26 gennaio 2009

Noi e Gaza: informazione o fabbrica del falso?


Noi e Gaza: informazione o fabbrica del falso?

Nei 23 giorni di bombardamenti israeliani sulla popolazione di Gaza si è combattuta un’altra guerra: quella contro la verità e il diritto di informare ed essere informati. Per questo abbiamo chiesto ad alcuni rappresentanti dell’informazione ‘no embedded’ di confrontarsi insieme a noi su censura e autocensura, tabù e luoghi comuni.

Perché le bombe uccidono le persone, ma l’informazione manipolata uccide le coscienze

Mercoledì 4 febbraio 2009, ore 17.30
Sala Pintor,
Via Scalo S. Lorenzo n° 67, Roma

Dibattito/Tavola rotonda

Intervengono:

Roberto Natale, presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana
Marco Santopadre – direttore di Radio Città Aperta
Pino Cabras, direttore di Megachip.info
Mariano Benni, direttore dell’agenzia Misna
Maurizio Torrealta, giornalista di Rainews24
Michele Giorgio, corrispondente a Gerusalemme de Il Manifesto

Organizza: Radio Città Aperta

Come farvi amare la guerra

di Pino Cabras - da Megachip

Ecco un piccolo videogioco, "Raid Gaza", con grafica spartana e messaggio ridotto ai minimi termini. Vi introdurrà bene ai rapporti di forza fra israeliani e i palestinesi, con crudezza certo banale, ma fatalmente vicina al vero. Si svela facilmente nei suoi intenti, per come si finge dalla parte degli aggressori ma li mette a nudo nella loro crudeltà.



I videogiochi assumono un’importanza pedagogica sempre più importante. Circolano giochi ben più sofisticati di questo, con messaggi di altro tenore. Immagini in movimento, rapide. Atroci scene di guerra in un lampo, nello schermo, mentre una giovanissima mano anticipa finanche il pensiero, e aderisce ai tempi subliminali del tastierino, nel ritmo che sbudella i nemici sul display. Videogiochi di guerra.

La cultura della guerra si costruisce col tempo. Viene fatta depositare nelle coscienze, a piccole e grandi dosi. I media sono lo strumento fondamentale per coordinare l’immagine, creare tante vie che predispongono le menti ad accettare tutto: le notizie addomesticate, le campagne alimentate dalla paura, lo spauracchio del Nemico, ma non solo. Più sottilmente si fa accettare l’idea stessa della “desiderabilità” della guerra.

La strage di Gaza consumata a cavallo tra il 2008 e il 2009 fa risaltare anche questi meccanismi. Come la classe dirigente della Prussia del XIX secolo coordinava tutte le sue risorse in funzione della guerra di quel tempo, così la Prussia del nostro secolo, Israele, ricomprende tutta la sfera dei media nella sua macchina bellica, nella forma odierna della guerra, un fenomeno che si può dominare integrando un complesso militare-industriale-accademico-mediatico.

Lo ha raccontato bene James Zogby su «The Huffington Post», quando ha analizzato l’energia sproporzionata, anche in questo campo, della macchina propagandistica di Israele.

Lo ha enunciato molto bene anche Miguel Martinez sul suo sito Kelebek, quando ha descritto con dovizia di particolari l’enorme investimento sul Brand Israele, giunto a promuovere i fotoreportage patinati sulle Lara Croft dell’esercito israeliano, tante miss sinuose e armate fino ai denti.

Qualcuno aveva già predisposto il terreno a questi trucchi, non solo per Israele ma anche per il suo alleato più potente, gli Stati Uniti. Sono produzioni mediatiche volte a «definire il nemico, rafforzare un nuovo simbolo di identità e, soprattutto, generare un nuovo idealtipo di donna: Venere Attiva, o W-Venus. La novità che ci darà la vittoria». Questa prosa eccitata si poteva leggere in un articolo apparso su «Il Foglio» del 28 giugno 2006. Autore, Carlo Pelanda, il quale diceva di riferirsi alle elaborazioni di un think-tank americano da lui ammirato. È il titolo dell’articolo a risultare la parte più inquietante: «Il progetto di rieducare i diciottenni di oggi alla possibilità reale della guerra».

Venere Attiva, dunque. Qualcosa di vicino alle flessuose eroine che sparano raffiche nei videogiochi. Su questa manipolazione aveva scritto parole sospettose ed efficaci uno degli intellettuali più abrasivi e ardui da esporre, Maurizio Blondet: «È la War-Venus, che già infiamma i vostri sogni erotici (virtuali). Ma probabilmente non ne conoscete il vero nome. Il vero nome viene da una tradizione antica, che il Pelanda e il suo “think-tank” di riferimento vogliono risuscitare per voi. È la dea Kalì. Kalì l’oscura, che danza sui campi della morte, nei terreni impuri delle cremazioni. Nella iconografia originale (non nei manga) sulle sue tette prosperose danza una collanina fatta di teste mozzate; e non porta calzoncini aderenti, ma un ben più lussurioso gonnellino che nulla nasconde, fatto di braccia strappate.»

E spesso Kalì si accompagna a Pashupati, nel dominio degli “esseri in ceppi”, legati al nesso desiderio-morte. «Per gli indù, gli esseri inceppati (pashu) sono gli animali e gli uomini animalizzati, soggetti ai loro istinti. Siete voi, cari ragazzi post-moderni. Eh sì, ce n’è voluta per rendervi quel che siete, pashu.»

Milioni di persone sarebbero pronte a confutare questa tesi. Capaci di rivendicare la loro attitudine a entrare nello spazio virtuale del videogame violento, sfogare lì dentro l’aggressività e misurarvi i riflessi, per ripresentarsi poi nella realtà perfettamente in grado di distinguere ancora il bene e il male, la violenza e la ragione. Capaci anche di ricordare con tutte le ragioni del mondo che le SS o le truppe di Tamerlano non avevano certo plasmato la loro crudeltà alla Playstation. Giusto. Però non stiamo parlando della generazione che presumibilmente legge queste righe, ancora socializzata ad altri strumenti critici, dotata dell’alfabetizzazione necessaria a difendersi dai disegni dei futuri arruolatori.

I videogiochi consentono di fare delle esperienze "pericolose" all’interno di un habitat controllato e virtuale. Se ancora per molti non è difficile separare i piani del virtuale e del reale, sappiamo che sono sempre di più i ragazzini lasciati soli, senza “alfabeto”, senza decodifica, davanti agli schermi. Viviamo in una dimensione inedita. Lo segnala Aric Sigman, della British Psychological Association, sulla rivista «The Biologist». Le persone tra gli 11 e i 15 anni hanno gli occhi monopolizzati da uno schermo durante il 55% del loro tempo di veglia. Nell’ultimo decennio questo tempo è cresciuto del 40%. Significa che la maggior parte del tempo è gestito – per una massa di individui immensa - da agenti educativi nuovi, che prima non avevano questo potere pervasivo. E chi sono questi agenti educativi, quali valori e moventi hanno, chi li finanzia, chi li influenza? Chi è che si prende oltre la metà del tempo delle nuove generazioni?

Provate a entrare nel network di gioco online di Gamespy. La proprietà è di Rupert Murdoch. Tanto per ricordare che sono in pochi a guidare i giochi. E quei pochi sono in perfetta consonanza con le oligarchie che appoggiano le guerre.

Nel film "Fahrenheit 911" di Michael Moore colpisce l’intervista a un giovane soldato che opera in Iraq e racconta di come è rimasto frastornato dalla puzza dei cadaveri bruciati, perché nei videogiochi il mondo era inodore. Mancavano le dure sfumature del reale.

Può esistere un intrattenimento nuovo che possa impedire questa alienazione della coscienza?

25 gennaio 2009

11/9 - Un video inedito sull’Edificio 7: c’era chi “prevedeva” un fenomeno mai visto prima

di Paul Joseph Watson - «Prison Planet.com»

È stato recentemente scoperto un'altro video risalente all'11 settembre che dimostra come il crollo del WTC7 sia stato previsto. Ed è sorprendente, perché non ci sono precedenti che testimonino il crollo di un edificio con uno scheletro d'acciaio a causa di un incendio. Non uno in tutta la storia dell'ingegneria.

È ampiamente noto che le agenzie di stampa ricevettero e divulgarono la notizia del crollo del WTC7 molto prima che questo avvenisse. La BBC e la CNN hanno addirittura sfiorato i 30 minuti di anticipo.
Nel video che segue, David Lee Miller, corrispondente della Fox News, dichiara: "Una fonte interna ai vigili del fuoco ci ha rivelato che il palazzo, identificato come WTC7, rischia di crollare. Ci è stato riferito che gli ingegneri si sono avvicinati, per quanto possibile, all'edificio in fiamme. Secondo loro potrebbe cedere e, se lo farà, ci si può aspettare che cada in direzione sud."

Guarda il video:



L'idea che un grattacielo di 47 piani con una struttura rinforzata, qual era il WTC7, potesse cedere a causa di un semplice incendio sarebbe risultata assurda in quei giorni ed il motivo è molto chiaro: un evento simile non era mai accaduto nella storia dell'umanità. La pura improbabilità di un tale scenario è stata ribadita nel febbraio 2005, quando il palazzo Windsor di Madrid ha bruciato per 24 ore di fila senza mostrare alcun segno di cedimento.
Al contrario, il WTC7 ha subito incendi contenuti in un'area relativamente ristretta ed è venuto giù dopo 7 secondi.
Se, in via teorica, si accetta che il crollo sia stato accidentale e non il frutto di una demolizione controllata, è altamente sospetto ciò che le fonti ufficiali hanno riferito a «Fox News». Secondo loro, l'edificio sarebbe crollato verso sud. Come potevano conoscere la direzione del crollo se non esistevano precedenti?
Questo livello di preparazione su un evento senza precedenti fa sorgere ulteriori sospetti, se si considera che l'ex-responsabile per le emergenze dei vigili del fuoco di New York, Jerome Hauer (il cui ufficio si trovata al 23° piano del WTC7), era un esperto di demolizioni controllate. Hauer ha attirato su di sé le attenzioni del movimento per la verità sull'11 settembre grazie al suo zelo nel sostenere la versione ufficiale fin dalle prime ore successive all'attacco, quando i dati erano piuttosto lacunosi per chiunque.Inoltre, Hauer è stato amministratore delegato della Kroll Associates – l'azienda che gestiva i servizi di sicurezza del WTC7 nel periodo dell'11 settembre. In seguito, ha dimostrato una fantomatica preveggenza anche rispetto agli attentati con l'antrace: ha fatto scorta di Cipro, l'antibiotico che neutralizza l'antrace, una settimana prima che la famosa lettera fosse recapitata al Congresso.
Il nostro sito ha documentato in maniera esaustiva le dichiarazioni dei testimoni oculari che fanno sospettare una demolizione controllata dell'Edificio 7. Ovviamente, i media dell'establishment hanno risposto con una campagna di debunking quasi ossessiva, nel tentativo di sedare il crescente interesse risvegliato da questi argomenti.Persone come Kevin McPadden, ex-esperto di Operazioni Speciali di Ricerca e Salvataggio dell'aviazione americana, dichiarano di aver visto con i propri occhi il conto alla rovescia che ha preceduto il crollo dell'Edificio 7 e altri, come l'ex-poliziotto Craig Bartmer, testimoniano di aver udito il fragore delle bombe che hanno fatto collassare l'edificio mentre fuggivano dal luogo della catastrofe.
Queste persone sono state ignorate, nello sforzo organizzato per spazzare ogni controversia sotto il tappeto che ha contraddistinto la pubblicazione dell'ultimo e più bizzarro dossier del NIST. Infatti questo documento, in spregio alle attuali leggi della fisica, spiega che un "nuovo fenomeno" ha cagionato il crollo del WTC7.

Fonte: Paul Joseph Watson, Newly Uncovered WTC 7 Video Betrays More Foreknowledge Of Collapse, «Prison Planet.com» [QUI]
Traduzione di Massimo Spiga per Megachip.

19 gennaio 2009

Un deputato ebreo denuncia come nazisti i comportamenti israeliani a Gaza

di Pino Cabras - da «Megachip»



Atti nazisti a Gaza. Lo dice un deputato inglese ebreo, Gerald Kaufman, la cui famiglia in Polonia fu in gran parte inghiottita dalla Shoah. Cosa succede?

Il paragone tra l’assedio e le stragi a Gaza da parte della potenza occupante israeliana e l’assedio e le stragi del ghetto di Varsavia da parte dei nazisti suscita in genere reazioni durissime. Si vuole far credere che sia dettato da pregiudizio antiebraico.
L’aggettivo antisemita è il grande silenziatore contro chi si oppone ai pericoli scatenati dal bellicismo israeliano di oggi. Che impressione vedere Gianfranco Fini e Maurizio Gasparri, gli eredi di Salò, pontificare contro l’antisemitismo. O leggere il resoconto di un quotidiano grondante di umori fascisti sulla manifestazione nazionale a difesa dei palestinesi del 17 gennaio con il titolo cubitale «Dàgli agli ebrei». Ma dove viviamo?

Vi propongo perciò la traduzione integrale del discorso parlamentare pronunciato il 15 gennaio 2009 dal deputato britannico Gerald Kaufman, durante un dibattito in cui nessuno avrebbe mai potuto trovare argomenti da opporgli. È una denuncia breve, durissima e lucidissima, della condotta del governo israeliano, con argomenti di grande valore politico e documentale, segnati da una inattaccabilità biografica formidabile (cosa che non potremmo dire del nostro attuale presidente della Camera).

Qualcuno recapiti questo testo anche a quei deputati del PD sinora sdraiatisi sui comunicati dello Stato Maggiore israeliano, per illustrare loro la possibilità di assumere posizioni a schiena dritta.

Testo tradotto in italiano:
Gerald Kaufman, deputato laburista. 15 gennaio 2009.

Sono stato cresciuto come un ebreo ortodosso e un sionista. Su una mensola in cucina c’era una scatola di latta per il Fondo nazionale ebraico, dentro la quale mettevamo le monete per aiutare i pionieri a costruire una presenza ebraica in Palestina.
Sono andato la prima volta in Israele nel 1961 e vi sono tornato innumerevoli volte. Ho avuto familiari in Israele e ho amici in Israele. Uno di essi ha combattuto nelle guerre del 1956, 1967 e 1973 ed è stato ferito in due di esse. Il distintivo che indosso viene da una decorazione sul campo a lui insignita, che mi ha regalato. Ho conosciuto la maggior parte dei primi ministri di Israele, a partire dal Primo ministro fondatore David Ben-Gurion. Golda Meir era mia amica, così come lo è stato Yigal Allon, vice primo ministro, che, da generale, conquistò il Negev per Israele nella guerra del 1948 per l’indipendenza.

I miei genitori vennero in Gran Bretagna come rifugiati provenienti dalla Polonia. La maggior parte dei loro familiari sono stati in seguito uccisi dai nazisti nell’olocausto. Mia nonna era a letto malata, quando i nazisti giunsero alla sua città natale, Staszow. Un soldato tedesco la uccise sparandole nel suo letto. Mia nonna non è morta per fornire la copertura ai soldati israeliani che ammazzano le nonne palestinesi a Gaza.
L'attuale governo israeliano sfrutta spietatamente e cinicamente il continuo senso di colpa tra i gentili per la strage degli ebrei nell’olocausto per giustificare la sua uccisione di palestinesi.

L'implicazione è che la vita degli ebrei sia preziosa, ma la vita dei palestinesi non conti. Su Sky News pochi giorni fa, al portavoce dell'esercito israeliano, il Maggiore Leibovich, è stato chiesto in merito all’uccisione da parte israeliana di, in quel momento, 800 palestinesi (il totale è ora di 1000). Ha risposto all’istante che «500 di questi erano militanti».

Questa era la risposta di un nazista.

Suppongo che gli ebrei che lottavano per la loro vita nel ghetto di Varsavia avrebbero potuto essere denigrati in quanto militanti.

Il ministro degli Esteri israeliano, Tzipi Livni, afferma che il suo governo non avrà rapporti con Hamas, perché sono terroristi. Il padre di Tzipi Livni era Eitan Livni, il capo delle operazioni dell’organizzazione terroristica Irgun Zvai Leumi, che ha organizzato l’attentato esplosivo dell’Hotel King David di Gerusalemme, in cui perirono 91 vittime, di cui quattro ebrei. Israele è stato partorito dal terrorismo ebraico.
Terroristi ebraici impiccarono due sergenti britannici e fecero esplodere i loro cadaveri.
Irgun, insieme con la banda terrorista Stern, nel 1948 massacrò 254 palestinesi nel villaggio di Deir Yassin.
Oggi, gli attuale governanti israeliani indicano che sarebbero disposti, in circostanze per loro accettabili, a negoziare con il presidente palestinese Abbas, di al-Fatah. È troppo tardi per farlo. Essi avrebbero potuto negoziare con il precedente leader di al-Fatah, Yasser Arafat, che era un mio amico. Invece, lo assediarono in un bunker a Ramallah, dove lo visitai. A causa dei fallimenti di al-Fatah, a partire dalla morte di Arafat, Hamas ha vinto le elezioni palestinesi nel 2006. Hamas è una organizzazione sgradevolissima, ma è stata democraticamente eletta, ed è quel che passa il convento.
Il boicottaggio di Hamas, anche da parte del nostro governo, è stato un errore colpevole, dal quale sono derivate terribili conseguenze. Il grande ministro degli Esteri israeliano Abba Eban, con il quale ho fatto campagna per la pace da molte tribune, ha dichiarato: «Fate la pace se parlate con i vostri nemici.»Per quanti palestinesi gli israeliani possano uccidere a Gaza, non possono risolvere questo problema esistenziale con mezzi militari.
Quando e qualora i combattimenti finissero, ci sarebbero ancora un milione e mezzo di palestinesi a Gaza e altri due milioni e mezzo in Cisgiordania. Essi sono trattati alla stregua di immondizia da parte degli israeliani, con centinaia di blocchi stradali e con gli orrendi abitatori degli insediamenti ebraici illegali che li molestano.

Verrà il momento, non molto lontano da ora, in cui supereranno la popolazione ebraica in Israele. È giunto il momento per il nostro governo di render chiaro al governo israeliano che la sua condotta e la sua politica sono inaccettabili, e di imporre un divieto totale di esportare armi a Israele.
È l’ora della pace, ma la pace vera, non la soluzione attraverso il soggiogamento che è il vero obiettivo degli israeliani, ma che è impossibile per loro da raggiungere.

Essi non sono semplicemente dei criminali di guerra, sono stupidi.

17 gennaio 2009

Vittorio Arrigoni: il blog più seguito in Italia, quando i media scappano dal racconto di Gaza

di Pino Cabras - da «Megachip»

Arrigoni supera Grillo. Il blog del testimone che oggi ci racconta Gaza firmandosi Vik è il più letto di tutti. La notizia ci è rivelata dal giornalista e storico Gennaro Carotenuto, autore del blog Giornalismo partecipativo. L’exploit viene registrato proprio nel mese in cui le officine mainstream delle grandi menzogne, al cospetto della strage di Gaza, hanno dato il peggio di se stesse. La drammatica serrata dell’offerta informativa “industriale” di giornali e TV sulla catastrofe di Gaza ha spinto una moltitudine abbandonata di cittadini a cercare un’offerta “artigianale” ma incomparabilmente più autentica, una buona occasione per chi aveva una bottega alternativa ben avviata.
Ma Beppe Grillo – per anni numero uno dei blogger italiani e ben collocato anche nel mondo - ha rivelato ancora una volta, come già l’estate scorsa per le vicende dell’Ossetia del Sud, l’amaro limite culturale della sua avventura informativa, al punto di dedicare solo poche righe a un fatto così rilevante, Gaza.

Il blog di Vittorio Arrigoni, attendibile, puntuale, fedele alla necessità del racconto dal bersaglio concentrazionario palestinese, fatto di storie semplici e storie complesse da non sacrificare le une alle altre, proprio questo blog ha risposto umilmente alla domanda disattesa.

Carotenuto ne ricava alcune considerazioni di grande interesse su Vik: «Se qualcuno sostiene che in Italia non c’è l’esigenza (e forse anche il mercato) di un’altra informazione possibile e quindi di giornalismo partecipativo, non uniformato con il mainstream, la notizia che segue lo smentisce fragorosamente.

Secondo Blogbabel, una società che calcola l’influenza dei siti in base ai link, il blog di Vittorio Arrigoni, probabilmente l’unico cittadino italiano residente a Gaza, negli ultimi trenta giorni è stato il più letto in Italia, superando vacche sacre come Beppe Grillo e note blogstar come Luca Sofri o Massimo Mantellini. Nella classifica storica Arrigoni è appena all’87° posto ma il numero straordinario di lettori e link nell’ultimo mese lo portano oramai al 13° assoluto».
Stiamo parlando di un universo di lettori culturalmente attrezzati, una minoranza significativa ma pur sempre una minoranza, se paragonata alla grande massa raggiunta solo dalle corrispondenze recitate sulla punta dei carri armati israeliani. Tuttavia si è mossa molta gente, e in brevissimo tempo. Percorsi individuali, clic consumati in stanze non collegate fra loro, ma alla fine davvero tante stanze, così tante da diventare qualcosa, da essere un fenomeno in sé che può percepirsi come un fenomeno per sé. È un segnale di speranza, che sembra registrare una qualche reazione alla questione che potete leggere nelle pagine di Giulietto Chiesa su Megachip, quando affronta l’acuta emergenza informativa del nostro tempo e ci rende chiaro “perché stiamo perdendo”.

Allora vado sul blog di Arrigoni, il suo Guerrilla Radio. Ha pochi link ai siti di cui si fida. Li chiama “quotidiani vaccini”. Fra le uniche voci che propone c’è Giulietto Chiesa. C’è Grillo. Ci sono Michael Moore, Jacopo Fo e Daniele Luttazzi. E c’è anche Marco Travaglio, nonostante Arrigoni nel suo pezzo del 14 gennaio gli rimproveri giustamente il suo ottuso arruolamento nelle fila dei signori che uccidono masse di infanti. Mi sembra un assemblaggio semplice ma molto chiaro, indice di un’idea di comunicazione ben definita. Arrigoni ha messo insieme voci che ha considerato altrettanti baluardi di una comunicazione libera e sincera. Informazione, intrattenimento, analisi, capacità televisiva, critica del potere, c’è tutto. Un embrione di comunicazione in difesa dei valori forti. Questo qualcosa sinora riesce a intrecciarsi in modo così completo solo nei sogni di Arrigoni e nel nostro sogno di Pandora, nel momento in cui tali sogni sono disturbati dall’incubo della disgregazione informativa, su cui invece prosperano le surreali manipolazioni dei grandi media, loro sì già intrecciati e ingranati fra loro e con i fautori delle guerre.

Sarà una battaglia mediatica durissima. Già vediamo come il solo mostrare alcune immagini vere della guerra (sebbene cento volte meno dure di quelle che abbiamo mostrato in rete) abbia attirato su Michele Santoro una tempesta di reazioni rabbiose, tutte tese a nascondere l’esistenza del tabù informativo su Israele. La rottura di questo tabù sarà difficile, perché assieme ad esso passano altri tabù e menzogne sulle guerre odierne e, JHWH non voglia, future. E allora, come Vik alla chiusura di ogni suo pezzo, diciamolo anche noi: restiamo umani.

14 gennaio 2009

Those who want to bump off the witnesses of the slaughter

written by Pino Cabras



A Criminal website incites the killing of volunteers in Gaza. Vittorio Arrigoni is also in their sights

The criminal website
http://stoptheism.com/ invites people to kill the few volunteers who are providing health treatment in Gaza under Israeli bombs.

They are Americans, Spaniards, Australians, Italians and other volunteers who report us what news they can about the real impact of the Israeli aggression in Gaza. Amongst them there is Vittorio Arrigoni, human rights activist.

What we have here is pure incitement to killing, furnished also with the photos of those “wanted”. It’s really unconceivable that the site is still online. We demand that the Italian Government and Foreign Office take steps right now to call for it to be immediately closed and to bring those responsible to court.
http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=8532

The call is clear: to kill a group of people, with their first and last name, habits and ideas, political affiliations and pictures easily identifiable. They also demand informers’ cooperation so as to complete the list with addresses. The dossiers are openly addressed to the Israeli military so as to help them eliminate “dangerous” targets physically, unless others see to it first: the foes to be hit are western activists—health assistants and other volunteers—who work and are witnesses to what is unfolding in the Occupied Territories.
You may read all this on a website, run by a group of extremists, a sort of American-Jewish Ku Klux Klan: Stop the ISM. It may be worth noting that an Italian, Vittorio Arrigoni, whose touching reports from Gaza we have read, is amongst those targeted.

The person who runs the site is Lee Kaplan. He’s one of the many quasi-fascist instigators of the American far right underbelly, a medley that has recently taken root both amongst the Christian movements and the fringes of Jewish fundamentalism, now joined by an unusual anti-Islamic extremism. In the US, this linking between these two milieus has strengthened to the extent that Kaplan often hangs around the wannabe high society circles of the TV talk shows famous for their foaming at the mouth, on Fox News channel.

But, above all, this phenomenon is getting stronger in the Holy Land. The Jewish fundamentalists control the most extremist settlements in the territories (as it was already possible to learn by reading Israel Shahak’s and Norton Mezvinsky’s Jewish fundamentalism in Israel, London, Pluto Press 1999). The Christian fundamentalists help them hasten the coming of Armageddon, the final battle between Good and Evil, that is supposed to take place precisely there. Maybe in order to get ahead with his work, Mr Kaplan gives free rein to the site in order to call for Arrigoni and others to be eliminated. Moreover, without expecting any concern from the Italian government, in case someone should see to our fellow countryman’s wished-for “permanent removal”. We shall repeat: these criminal hopes haven’t turned up on a semi-underground web forum, but on a site open to everyone and run by a public figure.
Now, since also the Israeli armed forces don’t want witnesses to Gaza’s havoc, and our mainstream media has immediately and sycophantically complied with this ban, and since the only voice from there comes from Arrigoni, then “two and two makes four” and we get wind of a huge danger. We have seen that a heavy hand is being used there, if even hospitals, ambulances, schools are bombed and any aid is targeted.

While the body count in Gaza is now reaching one thousand, an oddity is taking place.
Neither can the heap of corpses be swept any longer under the rug of a leading article by Bernard Henry Levy, nor the use of horrible weapons—that in future you will see prohibited. Our papers are shyly starting to talk about it. Yes, not in the front page, like we did some days ago here, but at page ten, with low profile articles.
Concealing is no longer possible. Yet, it’s possible to water things down. And our great media knows well how to do it. Awaiting who knows what, a political military success, a chimera, the end of Hamas. At what price?

The most subtle censorship is ongoing, but this subtlety doesn’t save it from being associated to more violent and threatening censorship, the kind that intends to hit those who want to rescue the Palestinian people from their own destruction.
You know, when the finger points to the moon, the fool looks at the finger. Similarly, many Italian intellectuals are horrified while pointing out to us the blood-stained finger of the Islamic Resistance Movement (Hamas) but they fail to look at the gloomy moon where the other fundamentalisms are increasingly holding sway over the Israeli leadership.

The idea according to which the IAF are defending the Enlightenment against the uncivilized is an ideology heralding tragedies, and we had better get rid of it by operating an honest historical and political review of the Middle-eastern record. The account of what is happening is now at a crucial point, with all the witnesses to be respected.


Source: Quelli che vogliono ammazzare i testimoni della strage
Original article published on 13 January, 2009.
Diego Traversa and Mary Rizzo are members of Tlaxcala, the network of translators for linguistic diversity.
This translation may be reprinted as long as the content remains unaltered, and the source, author, translator and reviser are cited.
URL of this article on Tlaxcala: http://www.tlaxcala.es/pp.asp?reference=6810&lg=en

Update - January 17th, 2009:
I am happy to record a small victory against the violence. The criminal site above reported (www.stoptheism.com) was removed at last, as Mary Rizzo too witnesses in the comments. It is important not to accept that the fascist methods of the Kaplan Boys may gain recognition in the public debate. Targeting individuals in order to kill them it is not free thinking. It is delinquency.
Interesting comments on this issue can be read in Palestinethinktank.com, the site that widespread this article all over the web.

13 gennaio 2009

Quelli che vogliono ammazzare i testimoni della strage

di Pino Cabras - Megachip



L’incitazione è esplicita: uccidere un gruppo di persone, con nome e cognome, abitudini e idee, appartenenze politiche e immagini facilmente identificabili. Chiedono la collaborazione di delatori per completare le liste con gli indirizzi. La schedatura è esplicitamente rivolta ai militari, quelli israeliani, se non ci pensano altri killer, per facilitarli nell’eliminazione fisica di “pericolosi” bersagli: i nemici da colpire sono gli attivisti occidentali – infermieri e altri volontari - che lavorano e sono testimoni di quanto succede nei Territori occupati.
Tutto questo lo potete leggere in un sito web, gestito da un gruppo di estremisti, una sorta di Ku Klux Klan ebraico americano: Stop the ISM. Può essere di interesse far notare che fra i bersagli c’è anche un cittadino italiano, Vittorio Arrigoni, di cui abbiamo arrigoniletto i toccanti reportage da Gaza.
Il tenutario del sito è Lee Kaplan. È uno dei tanti agitatori fascisteggianti della pancia reazionaria americana, un coagulo che ultimamente ha preso piede sia nell’ambito dei movimenti cristianisti, sia nelle frange del fondamentalismo ebraico, ora uniti in un inedito oltranzismo anti-islamico. In USA la saldatura fra questi ambienti si è rafforzata, tanto che Kaplan talora ascende anche al salotto buono, si fa per dire, dei talk show con la bava alla bocca, su Fox News. Ma si rafforza soprattutto in Terrasanta. I fondamentalisti ebrei controllano gli insediamenti coloniali più estremisti dei territori (come già si leggeva in un libro di Israel Shahak e Norton Mezvinsky, Jewish fundamentalism in Israel, London, Pluto Press, 1999). I fondamentalisti cristiani li appoggiano per accelerare l’avvento dell’Armageddon, la lotta finale fra il Bene e il Male, che proprio da quelle parti dovrà svolgersi. Forse per portarsi un po’ di lavoro avanti, il signor Kaplan lascia briglia sciolta al sito per sollecitare l’eliminazione di Arrigoni e altri. Non senza profetizzare che il governo italiano non si preoccuperà più di tanto se qualcuno provvederà all’auspicata «rimozione permanente» del nostro connazionale. Lo ripetiamo: questi auspici criminali non appaiono in un forum semiclandestino, ma in un sito accessibile gestito da un noto personaggio pubblico.
Ora, dal momento che anche le forze armate israeliane non vogliono testimoni nello scempio di Gaza, e il nostro mainstream si è subito docilmente accodato rispettando il divieto, siccome l’unica voce ci giunge da Arrigoni, in tal caso facciamo due più due e fiutiamo un grosso pericolo. Abbiamo visto che lì non si va per il sottile, se già vengono bombardati ospedali, ambulanze, scuole, e se si prende di mira qualunque soccorso.
Mentre la conta dei morti ammazzati a Gaza si avvicina a quota mille, accade una cosa singolare. Il cumulo di cadaveri non si può più nascondere sotto un editoriale di Bernard-Henry Lévy, l’uso di armi orrende – che un domani vedrete proibire - nemmeno. I giornali nostrani cominciano timidamente a parlarne. Ma non in prima pagina e in apertura, come abbiamo fatto già diversi giorni fa su questi schermi, ma a pagina dieci e in taglio basso. Nascondere non si può. Ma diluire, questo sì. E questo i nostri grandi organi di informazione lo fanno benissimo. In attesa di chissà cosa, un successo politico militare, una chimera, la fine di Hamas. A che prezzo? È in atto la censura più sottile, ma questa sottigliezza non la salva dall’essere accostata alla censura più violenta e più minacciosa, quella che vuole colpire chi vuole salvare il popolo palestinese dalla sua distruzione.
Tanti intellettuali italiani indicano inorriditi il dito insanguinato del Movimento di Resistenza Islamico (Hamas), ma non vedono la luna desolata degli altri fondamentalismi che egemonizzano sempre di più la classe dirigente israeliana. L’idea che le forze armate israeliane difendano i Lumi contro la barbarie è un ideologismo foriero di tragedie, dal quale è bene liberarsi con un’operazione onesta di ricognizione storica e politica della memoria mediorientale. Il racconto di quel che accade ora è un passo fondamentale, con tutti i testimoni da rispettare.


Aggiornamento del 17 gennaio 2009:
Devo registrare una piccola vittoria contro la violenza. Il sito criminale sopra menzionato(www.stoptheism.com) è stato finalmente rimosso. E' importante non accettare che i metodi fascisti dei Kaplan Boys possano acquisire riconoscimenti nel dibattito pubblico. Prendere come bersaglio degli individui al fine di ucciderli non è libertà di pensiero. E' delinquenza.

11 gennaio 2009

Echi di Fabrizio de Andrè a Gaza

di Pino Cabras - da «Megachip»



De Andrè e Gaza in prima pagina. Vedete come sono le ricorrenze. Incrociano cose lontane senza più impellenze – il ricordo di un grande artista morto 10 anni fa - con l’attualità urgente di cui vediamo solo la superficie – le stragi israeliane – e questa intersezione ritrova nuove profondità ontologiche nei fatti di oggi e nelle parole di ieri. Queste diventano così le parole di oggi, e rovesciano lo spessore dei fatti che non nascono ora, ma vengono da lontano.

Fabrizio De Andrè aveva già trovato parole e musica per descrivere il dolore immenso che proviamo alla vista dell’eccidio di Gaza. I suoi versi in lingua genovese (che traduciamo anche in italiano) arrivano da "Sidun", un brano scritto assieme a Mauro Pagani, registrato nel suo capolavoro “Creuza de mä”.
Cosa disse De André Su Sidun, ossia Sidone?

«Sidone è la città libanese che ci ha regalato oltre all'uso delle lettere dell'alfabeto anche l'invenzione del vetro. Me la sono immaginata, dopo l'attacco subito dalle truppe del generale Sharon del 1982, come un uomo arabo di mezz'età, sporco, disperato, sicuramente povero, che tiene in braccio il proprio figlio macinato dai cingoli di un carro armato. (...) La piccola morte a cui accenno nel finale di questo canto, non va semplicisticamente confusa con la morte di un bambino piccolo. Bensì va metaforicamente intesa come la fine civile e culturale di un piccolo paese: il Libano, la Fenicia, che nella sua discrezione è stata forse la più grande nutrice della civiltà mediterranea.»

Sidun

La furia bellica degli eredi di Sharon ha riportato oggi il pendolo dell’annichilimento verso l’altro azimut soggetto alla « semensa velenusa d'ä depurtaziún». Ma, ancora, lo sterminio dei bambini simboleggia la fine civile e culturale di una comunità umana.

Riascolto “Sidun” e altri suoni contaminati di “Creuza de mä”. In questo album che resisterà ancora al tempo, fra le tante letture possibili, voglio vedere un segno di speranza del nostro tormentato sanguemisto mediterraneo.

8 gennaio 2009

L’immagine coordinata della guerra e il Big Bang dei “non disinformati”

di Pino Cabras - da Megachip



Perché stiamo perdendo? Se lo chiede (ce lo chiede) Giulietto Chiesa nel momento in cui la distruzione piove sulla gente innocente, ora che assistiamo quasi impotenti al racconto falso dei media occidentali, quando la verità è rovesciata e i carnefici sono presentati come vittime. Se non sappiamo rispondere a questa domanda, certe forze dominanti non incontreranno più limiti nel fare una guerra ancora più estesa, molecolare, di scala mondiale, sulla quale, come i sette angeli dell’ira di Dio, verseranno i loro vasi pieni di pestilenza e dolore. Il problema è capire che i guai sono davvero già così grandi, e trovare un qualche rimedio.

In realtà quella di Chiesa, nel titolo, non è una domanda, ma l'annuncio di una spiegazione. Poi, leggendo, accanto all'analisi, gli interrogativi risorgono. .

Facciamo un primo passo, cerchiamo per ora di capire e descrivere un lato della questione.

Perché stiamo perdendo? La mia prima risposta è: hanno imparato in fretta la lezione del Libano.

Nell’estate 2006 l’immagine di Israele era uscita male, quando devastava il vicino settentrionale. La resistenza di Hizbullah era sorprendente ed efficace. Il governo israeliano, che aveva contato su una vittoria liscia, si trovava invece a gestire in affanno tante cose fuori controllo: sul campo di battaglia, di sicuro; ma anche nei suoi media locali, in quelli all’estero, o fra i soldati che scrivevano e-mail e blog sconsolati, in continuo rimbalzo nel ciberspazio, rosi dai dubbi per una guerra insensata e criminale. Certo, Fassino era sempre pavlovianamente pronto a qualche fiaccolata in soccorso dei cacciabombardieri, e Amos Oz già allora saltava su per dare copertura etica alle stragi simulando moderazione, eppure il messaggio andava storto lo stesso.

Oggi niente blog aggiornati, nessuna e-mail per le truppe, perfino i cellulari sono sequestrati ai soldati. Come per una qualsiasi azione di marketing, il tono della comunicazione non ammette sbavature. È l’immagine coordinata. Meglio azzerare il rischio ed estendere l’ombrello della pianificazione militare totale a ogni aspetto della comunicazione.

Oggi Israele ha organizzato in un modo infinitamente più accurato la “guerra della percezione”, un pezzo fondamentale della guerra nel suo insieme, con tremenda coerenza semiotica.

E quindi vince a man bassa.

Le redazioni vengono convogliate su blog inspiegabilmente tutti allineati alla nuova avventura bellica, scritti da mamme di soldati, orgogliose come antiche madri spartane: si ripropone il cliché militarista più trito con il pigolio della novità hi-tech. Ma questo sarebbe il meno.

Una tale prevalenza della menzogna più sfrontata su tutti gli organi d’informazione e comunicazione non è solo frutto della debolezza culturale delle redazioni. È l’effetto di un lavoro durato anni, un’egemonia voluta e cercata per rimodellare ogni luogo importante in cui si producesse comunicazione, come ben ricorda Chiesa: prima ancora delle notizie da dire o non dire, sono state scelte o rimosse le persone in grado di trattarle.

Le redazioni si sono bevute di tutto, dalle menzogne dell’11 settembre americano a quelle del 7 luglio londinese, dalle balle della guerra in Iraq alle lampanti falsità del presidente della Georgia in Ossetia. Figuriamoci se queste redazioni, via via disabituate a qualsiasi critica frontale del potere, non avrebbero abboccato all’attento “planning” coordinato fra Gerusalemme e Washington per l’aggressione a Gaza. Abboccano, eccome.

E non sono soltanto i Tg a esibire gli indecenti pupazzi dei ventriloqui criminali.

Li vedi ovunque, anche nelle trasmissioni di cronaca rosa, una volta tanto distolte dal vippame del demi-monde televisivo per prestare orecchio alle pillole di propaganda, quando la propaganda chiama. A recitarla sentiamo una falange di altri VIP, tutti ingaggiati per giustificare con parole clonate l’azione “difensiva” dei bombardieri israeliani contro una popolazione inerme.

Quel che voglio dire è proprio questo: l’assoluto sbilanciamento delle notizie sulla strage di Gaza deriva sì dalla struttura dei media e delle loro proprietà oligopolistiche – e questo è il dato di fondo con cui dovremo imparare a fare i conti - ma su questa struttura e su questa linea politica è visibile anche l’effetto di un’azione coordinata specifica, un’azione dell’oggi, di questi giorni, voluta da centri di potere che condividono l’idea di “nuovo Medio Oriente” che ha in mente Tzipi Livni, quasi un test per un nuovo ordine politico in sostituzione delle democrazie, erose dalla crisi più devastante mai vista da ottant’anni.

Tante bugie, tanto spazio per esse, tanta somiglianza fra loro e tanta dissomiglianza dalla realtà, non sono un caso. Siamo testimoni di una mostruosa manipolazione ‘ad hoc’ proprio mentre avviene. C’erano già i giornalisti “embedded”. Ora ci sono le notizie precotte.

Una piccola redazione di un piccolo sito come il nostro ha già tutti gli strumenti per conoscere le proporzioni essenziali dei fatti, vedere le immagini censurate dalle TV occidentali, immagini che direbbero la verità al grande pubblico, sfogliare reportage degni di fede sul massacro deliberato dei civili, riscoprire le dichiarazioni di ieri dei criminali di oggi quando anticipavano i loro intenti politici e militari, rileggere la storia di Terrasanta abbastanza da rigettarne i falsi miti. Vediamo molto, e pubblichiamo a più non posso. Piccole gocce nel mare, come altre gocce sparse qua e là nel web.

Immagini e strumenti sono disponibili - su scala incomparabilmente più grande - anche in mano alle grandi redazioni. Anche loro sanno quel che c’è da sapere. Le immagini vere le vedono eccome. Qualcosa emerge anche sulle loro pagine, ma il tono scelto è un altro, e quello prevale: il tono della complicità che va avanti per inerzia, per censura e autocensura (tanto le persone convenienti hanno già sostituito quelle scomode), con in più il valore aggiunto disinformativo disposto per l’occasione, quello da “immagine coordinata”, la campagna politico-mediatica del momento. C’è chi dà ordini e chi obbedisce su un fatto preciso e determinato. L’ordine impartito è in fondo semplice: sottrarre alla vista il fatto che la classe dirigente israeliana – così come l’amministrazione uscente statunitense - sia guidata da un nucleo di pericolosi criminali di guerra sostenuti da molti complici. L’ordine viene eseguito con accuratezza e serialità industriale. Il velo di pedanteria umanistica, l’interfaccia che le macchine non possono dare, lo danno i Riotta e i Pigi Battista, e tanti altri ancora, ma quel velo non riesce a nasconde la standardizzazione pressoché robotica del prodotto, da fabbrica d’armi di qualità.

Se leggete «la Repubblica» e il «Corriere della Sera»del 7 gennaio 2009, in particolare l’articolessa di Adriano Sofri sul primo e il presentat’arm di Bernard-Henry Lévy sul secondo, troverete le frasi misericordiose e le cavillosità adatte a fregare la sinistra inesauribilmente sprovveduta, frasi generiche e sentimentali, abbastanza smaliziate da concedere distinguo a un pubblico più laico ed esigente, da ammansire con la citazione giusta. Il Vecchio Pregiudicato e l’eterno Nouveau Philosophe dimostrano che sanno, certo, che l’Islam è complesso, che gli israeliani fanno anche errori, che i palestinesi, accidenti, soffrono, e poveri anche i bambini. Le frasi mimetiche sono la loro expertise che serve a occultare il cuore vero del loro testo, scandito – dopo le divagazioni - da frasi finalmente secche,come un comando ipnotico a favore della versione che ricalca i pensatoi militaristi.

La velina di Sofri è: «Gli israeliani vogliono davvero ridurre al minimo le vittime civili. Non possono essere così disumani né così imbecilli da mirare a colpire i bambini. […] La gente di Israele e i suoi governanti ha un (provvisorio, minacciato, odiato) vantaggio nelle risorse possibili della forza e della ragione. Hamas bersaglia da anni case, scuole, strade di una popolazione civile israeliana cui è impedita una normale vita quotidiana. Hamas giura la distruzione di ogni cittadino di Israele e di ogni ebreo sulla terra. Hamas addestra ed esalta gli assassini suicidi. Hamas si serve vilmente degli scudi umani, predilige bambini donne e vecchi, tramuta moschee e pareti domestiche in ripari di armi e mine. Ma lo spregevole cinismo di Hamas libera Israele dalla responsabilità verso quelle donne, quei vecchi, quegli uomini, quei bambini?»

E la velina di Lévy? Eccola: «Il fatto che le granate israeliane facciano, al contrario, tante vittime non significa […] che Israele si abbandoni a un “massacro” deliberato, ma che i dirigenti di Gaza hanno scelto l’atteggiamento inverso, di lasciare quindi le loro popolazioni esposte: una vecchia tattica dello “scudo umano” che fa sì che Hamas, come Hezbollah due anni fa, installi i propri centri di comando, i depositi d’armi, i bunker nei sotterranei di abitazioni, ospedali, scuole, moschee. Tattica efficace ma ripugnante.»

Stesso canovaccio e perfino stessa cadenza, lo vedete. Stesse bugie da retrobottega del Pentagono: la vecchia corbelleria degli “scudi umani”. Identica spudoratezza, identiche amnesie selettive: dimenticano (Sofri) o perfino negano (Lévy) che Gaza sia da anni sotto assedio, sotto lo schiaffo di azioni unicamente definibili come “crimini di guerra”. Tali e quali anche le dicotomie: la ragionevolezza di chi lancia le “granate” con cura chirurgica contrapposta allo «spregevole cinismo» della «ripugnante» Hamas.

È lo stesso Sofri che aveva benedetto l’invasione dell’Iraq. È lo stesso Bernard-Henry Lévy che l’estate scorsa è stato sputtanato per le menzogne acclarate di un suo reportage dalla Georgia. Ogni tanto leggi di cronisti licenziati perché inventano notizie, peraltro plausibili, ma inaccettabili per deontologia. Per BHL, invece, la pagina degli editoriali del «Corriere» è sempre aperta. Parla di banali granate, lui, per evitare di menzionare gli ordigni usati davvero: le GBU39 con dardo di penetrazione a uranio impoverito; il fosforo bianco; il DIME (Dense Inert Metal Explosive) in lega di tungsteno, usato la prima volta in Libano nel 2006, che provoca ferite spaventose e fa i corpi a brandelli, lasciando ai sopravvissuti la prospettiva dei tumori.

Tutto questo orrore è ben documentato e documentabile, e sarebbe un inesauribile filone d’inchiesta per incalzare le autorità israeliane, che infatti non vogliono testimoni e reporter a Gaza. Precauzione inutile, con i direttori delle grandi testate nostrane. I quali mettono in fila le seguenti frasi dei loro editorialisti di punta: «Hamas non propugna solo la distruzione di Israele, ma lo sterminio degli ebrei» (Piero Ostellino, 29 dicembre), «Hamas auspica l’eliminazione di tutti gli ebrei dalla faccia della terra» (Ernesto Galli Della Loggia, 3 gennaio), «Hamas giura la distruzione di ogni cittadino di Israele e di ogni ebreo sulla terra» (Sofri, 7 gennaio). Fra tutte le semplificazioni possibili del contenuto d’odio usato da Hamas in una complessa citazione di Maometto, i volonterosi propagandisti della guerra usano solo quella che si brucia i ponti alle spalle. In fotocopia. In quella forma è una leggenda maligna, che serve a nascondere le aperture pragmatiche, le tregue di sei mesi, di dieci anni di cinquant’anni, offerte da leader di Hamas poi eliminati con qualche tempestivo bombardamento. La leggenda dei trombettieri delle nostre gazzette vuole la guerra, non scruta spiragli.

La macchina della propaganda è dunque ben oliata, pervasiva. Occupa con rigore il centro dell’agenda mediatica. Militarizza gli editoriali più importanti. Non si limita a presidiare l’informazione, ma lavora sul sistema della comunicazione.

Giulietto Chiesa ci esorta a non segregarci nell’illusione della controinformazione, galassia interessante, ma dispersa e senza massa critica, fatta di spezzoni orgogliosi d’identità incapaci d’espandersi, intransigenze non portate a conciliarsi, priorità diverse dei vari gruppi e individui, incapacità di comprendere che la partita si gioca nel sistema integrato della comunicazione, il luogo in cui le immagini in movimento interagiscono con i desideri e i sogni manipolati. Grillo dice che la TV è morta e vincerà la rete. In realtà avviene l’integrazione fra i media, con un forte contenuto comunque televisivo, ancorché in totale trasformazione. Vince chi lo capisce e si dota dei mezzi conseguenti. Chi vuole la guerra lo ha capito benissimo.

In realtà, trasmettitori e riceventi presenti nell’agorà comunicativa non sono alla pari. La libertà dei flussi non può celare le differenze di potere fra la concentrazione tecnocratica della merce comunicazione in una ristretta élite di soggetti multinazionali e la passività atomizzata di una fetta ancora enorme di consumatori. Lo slogan ideale per chi magnifica il libero flusso dell’informazione senza uno sguardo critico potrebbe essere "libero lupo in libero ovile".

Da qui colgo anche il rimpianto di Chiesa, che ricorda ancora una volta che il progetto di un nuovo format televisivo, Pandora, non si fa tuttora strada fra chi pure ne trarrebbe vantaggio.

Con il tempo la comprensione e la convergenza di spinte diverse verso un forte network sarebbe un esito naturale. Ma ora non viviamo in tempi normali. La strage di Gaza, il racconto che passa di essa, ne è il segnale evidente. Forze potenti sono in grado di far condensare la Grande Crisi in una Grande Guerra. Quel che normalmente sarebbe un percorso fatto di tappe intermedie, ora richiede accelerazioni.

Un format che tratta immagini e che non si limita a fare documentari, ma interviene in diretta e mostra ciò che il mainstream oggi tace: questo è lo scopo del “servizio” Pandora. Non so che possibilità abbiamo e di che tempi materialmente utilizzabili disponiamo affinché la galassia dei “non disinformati” inneschi un suo Big Bang creativo, ora che intanto che perde terreno nei confronti della propaganda bellica e della riorganizzazione dei grandi poteri di fronte alla crisi.

I tempi sono urgenti ma il problema è vecchio, se pensate a queste parole di Primo Levi: «Ogni tempo ha il suo fascismo: se ne notano i segni premonitori dovunque la concentrazione di potere nega al cittadino la possibilità e la capacità di esprimere ed attuare la sua volontà. A questo si arriva in molti modi, non necessariamente col timore dell’intimidazione poliziesca, ma anche negando o distorcendo l’informazione, inquinando la giustizia, paralizzando la scuola» (dal «Corriere della Sera», 8 maggio 1974).

Intanto avviamo almeno un percorso che infittisca lo scambio fra chi ha idee, risorse, reti, disponibilità. Non penserete mica che il dio della guerra si fermi a Gaza, e che il dio della propaganda si fermi al Tg1,tanto per farvi un piacere?

3 gennaio 2009

Pacifici quesiti: Gaza delenda est?

di Paolo Maccioni - Megachip




Alcune domande sulle cose lette negli ultimi giorni a proposito dell’attacco di Israele nella Striscia di Gaza.
L’analogia scomodata dal signor Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica di Roma intervistato su Epolis il 30 dicembre 2008, mette a dura prova l’ostinazione di chi – come me – vuole credere a tutti i costi alla buona fede altrui.

Come si può credere che calzi l’analogia: «è come se Firenze o Bologna si trovassero costantemente sotto il lancio di razzi da parte di un paese, non so, come l’Austria, e si chiedesse al governo italiano di non fare nulla»? Davvero si pensa che quest’analogia possa funzionare? Che chi legge possa bersela supinamente? L’Austria, che evoca boschi, montagne innevate, castelli e carrozze, Sachertorte e sale da concerto stuccate dove si suonano concerti mozartiani. Che c’entra dunque l’Austria? L’Austria è forse assediata su tre lati dall’Italia? Forse l’Austria subisce da parte dell’Italia l’imposizione del blocco all’accesso di cibo, carburante, forniture mediche? Forse l’Italia controlla lo spazio aereo, tutta l’acqua, tutta l’elettricità e le altre risorse austriache? Forse anziché i concerti mozartiani si sentono i caccia italiani che superano il muro del suono sopra le misere baracche di Vienna e Salisburgo?
Si potevano scomodare esempi storici più aderenti alla realtà della Striscia di Gaza.
Troia assediata dagli Achei, Lisbona assediata dai Mori, il Kuwait invaso dall’esercito iracheno, Grozny occupata dai carri armati russi, o ancora, come dice bene il parlamentare greco Theodoros Pangalos: «Le azioni come quelle che attualmente esercitano i militari di Israele a Gaza, ricordano gli olocausti dei greci a Kalavrita, Doxato, Distomo e certamente nel ghetto di Varsavia.» Analogie forse fallaci, forse non appropriatissime, ma che diventano improvvisamente adeguate se paragonate a quella infelice e fuorviante dell’Austria che gratuitamente lancerebbe razzi sulle città italiane.
Altrettanto indigeribile è l’ostinato ritornello che alcuni alti esponenti e funzionari di paesi occidentali, fra cui il nostro ministro Frattini, ripetono: la colpa è di Hamās. Come si può sostenere una cosa del genere, quando si sa che questo piano d’attacco era stato meditato e preparato da sei mesi?

Un paese occupante, un paese occupato; la quarta potenza bellica del mondo contro un ghetto di un milione e mezzo di persone alla fame, allo stremo. Un Paese che contravviene all’articolo 33 della Quarta Convenzione di Ginevra contro un paese che subisce il coinvolgimento della popolazione civile nelle operazioni militari. Eppure si chiede che a fermarsi sia l’assediato, non l’assediante. Accadrà: se l’esercito israeliano non si ferma fino alla soluzione finale.
«Quando avremo colonizzato il paese, tutto quello che agli arabi resterà da fare è darsi alla fuga come scarafaggi drogati in una bottiglia» (Raphael Eitan, Capo di Stato Maggiore delle forze armate israeliane, “New York Times”, 14/04/1983).
Se continua il fuoco dei Qassam su Israele «i Palestinesi andranno incontro ad un olocausto più grande perché useremo tutta la nostra potenza per difenderci» (Matan Vilnai, vice ministro della difesa di Israele, “Reuters” 29/02/2008)

Allora sì, accadrà: a Gaza riusciranno finalmente ad accontentare coloro che chiedono ad Hamās di fare il primo passo.

Dato che la propaganda ha scomodato parallelismi fuorvianti, sarà permesso azzardarne un altro, meno infelice di quello “austriaco”.

I militari argentini dell’ultima dittatura potevano ben dire – come oggi fanno i vertici militari e politici di Israele – di difendersi. E secondo il metro dei nostri soloni che oggi imperversano nei notiziari e quotidiani, i militari argentini ne avevano ben d’onde: d’altronde Montoneros ed ERP mettevano a segno attentati più distruttivi di quelli causati dai razzi Qassam, cilindri di latta con dentro polvere da sparo che qualcuno arditamente definisce “missili”.
Pure i militari argentini “per estirpare il terrorismo” si scatenarono contro la popolazione civile. Detenevano il potere, non solo quello militare, ma pure quello di poter etichettare gli avversari come “terroristi” e pertanto screditare chi non fosse d’accordo con loro: “chi si oppone a noi flirta con i terroristi”, identica accusa che oggi viene mossa contro chi osi sollevare obiezioni all’operato di Israele.
Tuttavia, trent’anni dopo, sia in sede storica che in sede giudiziaria, l’operato dei militari argentini verrà definito come "genocidio". E complici sono definiti coloro che allora li appoggiarono, o guardarono dall’altra parte.

Non basterà la mastodontica macchina di propaganda bellica apparecchiata dal ministro Tzipi Livni che ha perorato pubblicamente la causa del giornalismo embedded. La gittata di questo tipo di propaganda per quanto lunga si esaurirà nell’ambito della cronaca. La Storia non la scriveranno coloro che oggi fanno finta di non capire e cadono di buon grado nello stesso vecchio tranello retorico del generale Videla, che fu già del gerarca nazista Hermann Goering e in seguito del procuratore generale Usa John Ashcroft e oggi dei vertici israeliani e dei loro proseliti.

La Storia se ne ride delle menzogne dei contemporanei da ben 2500 anni, quando il maestro Sun Tzu in L’arte della guerra scriveva “tutte le guerre si fondano sulle menzogne”.
Anche questa.

La Storia considererà tutti coloro che non vogliono vedere, per bene che possa loro andare, complici. I conduttori radiofonici e gli editorialisti arruolati all’unico pensiero “Delenda Gaza”. Non una parola spendono costoro sulle sofferenze del popolo palestinese.
Io non voglio essere complice di questa carneficina, di questa punizione collettiva.

2 gennaio 2009

Gaza: It's Terrorism, it's Slaughter. Crime can be reported

written by Pino Cabras, Megachip
Translated by Diego Traversa
and Revised by Mary Rizzo for www.tlaxcala.es






In the days of the atrocious massacre in Gaza, horror inevitably focuses on the images and the voices of the victims. They are tiny fragments that don’t help complete the picture of the tragedy yet. It’s hard to understand and reflect while such a disaster is underway.

Yet, we are required to, in order to reconstruct the facts and the context.

After years of occupation, on September 11th 2005 the Israeli army lowered its flag in Gaza, not before having completed the swift evacuation of the Jewish settlements from the Strip, which was proving to be too a high cost to afford. Military convoys left. It was Ariel Sharon’s unilateral disengagement: there was no political recognition that would regard the Palestinians as peers. The Israelis were saying good-bye, nonetheless, they weren’t actually leaving. The sea and the sky remained totally under Israeli control. And what a control was it!

At sea, the meagre Palestinian marine didn’t even have the right to fish along the coast. No working pier, not even for the trade of some fresh foodstuffs.In the air, there were countless bombing operations during the last three years. Above all, the jet planes with the Star of David would often fly at supersonic speed, especially at night, in the wanton and continuous act of provoking unbearable noise. A non-stop trauma which didn’t spare children.

On the ground, the entire border with Israel was a sealed, impenetrable barrier. The sliver of an opening at the border with Egypt was not enough to prevent the transformation of this territory into anything than a prison. Once the Karni crossing was definitively sealed, from where the Palestinian imports could enter after having landed at the Israeli harbour of Ashod, located a few chilometres northwards, the Palestinians had to rely on the Egyptian harbours of Port Said or Alexandria, 200 chilometres away the former and 400 the latter, with unsustainable costs for a population already at the end of its own resources.This was the so-called liberated Gaza. The biggest prison in the world, an entire population (1.5 million) completely locked up. And more than any other prison, one full of innocent people.

When the unilateral "withdrawal" took place in 2005, an unbiased look at the circumstances would have let one understand at once that it wasn’t about a gust of hope but rather the base for a situation that would only get worse. It would be sufficient to go and read again the interview to Haaretz delivered on October 6th 2004 by Dov Weisglass, Sharon’s right hand man, when he stated that the so-called Gaza disengagement plan (which also contemplated building the wall in the West Bank) was nothing but a diversion meant to supply Israel with "the amount of formaldehyde necessary so that there will not be a political process with the Palestinians".

One month later, the father of the homeland and President of the Palestinian National Authority Yasser Arafat died. All the defects of the top brass of Al Fatah’s secular leadership, until then kept together by Arafat’s charisma, were laid bare. These leaders had been embezzling shamelessly and building Palladian-style villas in the midst of the Occupied Territories’ misery while lacking concrete results to offer as achievements of their negotiation, continuously overwhelmed by the Israeli government’s iron fist and melancholically heading for the label of collaborationist with the occupier.

On the other hand, the prestige of the "Islamic Resistance Movement" was growing amongst the population. Its Arabic acronym, "Hamas", means "zeal, enthusiasm". Hamas’ leaders used to live with frugality while putting together a network of material solidarity in the middle of all that havoc, a sort of residual yet infinitely more reliable welfare than the disaster the PNA was sinking into.It’s under these circumstances that Hamas, in January 2006, won the Palestinian elections by 76 seats out of 132, against only 43 seats gained by Al Fatah. A genuine and electorally clean victory, but also a variable regarded as being unacceptable by the calculations of the affected powers. An example of double-standard democracy.

Again Dov Weisglass, in his role of coordinator of a governmental team which included also the army high-ranks and which was entrusted with implementing anti-Hamas operations, commented in this way immediately after the elections about starting an economic clampdown on the PNA: "it’s like putting them on diet: The Palestinians will get a lot thinner, but won't die." The audience, among which there was Tzipi Livni, burst out laughing (see Gideon Levy’s "As the Hamas team laughs", Haaretz February 19th 2006).

After all, Weissglass is witty. In the famous 2004 interview with Haaretz he made clear very well how much formaldehyde was needed to "embalm" the chances of a peace agreement: "we educated the world to understand that there is no one to talk to. And we received a no-one-to-talk-to certificate… The certificate will be revoked only when Palestine becomes like Finland." Sort of putting off until doomsday, should someone still dare cherish the two-State solution.

The Palestinians from the big prison didn’t turn into Finns. They underwent their "diet" thoroughly, day by day. In spite of a faltering truce, the clampdown got more intense, even less trucks loaded with aid were let in and nothing got out of the camp of concentrated despair.Gaza has been the most wretched case. But the situation in the West Bank wasn’t that much better. The Israeli government demanded that tens of charity organizations be closed. The cooked-up excuse was that of cutting on any influx of money that might help Hamas. What actually happened instead was the "scorched earth" policy around all the intermediate bodies, all the social organizations within the Palestinian population in order to have the humanitarian emergency handled only by someone else. Possibly by the UN, provided that it wouldn’t be a damned nuisance, just as it was with Richard Falk, UN special rapporteur over the Occupied Territories, a Jew whose entering the Holy Land is by now prohibited on the grounds of his strong criticism of the Israeli occupation.

As usual, when it comes to reporting wars, the leading western media heavily manipulate information. They are colluded with those leaderships who—after 9/11—did all they could in order to trample on international law not founded only on the right of power, to confuse the conceptual cornerstones for the definition of what is "aggression", "tyranny" or "resistance", whilst the imperialistic powerful interests make the world economy—by now on the verge of the financial collapse—dependent upon their military priorities. The US is raising no objections against the new wicked action by the Israeli government. But even the European voices are very faint.When he used to skim through the bulletins noting the victims in the Persian Gulf war of 1991, Ernesto Balducci realized that there were hundreds of thousands of dead Iraqis over a few dead Americans: no longer a war codified by rationality and law but sheer slaughter. I think that still today "slaughter" is the best word possible to describe the scenes from Gaza. An unspeakable slaughter.

Amongst those accountable, there is the Israeli Defence Minister, former Premier Ehud Barak. He too has excused all this planned savagery in name of the war on terrorism.

In spite of being one of the most exploited terms in politics in recent years, the definition of "terrorism" hasn’t got a univocal interpretation at all. In many occasions, meetings between statesmen have collided with nearly insuperable difficulties when it came to finding a minimal shared definition. If you think rationally about the question, you can detect many nuances depending on the polymorphous definitions of a vague phenomenon. You can hardly discover well-defined cases of terrorism, while you may more often come across words that would certainly fit the description of certain acts of war and espionage that, instead, are covered with some gloss of legality. Forget for a moment the targets usually pointed out by politicians and media, forget the iconography of a suicide-bombing group organizing itself. It’s too simple.Try instead thinking of some actions carried out through the covering up by armies, States, NGOs, intelligence services, security corporations tied with the espionage world. Much as the covering up by the governments may to some extent be variable, you’ll see that those definitions will come right back like a boomerang.

The first big wave of air attacks in Iraq in 2003 was called "Shock and Awe". It’s not easy to translate this expression with only two words due to the different meanings it has. The Italian media usually rendered it with "colpisci e terrorizza" ("strike and terrorize", "strike and dismay"), in order to keep the figurative strength of the expression and anyway to get near to the meaning. Yet it’s interesting to lose some of its effect in order to grasp the meaning of another possible translation: "colpisci e induci in soggezione" ("shock and intimidate"). In this way, you can grasp not so much the blind fury of the rough fanatic as the metallic resoluteness of the cold fanatic instilling the "strategy of tension" through a blitzkrieg. How many times do the expressions "State terrorism" and "Terrorist State" occur in the Grozny annihilated by the Russian tanks, in the Lebanon devastated by the Israeli Air Force, in the fights for power in Pakistan, in the memory of the Italian "Years of Lead"? (translator’s note: Years of Lead refers to the period in the 70s when there were frequent terrorist attacks in Italy by forces from the extreme right and extreme left).

At any rate, the would-be neo-con Italian paper "Il Foglio" has even this time praised, on the front page, the Israeli-claimed "Shock and Awe" strategy.


So, what is terrorism?
Terrorism isn’t only a matter of terrorists. In a sense, even the Geneva Conventions say it. Albeit while not defining the notion of "terrorism", the Geneva Conventions of 1949 refer to "measures of terrorism" and "acts of terrorism". Article 33 of the IV Geneva Convention forbids clearly that the civil population be targeted with "collective punishment, as well as any intimidatory or terroristic measure". The facts in Gaza represent a glaring case of collective punishment inflicted upon the population. And the ultimatum given to warn them that "we are going to bomb you," far from meaning "we want to save you, seek refuge," are indeed intimidating acts and induction of terror.

How can one be surprised at the unbiased words pronounced by Richard Falk in 2007, when the siege of Gaza hadn’t still reached the more recent peaks of cruelty? Falk stated:

"Is it an irresponsible overstatement to associate the treatment of Palestinians with this criminalized Nazi record of collective atrocity? I think not. The recent developments in Gaza are especially disturbing because they express so vividly a deliberate intention on the part of Israel and its allies to subject an entire human community to life-endangering conditions of utmost cruelty. The suggestion that this pattern of conduct is a holocaust-in-the-making represents a rather desperate appeal to the governments of the world and to international public opinion to act urgently to prevent these current genocidal tendencies from culminating in a collective tragedy".
Article 4 of the Second Protocol Annex of the Geneva Conventions establishes that against "all persons who do not take a direct part or who have ceased to take part in hostilities […]shall remain prohibited at any time and in any place whatsoever […]acts of terrorism". Once again, without going as far as the "theological" definitions of terrorism, just to be clear about it, those of the War on Terrorism, international law has tried to codify well-defined cases in point. In both the provisions of the Geneva Conventions it s stressed that neither single persons nor civil populations as such may be the target of collective punishment that, amongst other things, would induce in them a condition of terror.

This concept is strengthened by the First Protocol Annex where, Article 51, it is established that "The civilian population as such, as well as individual civilians, shall not be the object of attack" and "acts or threats of violence, the primary purpose of which is to spread terror among the civilian population, are prohibited".

Anyone well-versed in humanitarian law who would search for the loophole might try to create confusion, relying on the distinctions between internal policy and foreign policy concerning military operations. Yet the provision occurs again nearly literally in the Second Protocol Annex: qualifying the conflict as an international or internal matter is of little importance.

The slaughter in Gaza is a measure of terrorism. An act of terrorism. Stating that they meant to hit Hamas soldiers is a justification as thin as tissue paper. The poor policemen massacred while swearing in weren’t people that "take a direct part in hostilities". They were part of a fragile infrastructure for home security. As fragile as the mirage of the low wage—a rare thing in a place where everyone is by now unemployed—that maybe kept them away from the spectre of undernourishment that indeed fell on their fellow countrymen. In any respect, also the dead policemen were civil victims, just as the children dead under the schools’ debris were.

That the target was to destroy any civil dimension of the territory is blatantly proved by the bombing of the university. This can be added to the score of devastations inflicted in the past years on the Palestinian infrastructures. All that remains are bakeries, with no electricity or bread.In the indecent reports by many papers and TV news programs, the idea is conveyed that the Israeli Air Force’s raids will help destroy the perception by the civil population about Hamas’ usefulness. In short, to lead the people to despair so as to overthrow Hamas. Regarding such a purpose, suffice it to take a glance at the official definition of "terrorism" adopted by the US Department of Defence: "Terrorism is the calculated use of unlawful violence to inculcate fear, intended to coerce or intimidate governments or societies in pursuit of goals that are generally political, religious, or ideological."You don’t like it? Do you want FBI’s one? Here is it: "The unlawful use of force or violence against persons or property to intimidate or coerce a government, the civilian population, or any segment thereof, in furtherance of political or social objectives".

Are those definitions too American? Let’s get back to Europe then. The Framework Decision on Combating Terrorism, adopted by the European Council on June 13th 2002, defined it as "any terroristic act intentionally committed by one or more individuals against one or more States that may seriously damage a State or an international organisation. It must be intenionally committed with the aim of seriously intimidating a population; or unduly compelling a Government or international organisation to perform or abstain from performing any act; or seriously destabilising or destroying the fundamental political, constitutional, economic or social structures of a country or an international organisation [(a) attacks upon a person’s life which may cause death;(b) attacks upon the physical integrity of a person; (c) kidnapping or hostage taking; (d) causing extensive destruction to a Government or public facility, a transport system, an infrastructure facility, including an information system, a fixed platform located on the continental shelf, a public place or private property likely to endanger human life or result in major economic loss; (e) seizure of aircraft, ships or other means of public or goods transport; (f) manufacture, possession, acquisition, transport, supply or use of weapons, explosives or of nuclear, biological or chemical weapons, as well as research into, and development of, biological and chemical weapons; (g) release of dangerous substances, or causing fires, floods or explosions the effect of which is to endanger human life; (h) interfering with or disrupting the supply of water, power or any other fundamental natural resource the effect of which is to endanger human life; (i) threatening to commit any of the acts listed in (a) to (h)].

Well, let’s give shape to the juridical terms of the subjects, let’s go to the concrete acts. The examples fit the definitions. We are concerned with cases that define such forms of violent and illegal acts that to put in danger the civil population and therefore induce a condition of "terror" that is spread in order to achieve aims of a political nature. We can certainly stick such a definition also to those launching Kassam rockets, which the brazen correspondent from TG1 news program (translator’s note: Italian correspondent Claudio Pagliara, the definition of pro-Israel media bias) defines as "missiles" but which actually are little more than catapults, which bring about certainly tragic, yet strategically unimportant effects. Yet, why not pin this definition on those who have so far used all their tremendous weaponry—other than the atomic bomb—in a disproportionate way?

Does such harsh criticism to the Israeli leadership and its allies mean wanting or aspiring to destroy Israel? No, it’s only about opposing the "normal" and unscrupulous power policy of a contemporary bellicose state. One which—as well as other ones—must not be regarded either holy or wicked but only deemed in the best rational way possible for what it does and plans, for the power it has and for the clash its power engenders. Relativistic perspective needed, also in this case.

Israel’s nation-building process over history hasn’t spared itself unspeakable cruelties and injustices, yet the same applies also to the greater nation-States we all know. France experiencied civil and religious wars and developing its economy at expense of its colonies, the Spain of the "limpieza de la sangre" and of the Conquest, the US of the New Frontier crushing the native people, Russia building an Empire through impressive democides, Germany’s aspiration to rule over the whole world and its huge massacres and genocides, China trampling on minorities’ rights, our Italy itself achieving national unity through bloodshed and where Jesus has more or less stopped at Eboli. (translator’s note: Cristo si è fermato ad Eboli is a book by Carlo Levi who recounts his internal exile in southern Italy, with the rural people of the time backwards and oppressed). Behind many national epic deeds there is always a ghastly bloodshed that is supposed to prompt not so much to demonize as to simply recognize crime whenever it shows such devastating capacities. In the case in point, besides peoples’ right to live, besides the Palestinian people’s rights, besides the international law, it’s global peace at stake due to the complex relations of those who contend the Middle East. On the top of which comes the very dangerous, traditional and unilateral views by the Israeli government, once again "pares non recognoscens", now in a more shaken powder keg.

And, looking at the media’s attitude, what is at stake is the chance to still tell the truth about the barbarities.

To denounce Gaza’s slaughter with as much ability to execrate as was done with Mumbai’s slaughter. Is it allowed?

Opposing, right now, the aggression, not by invisible and belated self-criticism, as was the case with the Georgian aggression against South Ossetia. Is it allowed?

Not letting off awful war crimes, as has been done with Bush who candidly admitted that Iraq’s havoc resulted from forged pretexts. Is it allowed? Can we do it now?

Saying that today Kassam rockets are only a pretext, since even "Haaretz" reports that the attack was planned several months ago. Is it allowed? Unless one is busy doing disinformation, it is.

Translated by Diego Traversa and revised by Mary Rizzo for Tlaxcala.

http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=8466