.
  4. Jeremy Scahill , “The Secret US War in Pakistan,” The Nation, November 23, 2009
  5. Taliban in Pakistan blame U.S. Blackwater for deadly blast,” Xinhua News Agency, 29 October 2009, http://news.xinhuanet.com/english/2009-10/29/content_12358907.htm
  6. Jeremy Scahill , “The Secret US War in Pakistan,” The Nation, November 23, 2009
  7. Michel Chossudovsky, The Destabilization of Pakistan, Global Research , December 30, 2007
  8. Iran says having evidences of U.S. involvement in suicide bomb attacks,” Xinhua, 29 October 2009.
  9. Asia Times : "Pakistan, Iran sign gas pipeline deal"



Fonte: http://www.rense.com/general88/pak.htm.

Webster Tarpley è uno storico, giornalista investigativo, conferenziere e critico della politica estera e interna statunitense. Le sue opere più recenti sono "Obama, the postmodern coup, the making of a Manchurian Candidate", "Barack Obama: The Unauthorized Biography" nonché "9/11 Synthetic Terror" la cui versione italiana ha per titolo "La Fabbrica del Terrore". Tarpley ha vissuto in Italia durante gli anni della contestazione e negli anni di piombo. Sulla vicenda di Aldo Moro diresse una commissione indipendente d'inchiesta su incarico del parlamentare DC Giuseppe Zamberletti. I risultati furono pubblicati nel volume Chi ha ucciso Aldo Moro, 1978.


14 dicembre 2009

Il corpo violato della Seconda Repubblica

di Pino Cabras - da Megachip.


«Un uomo in sofferenza psichica ha colpito un altro uomo in sofferenza psichica che credeva di essere invincibile anche durante i bagni di folla. Tutto qui». Fra migliaia di commenti apparsi su Facebook per parlare del corpo di Silvio Berlusconi violato a Milano mi ha stupito questo. Riesce, paradosso dei tempi, a rassicurare. Ma non sono tempi rassicuranti.


La tempesta perfetta che si addensa intorno alla Seconda Repubblica vede entrare in gioco tutti gli elementi tipici di una crisi politica italiana. È già accaduto nel 1947-48 e anche nel 1992-94, quando invece crollava la Prima Repubblica. E quindi, anche oggi, ecco la mafia, i grandi processi, i riposizionamenti politici, le trame dei settori più opachi degli apparati statali. E poi lo sguardo degli altri paesi. E la partecipazione popolare, che cerca forma e colore mentre - e questo vale per le ultime due crisi - i partiti evaporano. Sullo sfondo incombe la Grande Crisi economica e finanziaria, che comincia a mordere sempre di più e si presenta come una variabile troppo grossa per essere prevedibile. Tutti intervengono, chi con un piano, chi per reazione.

Un pazzo però è un pazzo, e sfugge a tutti i criteri normali. Inserisce una fuga narrativa incomprensibile in mezzo a giochi più grandi e apparentemente razionali.

Pazzo un Pallante che spara a Togliatti, ad esempio.

Non parliamo dell'America che ha visto Oswald tirato in ballo per JFK, Sirhan Sirhan per RFK e Hinckley per Reagan, tre pazzi manovrati inseriti in dinamiche ben più misteriose, con complicità interne agli apparati di sicurezza.

Potrebbe sempre bastarci la spiegazione in apertura, per leggere pacatamente l'episodio dell'aggressione, ma siamo dentro una di quelle dinamiche del potere che richiedono attenzioni eccezionali. Il tramonto della Seconda Repubblica è una crisi costituzionale di prim'ordine, giocata da protagonisti «del tutto» spregiudicati, in primis lo stesso Berlusconi e tutto il suo apparato, a sua volta capace di confessare impunemente terribili bufale mediatiche per fini politici, come nel caso Feltri-Boffo, ultimo episodio di una lunga serie. È un contesto eccezionale in cui nulla sembra essere come sembra. Non dobbiamo fidarci delle ricostruzioni interessate, non dobbiamo credere ai provocatori, a coloro che vorranno creare assurdi paralleli fra le manifestazioni democratiche e la violenza, fra la critica e l'odio.

«Calma, non perdete la testa» disse Togliatti al risveglio dall'anestesia. Era la preoccupazione di uno dei co-fondatori della nostra democrazia. Si spera che nessuno le perda anche oggi. E la testa, e la democrazia.

Il contesto si sta mostrando subito pericoloso: sento i cani da guardia del PDL che vogliono attribuire la responsabilità della violenza agli avversari in blocco; ma leggo l'immaturità politica di una parte del “popolo viola” in rete che fa cascare le braccia. Converrà loro maturare in fretta.

Seconda Repubblica è un termine impreciso. Ai costituzionalisti non piace, e dal loro punto di vista hanno formalmente ragione. Però spiega tante cose. La Prima Repubblica era un sistema di partiti e al centro stava la DC, all'opposizione il PCI. Crollò durante una “tempesta perfetta”, Tangentopoli. La Seconda Repubblica ha visto un radicale cambiamento del sistema dei partiti e al centro stava il sistema di potere di Silvio Berlusconi, con avversari sempre più deboli e alla fine finti. Ogni pezzo di potere e di contropotere ha definito se stesso in funzione di un accomodamento con questa ingombrante presenza. Ciò che non si accomodava è stato come una polvere che via via si accumulava sotto il tappeto, pronta a sbuffare fuori prima o poi. Questa polvere compone ad esempio i fantasmi del 1992-1994.

La domanda sulle stragi, su chi le volle, chi ne beneficiò e come, non avendo avuto risposte, si ripropone con nuova forza al momento della crisi.

La polvere delle finanze pubbliche è rimasta tanta, perché le caste e le cosche non hanno voluto pagare prezzi, mai. Oggi, da Dubai ad Atene, i prezzi si pagano. Presto si pagheranno anche a Milano e Roma.

Il sistema della comunicazione ha visto rafforzare la presa di Berlusconi con la storica complicità dei gruppi dirigenti del centrosinistra.

L'autorità giudiziaria ha ereditato un enorme patrimonio di credibilità che solo in parte ha bilanciato le enormi tensioni a cui l'ha sottoposta il motore della Seconda Repubblica, tanto che anche lì si insabbiano le inchieste politiche scomode (vedi “Why Not?”), con benedizioni dal Colle e silenzi dal PD.

C'è meno democrazia, meno coscienza del bene comune. Gli interessi sono frantumati e dispersi. C'è un senso di debolezza che sembra lambire tutti i poteri un tempo definiti “forti”. È più debole perfino Cosa Nostra, l'«organizzazione terroristico-mafiosa» di cui parla Spatuzza. Ed essendo più debole reagisce e ricatta, da socio in affari che non si fa mai scaricare, a costo di spargere sangue e veleni. Il ricatto colpisce e terrorizza il cuore della Seconda Repubblica, Silvio. E anche Silvio è più debole, ricattabile, prigioniero di promesse impossibili. Continuerà a farle, e non solo in Italia. Nel momento in cui riposiziona alcune scelte geopolitiche passando per Mosca, trova mille soldati da spedire a Kabul per placare le irritazioni di Washington. Altri leader meno ricattabili non sono stati altrettanto compiacenti. Dove troverà i soldi? Non mi aspetto barricate da PD e Di Pietro, visti i precedenti, ma vedremo. Di certo è un momento pericoloso, per le fughe in avanti.

Il corpo di Silvio farà di tutto per proclamare la sua improfanabilità in ogni aspetto del suo regime personale. Cercherà di rompere l'assedio. In alcuni casi cedendo a ricatti, in altri ricattando i ricattabili.

Chi crede nella democrazia sarà chiamato a organizzare un'alternativa politica seria, attenta a non farsi devastare dall'eterna Italia eversiva e gattopardesca, che continuerà a giocare tutte le sue carte.


12 dicembre 2009

Obama: Uccellino Solingo a Oslo

di Pino Cabras – da Megachip.



Era possibile anche rifiutarlo quel Nobel? Certo che sì. Obama però non è Sartre, e questo non era il Nobel della Letteratura, e ha quindi scelto di accettarlo, sapendo che non era facile pronunciare un discorso come quello richiesto dall'occasione di Oslo. Uno strano esperimento davvero.

Il capo di un Impero che aumenta ancora le spese militari rispetto ai tempi dell'Imperatore guerrafondaio che lo precedeva, il leader di un paese che spende in armamenti più degli altri paesi tutti insieme, non poteva fare finta di essere altro e infatti non ha fatto finta. Allo stesso tempo il leader rivestito di un'inedita immagine irenica, il catalizzatore del potere dialogante che spinge il tasto 'reset' nelle relazioni internazionali, non poteva nascondere di aver fatto scrivere la parola “speranza” nei suoi manifesti elettorali.

Perciò quelli che gli scrivono i discorsi hanno dovuto sudare più del solito. I cerchiobottisti del «Corriere della Sera» sono dilettanti, a confronto.

Il fine dicitore che passa per grande oratore era chiamato a una prestazione estrema: leggere il discorso come sempre dal gobbo dei teleprompter con la faccia del predicatore che sa parlare a braccio, mantenere un tono aulico, ma moderno, rassicurare le pulsioni militari nel suo paese, e promettere però aperture nel mondo, senza allontanarsi dalle verità ufficiali dell'era Bush-Cheney (con tutto il corredo di al-Qa'ida e altre iperboli di Stato) e lì a concedersi tuttavia alla paziente opera delle diplomazie.

Se leggete il discorso, vedete che è stato limato e cesellato con una perizia che non ha lasciato nulla al caso. Ogni frenata sul lato pace è impressa negli stessi istanti in cui si dà più gas sul lato della guerra centroasiatica. Ogni retrospettiva patriottica sul provvidenziale ruolo dell'America per le “magnifiche sorti e progressive” della pace mondiale attinge a decine di discorsi dei suoi predecessori, badando bene a non far cenni al Vietnam. Menziona vari conflitti in corso, ma in modo totalmente piegato alle esigenze della Israel Lobby. In queste settimane, per dirne una, Israele ha indurito l'assedio del più grande campo di prigionia del mondo, Gaza, tagliando perfino la fornitura del gas, essenziale per i bisogni più basilari della martoriata popolazione civile palestinese. Obama è riuscito solo ad accennare che lo preoccupa «il conflitto fra arabi ed ebrei che sembra inasprirsi.» Una formulazione estremamente generica.

Per il resto ha implicitamente formulato una sorta di dottrina della “guerra giusta” che a molte anime belle basterà per dire che secondo Obama la guerra è brutta, anche se la fa, e magari la fa perfino più grande e più costosa. È una dottrina Bush priva dell'aberrazione di voler teorizzare la legittimità della guerra preventiva e di Guantanamo. Obama ribadisce di voler chiudere il gulag caraibico, ma non sembra riuscirci. E quanto alla 'guerra preventiva', certo ora non è teorizzata, ma come dovremmo chiamare l'escalation in Pakistan?

In definitiva l'esercizio stilistico di Oslo era tecnicamente interessante, ma non poteva coprire l'inadeguatezza di fondo del personaggio a soddisfare il requisito del Nobel per la pace: essere «la persona che [nel corso dell'anno precedente] abbia più o meglio lavorato per la fraternità fra le nazioni, l'abolizione o la riduzione degli eserciti permanenti, nonché per l'incontro e la diffusione del progresso per la pace».

Il risultato stilistico del discorso di Obama a me ha ricordato – a causa delle sue forzature, i silenzi autoimposti, conciliati però con una forma impeccabile – quel gioco linguistico chiamato “lipogramma”, nel quale dovete riscrivere un testo imponendovi di rinunciare a una lettera. Tutti conoscete il “Passero Solitario” di Giacomo Leopardi. Umberto Eco si era divertito a scriverne una versione lipogrammatica che ignorava la lettera “a”, mantenendo tuttavia un lessico leopardiano:


Uccellino Solingo
Sul tetto del torrione oggi vetusto
Uccellino solingo verso il rure
Sempre gorgheggi sin che muore il giorno
E per costoni scendono i tuoi suoni.


Poi i versi continuano, altrettanto perfetti.
Tecnicamente da applauso, no? Eppure non potranno sollevarsi al tono poetico di Leopardi, né sostituirvisi. Né Eco lo pretenderebbe.

Gli entusiasti di Obama vorrebbero invece che scambiassimo un discorso ben “limato” con una effettiva verità politica.
Ma quel discorso resta “Solingo Uccellino”, non “Passero Solitario”.
Le lettere che mancano sono importanti, nella fragile economia delle parole che raccontano la guerra. Cominciano a mancarne troppe, intanto che sopravvivono le leggi d'eccezione, la costituzione materiale, tutto il corpus giuridico proveniente dalla precedente amministrazione, senza che si sia manifestata una classe dirigente capace di una svolta all'altezza della Grande Crisi.

4 dicembre 2009

Obama: un Vietnam in versione "lite"

di Pepe Escobar - «Asia Times».


Gli Stati Uniti si trovano nel mezzo della più grave crisi occupazionale dai tempi della Grande Depressione, e il Presidente Barack Obama sta seguendo le orme di George W. Bush dispensando trilioni di dollari a poche grandi banche. I contribuenti americani non hanno avuto nulla. E adesso si prendono la ciliegina sulla torta, con Obama che intensifica la sua guerra in Afghanistan.

Un Vietnam in versione “lite” con una provvisoria data di scadenza, luglio 2011, per l'inizio di un ritiro.

Il tanto pubblicizzato discorso tenuto da Obama martedì sera a West Point – ritoccato fino all'ultimo dal presidente in persona – era una scaltra rimasticatura del fardello dell'uomo bianco, con la sicurezza nazionale americana avvolta nel glorioso manto della “nobile lotta per la libertà”.

A un livello più pedestre è vero che la storia si ripete, ma come farsa. Con il surge [incremento truppe, N.d.T.] in versione “lite” di Obama, le truppe di occupazione USA e NATO raggiungeranno nella prima metà del 2010 il livello dell'occupazione sovietica al suo punto più alto, nella prima metà degli anni Ottanta. E tutta questa formidabile potenza di fuoco per combattere non più di 25.000 taliban afgani, solo 3000 dei quali armati di tutto punto.

Ciascun soldato del nuovo surge di Obama (parola che non ha mai pronunciato nel suo discorso, tranne quando si è riferito a un “surge di civili”) costerà un milione di dollari – benché il Pentagono insista nel dire che è solo mezzo milione.

Gli uomini veri vanno a Riyadh
Obama continua a ripetere che l'Afghanistan è una “guerra di necessità”, per via dell'11 settembre. Sbagliato. L'amministrazione Bush aveva pianificato l'attacco all'Afghanistan già prima dell'11 settembre. (Si veda Get Osama! Now! Or else ..., Asia Times Online, 30 agosto 2001.)

“Guerra di necessità” è un educato remix della vecchia “guerra al terrore” dei neocon: date la colpa ai tizi con l'asciugamano in testa e sfruttate l'ignoranza e la paura dell'opinione pubblica. Fu così che al-Qaeda fu equiparata ai taliban e che il leader iracheno Saddam Hussein venne coinvolto nell'11 settembre dalla cricca dei neoconservatori.

Al di là della sua nobile retorica Obama continua a comportarsi come Bush, non facendo distinzione tra al-Qaeda – un'organizzazione araba che pratica il jihad e il cui obiettivo è un califfato globale – e i taliban, afghani autoctoni che vogliono un emirato islamico in Afghanistan ma non avrebbero scrupoli a far affari con gli Stati Uniti, come fecero all'epoca dell'amministrazione Clinton quando gli Stati Uniti volevano a tutti i costi costruire un gasdotto trans-afghano. E inoltre Obama non può ammettere che i neo-taliban “Pak” adesso esistono a causa dell'occupazione statunitense dell'“Af”.

Mettendocela tutta per distanziare la sua nuova strategia dal trauma del Vietnam, Obama ha sottolineato che “Diversamente dal Vietnam, il popolo americano è stato malignamente attaccato dall'Afghanistan”. Sbagliato. Se la ricostruzione ufficiale dell'11 settembre regge, i dirottatori furono addestrati in Europa Occidentale e perfezionarono le loro tecniche negli Stati Uniti.

E quando sottolinea gli sforzi per “disgregare, smantellare e sconfiggere” al-Qaeda e per negarle un “rifugio sicuro”, Obama contraddice in tutto e per tutto il suo consigliere per la sicurezza nazionale, il General James Jones, il quale ha ammesso che in Afghanistan ci sono meno di 100 jihadisti di al-Qaeda.

Il mito di al-Qaeda va smascherato. Come ha potuto al-Qaeda mettere in atto l'11 settembre e tuttavia essere incapace di organizzare un solo significativo attentato in Arabia Saudita? Perché al-Qaeda è essenzialmente una brigata mal camuffata dei servizi segreti sauditi. Gli Stati Uniti vogliono vincere “la guerra al terrore”? Perché non mandare dei corpi speciali in Arabia Saudita anziché in Afghanistan e far fuori i wahhabiti, che stanno alla base di tutto?

Obama avrebbe perlomeno potuto far caso a quello che ha detto ad al-Jazeera Gulbuddin Hekmatyar, il famigerato guerrigliero afghano, ex protetto dell'Arabia Saudita, ex beniamino della CIA e attuale nemico degli Stati Uniti. “Il governo taliban in Afghanistan è caduto a causa della strategia sbagliata di al-Qaeda”, ha sottolineato Hekmatyar.

È una vivida descrizione dell'attuale completa frattura tra al-Qaeda e i taliban, entrambi “Af” e “Pak”. I taliban afghani, a cominciare dal loro leader storico, il Mullah Omar, hanno imparato dal loro grave errore, e non permettono agli arabi di al-Qaeda di avvelenare l'Afghanistan. Analogamente, l'ascesa del neo-talibanismo di qua e di là del confine non si traduce necessariamente in un “rifugio sicuro” per al-Qaeda. I jihadisti di al-Qaeda si nascondono presso pochi selezionati e prezzolati elementi tribali che i servizi segreti pakistani potrebbero localizzare all'istante, se solo lo volessero.

Obama ha anche accettato la premessa del Pentagono secondo cui l'America può ricolonizzare l'Afghanistan con la contro-insurrezione.

Secondo la dottrina del Generale David “Mi sto sempre posizionando in vista delle elezioni del 2012” Petraeus, la proporzione soldati/autoctoni dev'essere 20 o 25 su 1000 afghani. Adesso Petraeus e il Generale Stanley McChrystal ne hanno ottenuti altri 30.000. Inevitabilmente i generali – proprio come nel Vietnam, che a Obama piaccia o no – chiederanno molto di più, fino a ottenere quello che vogliono; almeno 660.000 soldati, più tutti gli extra. Al momento gli Stati Uniti hanno circa 70.000 soldati in Afghanistan.

Questo significherebbe ripristinare la coscrizione negli Stati Uniti. E sono altri trilioni che gli Stati Uniti non hanno e che dovranno prendere in prestito... dalla Cina.

E a cosa porterebbe? Negli anni Ottanta la potente armata rossa sovietica ha usato tutti gli espedienti della contro-insurrezione a sua disposizione. I sovietici hanno ucciso un milione di afghani. Hanno fatto cinque milioni di profughi. Hanno perso 15.000 soldati. Hanno praticamente mandato l'Unione Sovietica in bancarotta. Ci hanno rinunciato. E se ne sono andati.

E il nuovo grande gioco?
Ma allora perché gli Stati Uniti sono ancora in Afghanistan? Con uno sguardo in macchina, come rivolgendosi al “popolo afghano”, il presidente ha detto: “non abbiamo interesse a occupare il vostro paese”. Ma non poteva dire le cose come stanno agli spettatori americani.

Per l'America delle corporazioni l'Afghanistan non significa nulla; è il quinto paese più povero del mondo, una società tribale e decisamente non consumistica. Ma per le grandi compagnie petrolifere statunitensi e per il Pentagono l'Afghanistan ha un gran fascino.

Per il Big Oil, il sacro graal è l'accesso al gas naturale del Turkmenistan proveniente dal Mar Caspio, cioè il Pipelineistan nel cuore del nuovo grande gioco in Eurasia, evitando sia la Russia che l'Iran. Ma non c'è modo di costruire un gasdotto enormemente strategico come il TAPI (Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India) – attraverso la provincia di Helman e il Balochistan pakistano – con un Afghanistan che si trova nel caos grazie alle misere imprese dell'occupazione USA/NATO.

C'è interesse a sorvegliare/controllare un traffico di droga da 4 miliardi di dollari l'anno, direttamente e indirettamente. Fin dall'inizio dell'occupazione USA/NATO l'Afghanistan è diventato un narco-Stato de facto, producendo il 92% dell'eroina mondiale per una serie di cartelli narco-terroristici internazionali.

E c'è la dottrina del dominio ad ampio spettro del Pentagono per cui l'Afghanistan fa parte dell'impero mondiale delle basi statunitensi, che controllano da vicino competitori strategici come la Cina e la Russia.

Obama ha semplicemente ignorato che in Eurasia si sta svolgendo un nuovo grande gioco dalla posta vertiginosamente alta. E così, a causa di tutto quello che Obama non ha detto a West Point, gli americani si sorbiscono una “guerra di necessità” che sta prosciugando trilioni di dollari che potrebbero essere impiegati per ridurre la disoccupazione e aiutare davvero l'economia statunitense.

Anche noi sappiamo fare i surge
Inevitabilmente i taliban metteranno in atto a loro volta un ben coordinato contro-surge. Già adesso, senza surge e nonostante tutti i piani di contro-insurrezione di Petraeus, hanno catturato la provincia del Nuristan. E ve lo ricordate il surge estivo di Obama nella provincia di Helmand? Be', Helmand è ancora la capitale mondiale dell'oppio.

Nel suo discorso Obama ha cercato con tutti i mezzi di dare l'impressione che la guerra afghana possa essere controllata da Washington. È impossibile.

Con tutte le sue promesse di “cooperazione con il Pakistan” (menzionato 21 volte nel discorso) Obama non ha potuto in alcun modo ammettere che il suo surge versione “lite” destabilizzerà il Pakistan ancor di più. Al contrario potrebbe affidare la guerra al Pakistan. Invece di fissare, come ha fatto Obama, il luglio 2011 come data per il possibile inizio di un ritiro, comunque subordinato alle “condizioni sul terreno”, questa vera strategia d'uscita dovrebbe fissare una tempistica per un ritiro completo. Islamabad sarebbe così libera di fare quello che non è stato possibile né ai sovietici né agli americani: sedersi con i capi tribù e negoziare attraverso una serie di jirga (concili tribali).

Obama scommette su quella che definisce “transizione delle responsabilità agli afghani”. È un miraggio. I servizi di sicurezza pakistani – che vedono ancora l'Afghanistan in termini di “profondità strategica” e di spazio di manovra nel contesto più ampio di un conflitto con l'India – non permetterà mai che ciò avvenga rigorosamente alle condizioni afghane. Non sarà corretto nei confronti degli afghani, ma così stanno le cose.

In Afghanistan praticamente tutti ritengono – giustamente – che Hamid Karzai sia il Presidente dell'occupazione. Karzai, che a malapena riesce a restare aggrappato al suo trono a Kabul, è stato imposto nel dicembre 2001 al re Zahir Shah dal proconsole di Bush Zalmay Khalilzad dopo una rovente discussione, ed è stato di recente confermato in un'elezione alla americana, palesemente truccata. Lo stile americano non è lo stile afghano. Il collaudato stile afghano si è basato per secoli sulla loya jirga – un grande concilio tribale in cui tutti partecipano, discutono e infine raggiungono un consenso.

Dunque il finale di partita in Afghanistan non può essere molto diverso da una spartizione del potere all'interno di una coalizione, con i taliban nel ruolo di partito più forte. Perché? Basta esaminare la storia della guerriglia dall'Ottocento in poi, o ripensare al Vietnam. I guerriglieri che combattono più strenuamente contro gli stranieri l'hanno sempre vita. E perfino con una fetta del potere ai taliban a Kabul, i potenti vicini dell'Afghanistan – il Pakistan, l'Iran, la Cina, la Russia, l'India – si assicureranno che il caos non superi i loro confini. È un affare asiatico, questo, che deve essere risolto dagli asiatici; è una buona ragione per trovare una soluzione nell'ambito della Shanghai Cooperation Organization (SCO, Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione).

Nel frattempo, c'è la realtà. Il dominio ad ampio spettro del Pentagono ha ottenuto quello che cercava, per ora. Chiamatela vendetta dei generali. Chi vince, a parte loro? Il guerriero da salotto australiano David Kilcullen, consigliere e ghostwriter di Petraeus e McChrystal considerato un semidio dai guerrafondai di Washington. Alcuni neocon moderati; di certo non l'ex vice presidente Dick Cheney, che ha condannato la “debolezza” di Obama. E complessivamente tutti coloro che hanno sottoscritto il concetto di “guerra lunga” del Pentagono.

Due settimane prima di andare a Oslo per accettare il Premio Nobel per la Pace, Obama vende al mondo il suo nuovo Vietnam in versione “lite” tenendo un discorso in un'accademia militare. Onore a George Orwell. È proprio vero che la guerra è pace.

Originale: Vietnam-lite is unveiled

Traduzione di Manuela Vittorelli. Articolo originale pubblicato il 2/12/2009

Manuela Vittorelli è membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica. Questo articolo è liberamente riproducibile, a condizione di rispettarne l'integrità e di menzionarne autori, traduttori, revisori e la fonte.

Fonte versione italiana: mirumir.altervista.org.

Ripreso da Megachip.

2 dicembre 2009

11/9: come disarmare gli F-16 che proteggevano Washington

di Wayne Madsen - Online Journal

Un'esercitazione militare che disarma i caccia. Il comandante che muore in un incidente alla metropolitana. Le fatalità di una difesa inceppata. Altri appunti sull'11/9, lato Washington DC. Materiali per nuove inchieste.

Il Wayne Madsen Report (WMR) ha appreso da fonti informate dell’intelligence militare USA che - dopo che un monomotore Cessna venne rubato da un campo di aviazione a nord di Baltimora dall’apprendista di volo Frank Corder il 12 settembre 1994, fino a farlo volare sul Prato Sud della Casa Bianca, sbattendo sul lato ovest del palazzo presidenziale - il Dipartimento della Difesa prese delle misure volte a contrastare qualsiasi futuro incidente che avesse implicato missioni suicide con aerei. Nell'incidente del 1994, Corder rimase ucciso nello schianto del Cessna sul prato della Casa Bianca.

Alla Guardia aerea nazionale del Distretto federale con sede alla base di Andrews dell’Air Force, in Maryland, fu ordinato di mantenere due aerei F-16 pronti all’uso e armati con due missili a ricerca di calore.

La ratio era che, con un piccolo aereo come un Cessna, i missili a ricerca di calore erano da preferire ai sistemi a ricerca radar. Di fatto, due F-16 sono stati sempre mantenuti in stato di allerta a Andrews e armati, per certo, fino all’11 settembre 2001.

Anche in risposta allo schianto del Cessna, alcuni addetti del Secret Service della Casa Bianca equipaggiati con lanciatori portatili di missili terra-aria furono disposti sul tetto del palazzo presidenziale.

Durante quella mattina particolare, era in corso un’esercitazione che ha portato i due F-16 tenuti in stand-by a volare privi dei loro missili a ricerca di calore. Quando si decise che gli aerei dovevano essere distolti dallo status di esercitazione verso una reale situazione di minaccia, questi atterrarono a Andrews e furono ridispiegati immediatamente sui cieli della Pennsylvania.

Il WMR ha già riferito che i due F-16 si occuparono del volo 93 della United sopra Shanksville e lo abbatterono. Testimoni oculari che vivevano nel Mount Vernon, dal lato della Virginia riferirono di aver sentito forti esplosioni sopra il fiume Potomac, durante la mattinata dell’11/9. Queste esplosioni potrebbero essere state causate dagli F-16 provenienti da Andrews mentre infrangevano la barriera del suono sopra l'area a sud di Washington nel corso del loro volo verso la Pennsylvania per intercettare il volo United 93.

Il Comandante della 113ª unità dei caccia della Guardia aerea nazionale a Andrews alla data dell’11 settembre era l'allora brigadiere generale David Wherley. Wherley e sua moglie Ann sono morti nello schianto di un treno della Linea Rossa della metropolitana il 22 giugno di quest'anno. Era stato Wherley a ordinare l’uscita degli F-16 dallo stato di esercitazione per entrare in modalità di attacco la mattina dell’11/9.

È stato riferito che Wherley era a conoscenza di chi nella catena di comando aveva ordinato che gli F-16 fossero messi in stato di esercitazione e disarmati.

Fonte: prisonplanet.com.

Traduzione per Megachip a cura di Efisio Piludu.

Nota

Wayne Madsen, ex analista della National Security Agency (NSA), è ora un giornalista investigativo con molte fonti interne all'intelligence statunitense. Cura il «Wayne Madsen Report».

1 dicembre 2009

Rivoluzione Viola?



Anche Megachip sarà in piazza il 5 dicembre per il No B. Day. In che modo?

Uno scambio di considerazioni fra una lettrice e Giulietto Chiesa lo spiega.

Un'idea di Alternativa.

Gentile sig. Chiesa,

alcune settimane fa ho aderito con entusiasmo al No Berlusconi Day. Entusiasmo dovuto sia alle motivazioni della manifestazione, sia al fatto che il movimento vanta una nascita 'dal basso', nel caso dall'idea di alcuni blogger.

Avendo già partecipato alle manifestazioni dei girotondi, anni fa, ho aderito con convinzione. In questi giorni però, frequentando la rete, sono incappata in due articoli, uno dei quali di Cabras, su questo stesso sito ed un altro su un famoso blog, che praticamente danno per certa, se ho ben capito, la paternità dell'evento a qualche potere fortissimo, statunitense o transnazionale.

Se le scrivo è perché non sono riuscita ad archiviare la cosa come semplice paranoia o dietrologia spicciola ed in effetti ho dovuto convenire sul fatto che in questi anni c'è stato un certo affollamento di 'rivoluzioni colorate', per altro mi pare mai (apparentemente) riuscite: arancione in Ucraina, verde in Iran, bianca in Venezuela... Secondo gli autori dei due articoli la volontà di questi poteri sarebbe quella di disfarsi di B., troppo impegnato a risolvere i suoi problemi giudiziari, sostituendolo forse con Fini, non certo nell'interesse del tanto nominato popolo, quanto in quello dei poteri stessi.

Trovo tutto ciò estremamente inquietante, soprattutto perché, secondo questa tesi, siamo in grado di muoverci solo in quanto muniti di fili che qualcun altro manovra. Secondo lei, siamo davvero dentro questa specie di Matrix? Lo chiedo a lei perché la ritengo, senza alcuna piaggeria, una delle menti più lucide e indipendenti di questo Paese.

Pensa anche lei che la rivoluzione viola sia stata decisa da ben altri che i trentenni carini, colti e simpatici che la promuovono in Rete?

Crede che il fatto che il trampolino di lancio della manifestazione sia Facebook, secondo alcuni il braccio multimediale della CIA, non sia affatto un caso?

Io sono pronta ad andare a Roma, sabato: ho già pagato l'autobus da Firenze, ma da quando ho letto questi due articoli sono preoccupata, ho persino paura che possa succedere qualcosa.

Non le chiedo certo un consiglio su cosa fare, né una rassicurazione: vorrei solo sapere cosa ne pensa.

La ringrazio per la risposta che, spero, mi darà.

Con immensa stima,

Patrizia (Firenze)

Cara Patrizia,

visto che mi stima venga con me nell'«Alternativa» (tra pochi giorni vedrà apparire, sul mio sito, una proposta, rivolta appunto a persone come lei). Fine della parentesi.

Adesso le rispondo.

L'articolo di Cabras, molto bello, contiene molte verità. Sì, siamo già entrati nella finzione democratica, da tempo.

E coloro che controllano il mainstream (e i soldi) possono farci fare quello che vogliono. Entro certi limiti.

Poi c'è, appunto, l'eterogenesi dei fini, che manda spesso al diavolo i complotti e i calcoli.

Certo, senza il minimo dubbio, le rivoluzioni colorate sono state tutte (ripeto tutte) eterodirette, eterofinanziate. Vale anche per la manifestazione del 5 dicembre? Non credo. Il Bilderberg non si occupa dei dettagli. Ragiona per strategie lunghe.

D'altro canto siamo a casa nostra e possiamo ragionare. C'è una spinta democratica reale in questo paese? C'è. La narrazione dell'Italia che fanno i media, tutti, anche «Repubblica», è falsa. È la narrazione del Potere. Ci dicono che l'Italia è berlusconiana. Ma Berlusconi non ha la maggioranza di questo paese. Ha la maggioranza di questo Parlamento, ottenuta con il suo sistema televisivo e con una legge elettorale che è stata costruita di comune intesa con la cosiddetta opposizione.

In condizioni di libertà e di pluralismo reali, e con il sistema proporzionale, Berlusconi non sarebbe nemmeno arrivato al potere. Dunque non c'è da immaginare chissà quale regia. Il dato è che la pazienza di moltissimi sta finendo. E che la volontà di tornare alla democrazia e alla decenza è costretta a esprimersi in questo modo perché non c'è più alcuna guida democratica dell'Italia democratica.

Per questa ragione io e Megachip abbiamo appoggiato la manifestazione, come anche Pino Cabras scrive.

E ci andremo, e spingeremo la gente ad andarci, per quanto potremo. Senza mai dimenticare (e qui Pino ha di nuovo ragione) che dietro le quinte ci sono quelli che tirano le corde nelle direzioni che loro interessano. Per esempio «Repubblica» e il Gruppo De Benedetti. Che sono quelli che hanno voluto il bipartitismo, che hanno sostenuto D'Alema e Veltroni mentre demolivano il Partito Comunista, mentre facevano la Bicamerale, mentre legittimavano Berlusconi.

Neanche loro vogliono Berlusconi, adesso che gli è scappato di mano.

Ma dubito seriamente che vogliano le stesse cose che vogliamo io e lei. Per esempio io penso che, quando cadrà Berlusconi, tutta la indecente commedia che anche costoro hanno contribuito a scrivere, del sistema maggioritario, del bipartitismo etc, andrà in frantumi. E non so cos'abbiano in testa questi "democratici" che hanno sostenuto tutte le guerre di questi anni, da quella del Kosovo a quella dell'Iraq. Timeo Danaos et dona ferentes. Per questo non dobbiamo fidarci e dobbiamo cominciare a costruire una "Alternativa". Non solo a Berlusconi, ma anche a loro.

Per questo bisogna andare in piazza il 5 dicembre. Ma con le nostre idee, e tenendo alta la guardia. Perché quando avremo mandato a casa il mafioso, sempre che ci riusciamo (e non è detto, in tempi brevi e prima che abbia fatto altri guai) potremmo trovarci qualcun altro che ci punta alla schiena non la lupara ma un fucile mitragliatore fabbricato, per esempio, a Tel Aviv.

Cordiali saluti,

Giulietto Chiesa.

Fonte: http://www.megachipdue.info/component/content/article/42-in-evidenza/1361-rivoluzione-viola.html.